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S. Fiora - Cave di Marmi - Monte Labro, Monte Labbro

 

(S. Fiora - Monte Labbro (a SO))

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    SANTA FIORA nella Val di Fiora. – Terra, già castello che fu contea e residenza di una linea di conti Aldobrandeschi, poi del ramo de’ Sforza Attendolo di Santa Fiora, e finalmente de’ duchi Sforza Cesarini di Roma. – Attualmente è capoluogo di Comunità con chiesa arcipretura (SS. Flora e Lucilia) nella Giurisdizione e 5 miglia toscane a scirocco di Arcidosso, Diocesi di Città della Pieve, già di Chiusi, Compartimento di Grosseto.
    Il fabbricato di questa Terra è posto nell’ estremo pianoro meridionale del Mont'Amiata sopra immense e discoscese rupi di peperino (trachite) cadute le une sopra le altre costà donde scaturisce in perenni copiosissime fonti il fiume Armino, che dopo il secolo XIII acquistò il nome del paese dove trae la sua origine.
    Trovasi ad una elevatezza di braccia 1208 misurata dalla sommità del campanile della chiesa arcipretura che è appena al livello del palazzo che fu de' conti di Santafiora, fra il grado 29° 14’ e 8” longitudine ed il 42° 50’ latitudine, 5 miglia toscane a scirocco di Arcidosso; 7 nella stessa direzione da Castel del Piano; 6 miglia toscane a ponente libeccio di Pian Castagnajo, e 8 in 9 miglia toscane a libeccio dell’Abbadia San Salvadore.
    La rimembranza più antica di questa Terra, fra quelle a me note, credo sia registrata in un istrumento archetipo rogato in Chiusi lì 27 agosto dell'anno 2.° del rogito di Guido in Italia (anno 890), stato da me citato all’ Articolo Pian Castagnajo. Con quell’ atto Pietro abbate del Monastero del Montamiata col consenso de' suoi monaci confermò in livello a Lamprando figlio del fu Ildone le case e beni che egli teneva a fitto, oltre un pezzo di terra nel distretto del casale del Piano (Pian Castagnajo) e nei confini ivi descritti, fra i quali si nomina da un lato il territorio di Santa zfiora ecc. – ARCH DIPL. FIOR. Carte della Badia Amiatina).
    Di un’altra carta, scritta nel giugno del 1114, conservasi l’originale nell’archivio privato dell’erudito sig.
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    Scipione Borghesi Bichi di Siena. Essa è importantissima, poichè ci scuopre qualmente la famiglia de’ CC. Aldobrandeschi era di origine salica, e non longobarda come da molti è stato supposto. – Consiste essa in un istrumento rogato nel convento già monastero della SS Trinità sul Monte Calvo situato alla sinistra del fiume Fiora e circa miglio toscano uno e mezzo a ostro della terra predetta; il quale monastero fino dalla sua prima fondazione con quell’atto fu donato alle monache cistercensi di Monte Cellese fuori di Siena dalla contessa Adelasia restata vedova del C. Ranieri Malabranca degli Aldobrandeschi, dai figli suoi Malagagla e Ildebrando conti di Santa Fiora, consentendo a ciò anco le loro mogli contesse Lupa e Massimilia, dichiarando di professare e vivere tutte secondo la legge salica .
    Al quale atto si trovarono presenti fra gli altri personaggi distinti il vescovo di Chiusi e quello di Soana, i quali pochi anni innanzi, avevano consacrato la chiesa predetta della SS: Trinità. Fra i beni offerti da quei conti e contesse fuvvi un terreno posto sopra la chiesa delle SS. Trinità in vocabnolo Monte Calvo super fluvio Arminio . – Inoltre furono assegnate al monastero medesimo varie terre, vigne e selve poste in vocabolo Cellena ed in altri luoghi, compresa una vigna posta presso il già citato fiume Arminio ec. – Vedere MONTE CELLESE.
    Seguono a piè dell’istrumento le firme della contessa Adelasia, de’ due figli e suo nuore, e quella di sei testimoni. Quest’atto fu rogato da Girolamo giudice e notaro dell’Imperatore.
    Rispetto poi al fiume Armino , ora detto della Fiora , col primo nome è rammentato in un documento del 15 giugno 1240 dato nel campo d’assedio di Soana presso il fiume Armino , dove allora si trovava Pandolfo Fasianella capitan generale di Federigo II in Toscana. – (ARCH. DIPL. FIOR . Carte della Badia Amiatina ). –
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    Vedere SOANA
    A voler meglio conoscere gli ascendenti dei conti Aldobrandeschi qui sopra rammentati per coloro che ne volessero sapere da chi nascesse il conte Ranieri, marito della prenominata contessa Adelasia, e padre dei conti Malagagla e Ildebrandino, gioverà qui citare i seguenti documenti archetipi.
    Il primo è un atto del 13 novembre 1077 scritto dal conte Ranieri che nasceva da un conte Ildebrando figlio di un altro conte Ildebrando. Il quale conte Ranieri avendo impetrato da Dio dopo grave malattia l’intera sua guarigione, con quell’atto rinunziò al monastero di San Salvadore sul Mont’Amiata tutte le e consuetudini e visite che facevano a nome de’ conti Aldobrandeschi nelle terre ch’erano di pertinenza di quell’Abbadia, compresa peraltro nella giurisdizione dei conti Aldobrandeschi. La qual rinunzia era stata fatta altre volte sull’altare di San Salvadore fino alla morte del conte Ildebrando suo avo e ripetuta dal C. Ildebrando suo padre . – (ARCH. DIPL. FIOR. Carte della Badia Amiati )
    Il secondo istrumento, rogato nel dì 6 dicembre dell’anno 1047, rammenta l’atto di quitenza in quel giorno rinnovato dal conte Ildebrando padre del suddetto C. Ranieri e figlio di latro conte Ildebrando ; il quale ad imitazione del suo genitore rinunziò a dette visite nelle mani di Teuzzone abbate del Monastero Amiatino mediante il merito di un anello d’oro ( carte cit. ).
    Il terzo documento del 1015, 7 febbrajo, riguarda una precedente quitenza fatta in Grosseto presso la pieve di Santa Maria a favore della stessa badia dal conte Ildebrando figlio del fu conte Ridolfo mediante una fermezza d’oro ricevuta da Winizzone abbate del Monastero Amiatino. – Vedere GROSSETO, Volume II pag. 527.
    Questo è quel ricchissimo conte Ildebrando di cui fece parola il Cardinale Piero Damiano nelle sue lettere (Lib IV Epist. VII); quello medesimo che insieme alla di lui madre contessa Gisla vedova del C. Ridolfo
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    conte Rosellese
    , nel 1007 permutò varie sostanze poste nel Val d’Arno inferiore, ed in Val d’Evola con altre in Val d’Elsa che ricevé da Benedetto vescovo di Volterra. Infine era quel conte Ildebrando che nel 996contendeva e Winizzone abbate del Monastero Amiatino una quantità di diritti  e di beni. – (UGHELLI, Italia Sacra in Episcop. Clusinis et Volterr. )– Vedere ABAZIA DI SPUGNA.
    Un quarto istrumento del primo aprile 973 scritto nella torre di Lattaja in Maremma scuopre il padre e l’avo del predetto ricchissimo conte Ildebrando del C. Ridolfo figlio del fu Gherardo Conte del Palazzo, nell’atto che questo C. Ridolfo acquistò una vigna posta presso il fiume Ombrone in un luogo detto Campagnatico . – Vedere CAMPAGNATICO e LATTAJA.
    Ma sulla fine del secolo X viveva un altro conte Ridolfo nel contado esso pure di Roselle che nasceva da un Ildebrando e che insieme col C. Tedice del fu Gherardo conte del contado Volterrano fu testimone all’atto solenne
    Di donazione fatta nel 998, 25 luglio, alla badia di Poggio Marturi (Poggibonsi) dal marchese Ugo figlio del marchese Umberto salico. – (PUCCINELLI, Cronic. Della Badia fior. )
    Dal qual conte Ridolfo d’Ildebrando probabilmente derivò un altro ramo dei conti della Maremma, ma di legge longobarda, donde forse trasse origine quell’Ildebrando di Soana, che nel 1073 divenne Papa col nome di Gregorio VII.
    Finalmente nell’archivio del prelodato sig. Scipione Borghesi Bichi conservasi una membrana del 29 giugno 988, data in loco Siticiano (forse Sticciano ) per la quale un conte Ildebrando figlio del fu conte Gherardo confermò ad enfiteusi a Sufredo di Bonigesto la metà di un possesso domenicale consistente in due case e casalini con terre annesse, che una in luogo detto  Sasso ( di Maremma ) e l’altra nel paese di Pari , con l’obbligo di recare ogni anno dodici denari
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    d0argento alla corte domenicale del conte Ildebrando predetto che era in loco Siticiano . – Vedere STICCIANO.
    Resta a sapere frattanto se quel conte Ildebrando di Sticciano nasceva da Gherardo padre del C. Ridolfo del contado di Roselle, o seppure era quel C. Gherardo del contado Volterrano padre del conte Tedice che nel 998 assieme al conte Ridolfo del contado Rosellano assistè all’atto di fondazione dalla Badia di Poggibonsi, e dal quale nacque un altro C. Gherardo, di origine però longobarda, che nel 1004 insieme con la contessa Wilia di lui moglie, stando nel suo castello di Serena, fondò presso Chiusdino la Badia di S. Maria di Serena .
    Finalmente nell’«rch. Arciv. di lucca si conserva un istrumento del 17 novembre 980 dato in Vignale della Maremma di Populonia, col quale Guido vescovo di Lucca allivellò a Ildebrando figlio del quondam conte Gherardo 15 poderi di pertinenza della pieve di Sovigliana sulla Cascina. – Vedere SOVIGLIANA (PIEVE DI).
    Ora ripigliando le memorie storiche relative al castello di Santa Fiora ed ai loro dinasti che succedettero al conte Ranieri Malabranca, dirò, qualmente nel dì 8 giugno 1144 fu rogato un istrumento davanti la pieve del Castel di Santa Fiora della diocesi di Chiusi: e aggiungerò, come Rainaldo arcicancelliere  e legato in Italia dell’Imperatore Federigo I con diploma dato da Siena nell’agosto del 1163 a favore della Badia di S. Antimo, fra i magnati presenti a quell’atto fuvvi un C. Ildebrandino, che ivi si dice figlio del fu conte Uguccione, siccome in quel privilegio stesso è rammentato un C. Guglielmo di Soana avvocato di detto monastero. – (ARCh. borghesi bichi di siena).
    Altro documento dello stesso archivio Borghesi Bichi, scritto nell’agosto dell’anno 1164, tratta della promessa fatta dal predetto conte Ildebrandino del fu conte Uguccione per se e i suoi eredi al Monastero di Monte Cellese, e per esso a donna Imildina badessa di quell’asceterio di mantenere le
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    donazioni da’ suoi antecessori fatte al monastero di S. Ambrogio a Monte Cellese ed a quello della SS: Trinità sul Monte Calvo .
    Nel marzo poi del 1173 un conte Ugo fece dono al Monastero della Trinità edificato in Monte Calvo , nelle mani della sua prioria donna Soarza, di 4 villici con i loro tenimenti e di uan pensione annua di dieci soldi lucchesi per riguardo di una sua figlia ascritta nel numero delle monache della SS: Trinità. – (ARCH. DIPL. FIOR. Carte delle Mon. delle Trafisse di Siena ).
    In questo frattempo era mancato ai vici il conte Malagagla figlio del C. Ranieri Malabranca e della contessa Adelasia, rammentato di spra agli anni 1108 e 1114, e la di cui morte è dichiarata da un istrumento dell’Abazia Amiatina del giugno 1121, rogato nel castello d’Arcidosso, dove allora abitavano il C. Ildebrando figlio del quondam conte Ranieri Malabranca, e donna Lupa, la quale ivi si chiama vedova del C. Malagagla fratello del C. Ildebrando ch’era nel tempo stesso di lei mondulado. – (ARCH. DIPL. FIOR. Carte della Badia Amiatina ).
    Alla memoria dello stesso conte Uguccione, e del figlio Ildebrandino Novello appella una carta del dicembre 1152 della Badia prenominata, attualmente nell’ Arch. Dipl. Fior. , nella quale si legge, che la contessa Gisla lasciata vedova dal fu conte Uguccione assieme col suo figlio e mondualdoc conte Ildebrandino Rovello, stando in Grosseto, offrì al monastero del Mont' Amiata in mano di Ranieri abbate del Monastero stesso la metà dei beni che Adilaffo del fu Guglielmo di Grosseto ebbe ad enfiteusi dalla casa Aldobrandesca. – (ivi).
    Non lascia poi dubbio che questo conte non fosse degli Aldobrandeschi un rogito del 22 gennajo 1171, che ci scuopre anche la moglie del suddetto Ildebrandino conte Palatino e figlio del fu C. Uguccione, il quale stando in Pisa con donna Maria di lui consorte che ivi appellasi Contessa
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    di tutta la famiglia Aldobrandesca, e figlia del fa C. Alberto di Prato, donò allo spedale di Stagno dei beni posti in Antognano. – (Arch. Dipl. FioR. Carte del Mon. di S. Lorenzo alla Rivolta.)– Vedere AntogNaNo. Né tampoco fia improbabile che a cotesto ramo di conti Aldobrandeschi appartenesse un altro C. Ildebrandino di Toscana, il quale con suo testamento scritto in Soana sotto dì 22 ottobre del 1208 alla presenza di Viviano vescovo di detta città, dopo un vistoso legato alla sua consorte contessa Adelasia, instituì eredi i suoi figli, assegnando di parte, al figlio maggiore con te Ildebrandino Palatino di Toscana i castelli di Monte Gemoli, Monte Guidi, Stilano, Batignano ecc, il cui ultimo castello, mediante istrumento del 19 settembre 1231 rogato in Grosseto pel palazzo de'CC. Aldobrandeschi, fu dato in feudo dallo stesso figlio maggiore del C. Ildebrandino Palatino a Manto de’ nobili di Grosseto. – (Arch. Dipl. Fior. Carte del Mon. alla Rivolta di Pisa). – Vedere BatignaNo e BElforte.
    Gli altri figli nel testamento del 1208 dal C. Ildebrandino chiamati furono Bonifazio, Guglielmo, Ildebrandino minore e le figlie Gemma e Margherita. – (Arch. dell'Ospedale della Scala di SieNa).
    All'Articolo MoNTE GemoLI poi rammentai una convenzione dell'8 luglio, anno 1226, stipulata nella chiesa di Monte Gemoli fra quegli abitanti da una parte ed i conti Guglielmo e Bonifazio figli del fu conte Ildebrandino Palatino di Toscana dall'altra parte. – (Arch. Dipl. Fior. Carte della Com. di Volterra).
    Cotesto C. Ildebrandino pertanto fu padre non solo de'CC. Ildebrandino maggiore, Guglielmo e Bonifazio ma di un altro Ildebrandino minore. Al padre loro appella un atto di accomandata fallo in Siena nel dì 4 gennajo 1202, col quale il C. Ildebrandino predetto prestò giuramento di fedeltà al potestà di quella repubblica, come di essa in qualità di raccomandato per 20 anni con obbligo di fornire al Comune di Siena cento soldati due volte l'anno.
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    Al qual atto prestarono la loro adesione la contessa Adelasia moglie del detto C. Ildebrandino ed i loro figliuoli, meno il C. Ildebrandino minore, che era sempre sotto tutela nell'anno 1215. Ciò è dimostrato da un lodo del 2 luglio 1215 pronunciato nella chiesa di S. Michele a Travale da Uggieri del fu Ranieri di Pannocchia arbitro eletto dal conte Ildebrandino maggiore da una parte, e dall'altra dai conti Bonifazio, Guglielmo e Ildebrandino minore che si dichiararono tutti figli del fu C. Ildebrandino e della contessa Adelasia. La qual donna erasi rimaritata a Napoleone de’ Visconti di Campiglia, talché questi due coniugi erano i tutori del conte Ildebrandino minore, figlio di detta contessa. Mercé detto lodo fu assicurata la dote di mille marche d'argento alle due sorelle Gemma e Margherita nate dal C. Ildebrandino e dalla contessa Adelasia; per la cauzione delle quali doti fu ipotecato il castello d’ Arcidosso. – (Arch. Dipl. SaN. Kaleffo dell'Assunta).
    Dalla sorgente medesima derivano gli atti archetipi seguenti: il primo di essi è del 2 ottobre 1221, col quale i conti Ildebrandino, Bonifazio, Guglielmo e Ildebrandino giuntore figli del fu conte Ildebrandino di Soana e della contessa Adelasia posero essi e le loro castella sotto l'accomandigia del Comune di Siena, obbligandosi d'inviare alla detta città l'annuo censo di 25 marche d'argento. Col secondo istrumento, rogato in Siena lì 27 agosto 1224, il conte Bonifazio degli Aldobrandeschi confermò alla Repubblica senese nelle mani del suo potestà la promessa di procurare che gli uomini di Grosseto si sottomettessero a quella Repubblica. Per effetto di ciò un mese dopo con un secondo atto del 27 settembre 1224 i sindaci del Comune di Grosseto inviati a Siena giurarono di osservare i patti già convenuti, fra i quali eravi l'obbligo di pagare ogni anno lire 48 di censo alla Repubblica senese. – (ivi).
    Dello stesso anno 1224, ma tre giorni innanzi dell'istrumento
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    del 27 agosto, il conte Guglielmo Palatino fratello del suddetto conte Bonifazio aveva fatto una simile protesta a quel Comune, di procurare cioè che gli uomini di Grosseto stassero ai comandi dei Senesi, obbligandosi egli per sé e per i suoi fratelli di abitare fisso nella città di Grosseto, di fortificare il suo palazzo con la torre, di combattere occorrendo e di fare in modo che i Grossetani tornassero al volere de' Senesi, dando a questi licenza di distruggere i muri, spianare le fosse e carbonaje di Grosseto, purché le case rimanessero illese. – (loc. cit.)
    Trovasi ivi sotto dì 29 agosto 1294 la ratifica del C. Bonifazio fratello del C. Guglielmo, il quale con giuramento aderì a quanto aveva promesso il di lui fratello sotto pena di mille marche d'argento. – (loc. cit.)
    Ma che tali promesse dei conti Aldobrandeschi fossero larvate lo dichiara una bolla diretta tre anni dopo (17 settembre del 1227) dal Pontefice Gregorio IX a Guglielmo e Bonifazio figli del conte Ildebrandino Palatino, colla quale comandava loro, che se volevano la protezione della Sede Apostolica desistessero dalle ingiurie fatte ai Senesi, aggiungendo inoltre che lo stesso Papa avrebbe potuto privare quei conti del feudo per aver dato occasione all’ eccidio di Grosseto fatto dai Senesi. (Arch. DIPL. DI Siena, Kaleffo dell’Assunta.)
    Nel 9 aprile del 1229 lo stesso Pontefice Gregorio IX con altra bolla diretta ai fratelli suddetti, CC. Bonifazio e Guglielmo, comandava di restituire ciò che eglino avevano tolto ai Senesi, nel tempo che questi ultimi erano al servizio della chiesa romana (ivi).
    Avvertasi però che sino dal 24 settembre dell'anno 1228 cotesto Papa, rimettendo forse in campo delle vecchie promesse fatte da Carlo Magno al Pontefice Adriano I, sebbene non mai effettuate, diresse da Anagni al potestà e popolo di Siena un'altra bolla, nella quale, dopo aver rimproverato ai Senesi le ostilità usate contro la città di Grosseto spettante specialmente alla Sede Apostolica, coll'averla invasa, devastata e incendiata; siccome ancora per non aver obbedito ai
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    comandi di Onorio III suo antecessore, ordinava loro di dare ai Grossetani la soddisfazione dovuta per tante offese; con tutto ciò il Pontefice Gregorio per aderire alle preci dell'Imperatore e del siniscalco di Roma con questa bolla perdonava e rimetteva i Senesi in sua grazia raccomandando loro di non offendere i Grossetani e di esser devoti della chiesa romana. – (loc. cit.)
    Della stessa provenienza è un'altra bolla in data di Viterbo 9 febbrajo 1136 diretta da Gregorio IX ai potestà e popolo di Siena, colla quale ordina che si debbano restituire le robe tolte a diversi fedeli e vassalli del conte Guglielmo Palatino da un tal Gualcherino senese e compagni. – Di più per istrumento del 28 luglio 1237 il potestà di Siena a nome di quel Comune promise a Guglielmo conte Palatino di Toscana di mantenere il contralto di accomandigia e di lega fra esso e la repubblica senese stato concluso nell'atto che la Signoria di Siena vinta dalle istanze di quel conte rilasciava ai Grossetani il tributo annuo di lire 25 e di altrettante libbre di cera, che quel Comune doveva pagare alla Repubblica sanese, a condizione però che esso conte Guglielmo non esigesse lui dai Grossetani il detto censo, né alcun altra cosa sotto pena di mille marche d'argento. – (loc cit.)
    Segue l'atto di stipulazione scritto nello stesso giorno 28 luglio 1937, col quale il C. Guglielmo prenominato promise ai reggitori della Repubblica di Siena di perdonare ogni ingiuria che dai cittadini Senesi fosse stata fatta a lui ed ai suoi vassalli dopo il giuramento che aveva prestato lo stesso conte presso Scarlino, a riserva però dei diritti verso il Comune di Grosseto che egli aveva prima della guerra. Finalmente fu dichiarato di non derogare in modo alcuno dai patti Stati da esso conte contratti con il Comune di Siena, intendendo peraltro di non esser tenuto a mantenere quanto aveva promesso, se non gli
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    venivano restituite le sue castella e quelle del conte Ildebrandino suo nipote. – (loc. cit.)
    Inoltre fra le pergamene dell' Arch. privato del sig. Scipione Borghesi Bichi havvene una del 30 aprile 1229, scritta nel claustro di S. Mustiola a Torri presso Rosia, colla quale si dichiara che ivi si presentò il sindaco del Comune di Siena per esigere quanto i CC. Palatini Bonifazio e Guglielmo ritenevano di pertinenza della Repubblica senese e de' suoi cittadini, conforme ordinava una bolla Apostolica impetrata dal popolo di Siena.
    Aggiungasi un' altra membrana appartenuta alla Comunità di Volterra del 12 marzo 1256, dalla quale si scuopre un C. Umberto fratello del conte Ildebrandino , figli entrambi del fu C. Guglielmo di Soana Palatino di Toscana , mentre altra scrittura senza date croniche appella ad un compromesso fatto fra i due fratelli prenominati da una parte con il Comune di Volterra dall'altra per terminare la lite relativa alla giurisdizione di Monte Gemoli, e della Rocca Silvana che continuava sempre fra quel Comune ed i fratelli Conti Ildebrandino ed Umberto Palatini di Toscana . – (Arch. DIPL FioR. Carte della Comunità di Vol terra ).
    Al secondo di quei due fratelli, che restò ucciso nel 1250, dentro Campagnatico, appellò Dante, allorché figurando d'incontrare l’ ombra di lui nel Purgatorio fra i superbi, (Canto XI), gli fece dire:

    Io fui Latino e nato di un gran Tosco.
    Guglielmo Aldobrandesco fu mio padre.
    Vedere CAMPAGNATICO.

    Dalla sorgente predetta provengono tre altre pergamene, che una del 6 agosto 1286, con la quale donna Margherita contessa Palatina di Toscana figlia del fu conte Ildebrandino, chiamato Bosso di Soana, costituì il conte Guido di Monfort di lei marito in suo procuratore per far la pace con i conti Aldobrandeschi di Santa Fiora. –
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    (Arch. cit.)
    La seconda in data dello stesso anno e giorno 6 agosto 1286 contiene l'atto di concordia e transazione fatta e rogata nei confini del castello di Santa Fiora tra gli Aldobrandeschi di quel ramo ed il conte Guido di Monfort come procuratore della sua moglie contessa Margherita figlia ed erede della contea del fu C. Ildebrandino di Soana. Nella terza carta sono nominati i conti di Santa Fiora che ebbero parte in quell’ atto di concordia; cioè, 1.° il conte Ildebrandino Novello, 2.° il C. Bonifazio; 3.° il conte Enrico Novello; 4.° il G. Guido, figli tutti ed eredi del fu Ildebrandino di Bonifazio conte di Santa Fiora e di donna Giovanna contessa Palatina loro madre. Rogò cotesti atti Michele medico figlio di Jacopo notaro. – (loc. cit.)
    Per rogito poi del 1297 scritto nel castel di Santa Fiora, fu fatta una nuova divisione de' beni e dei castelli della contea Aldobrandesca, tra i figli del conte Ildebrandino di Bonifazio di Santa Fiora, e ciò col mezzo di polizze tirate a sorte da un fanciullo. – (Arch. Dipl. Fior. Carte della Com. di Volterra.)
    Fra le membrane poi dell'Abbadia S. Salvadore sul Monte Armata, una del 23 luglio 1240 rammentai il conte Ildebrandino defunto, padre del C. Guglielmo allora vivente; ed altro istrumento dato in Arcidosso lì 19 novembre del 1253 fa menzione di un Guglielmo giuniore figlio di altro conte Guglielmo Palatino di Toscana (loc. cit.). – Porta la data parimente di Arcidosso un terzo atto del 10 novembre 1258, relativo alla restituzione fatta dal sindaco della badia Amiatina di lire 25 che quei monaci avevano ricevuto a mutuo dal conte Ildebrandino figlio del conte Guglielmo Palatino di Toscana.
    Finalmente un quarto istrumento della citata badia Amiatina fu rogato nel 19 febbrajo del 1262 nel palazzo del conte Ildebrandino di Santa Fiora. – (ARCH. DIPL. FIOR. Carte Amiatine).
    Ma quest' ultimo conte Ildebrandino che aveva palazzo
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    in Santa Fiora nasceva da un Bonifazio seniore che fu l'autore de' conti Aldobrandeschi di Santa Fiora, mentre l'altro C Ildebrandino fratello del C. Umberto ebbe per genitore il conte Guglielmo del ramo Aldobrandesco di Soana.
    Infine appellano a queste due branche di conti le capitolazioni del 28 luglio 1237 giurate dal C. Guglielmo Palatino e dal C. Ildebrandino da una parte e dai rappresentanti del Comune di Siena dall' altra. Le quali capitolazioni vennero di tempo in tempo confermate in Siena dai successori ed eredi di quei conti nel dì 28 febbrajo dell’anno 1283; nel 18 novembre del 1331 ecc. – (ARch. Dipl. San Kaleffo dell'Assunta).
    Poco innanzi della morte del C. Ildebrandino giuniore di Soana fu rogato il contratto di divisione ( ERRATA : 11 dicembre 1272) (11 dicembre 1274), fra il suo ramo e quello, de' CC. Aldobrandeschi nati dal conte Bonifazio seniore di Santa Fiora.
    Toccò di parte a quest’ ultimo ramo la Terra che diede il titolo alla contea, oltre i castelli di Arcidosso, Atriana, ora Triana, Samprugnano, Selvena, Magliano, Montemerano, Manciano, Capalbio, Serpenna, Cana, Stribugliano, Scansano, Ischia, Roselle, Rocca Strada, Sasso Forte ec. lasciando a comune con l'altro ramo di Soana le città di Massa, di Grosseto e di Saturnia, le cave delle miniere di argento vivo di Selvena, e le ragioni che gli Aldobrandeschi aver potevano sopra varj paesi del contado di Castro e sulla città di questo nome, ecc.
    Provvisti di questo stato e forti per tante rocche ebbe ragione l'Alighieri quando nell'invettiva all'Imperatore Alberto, per mostrargli come era forte il ramo Ghibellino de'CC. di Santa Fiora, esclamava:
    Vieni
    E vedrà Santa Fior com’ è sicura
    .
    Alla linea poi de’ CC. di Soana toccò la città etrusca dalla quale prese il titolo, oltre le terre e castella di Pitigliano, Sorano, Vitozzo, Orbetello, Marsiliana, Pian Castagnajo, Aspretulo, Boceno, Pereta, Castel del Piano, Potentino, Montepinzutolo,
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    o Montichiello, Castiglioncello, Monticiano, Mont'Argentaro, Orbetello, Ansedonia, Isola del Giglio, Tricoste, Montauto sulla Fiora, Belforte, Radicondoli, Rocca Sillana, Monte Gemoli, ecc. e più le ragioni che la casa Aldobrandesca aveva sopra la Rocca Albegna, Montorio ed altri luoghi della Maremma. – Ben presto pertanto l'eredità toccata ai conti di Soana passò in donna Margherita unica figlia ed erede del conte Ildebrandino, detto il Bosso, figlio come si disse del C. Guglielmo giuniore, il quale morì in Soana nel maggio del 1284.
    Per effetto di ciò la contessa Margherita Aldobrandeschi portò l'eredità della contea di Soana nel suo consorte il conte di Monfort.
    Frattanto con atto pubblico rogato in Radicondoli sotto dì 7 luglio dell'anno 1285 il conte Guido di Monfort, come marito della contessa Margherita figlia ed erede della contea di Soana da una parte, ed il sindaco del Comune di Volterra dall' altra parte compromisero nel potestà e Comune di Siena per tutte le liti che vertevano fra essi rispetto alla giurisdizione del castello di Monte Gemoli e delle sue saline. – (Arch. DIpl. Fior. Carte della Com. di Volterra). – Vedere Monte Gemoli e Soana.
    Se la linea però de' CC. Aldobrandeschi di Soana si spense assai presto, all'incontro il ramo dei CC. Aldobrandeschi di Santa Fiora continuò fino al secolo XV a dominare in molti paesi della Maremma e del Monte Amiata. Avvegnaché non meno di 5 pergamene, scritte tutte nell'anno 1289, ed appartenute al Monastero Amiatino, appellano ad un conte Bonifazio giuniore figlio del C. Ildebrandino di Bonifazio seniore ed autore del ramo degli Aldobrandeschi di Santa Fiora. Una di quelle carte, del 23 marzo 1289, contiene l'atto di elezione di due sindaci tatto dall'abbate del Monastero Amiatino e dal Comune dell' Abbadia S. Salvadore per compromettere nel conte Bonifazio II di Santa Fiora, ch' elessero arbitro in una controversia fra il Monastero ed il Comune prenominati rapporto a certa gualchiera eretta sul
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    fiume Vivo nel Monte Amiata. – La seconda del 6 aprile 1289 verte sul compromesso firmato dalle due parti nella persona del conte Bonifazio stato eletto in arbitro. – Nella terza del 3 settembre successivo è narrata la posizione della causa; mentre nella quarta del 16 settembre medesimo trovasi l'esame ed il deposto de' testimoni fatto in detta controversia davanti al conte Bonifazio nel cassero di Santa Fiora; e finalmente nella quinta dello stesso giorno 16 settembre 1289 fu scritto il lodo che pronunziò in Santa Fiora l'arbitro C. Bonifazio, col quale fu condannato il Comune dell'Abbadia a demolire la gualchiera costruita sul fiume Vivo, oltre l'inibizione di eleggere in avvenire gli uffiziali e ministri di quel Comune senza licenza degli abbati di S. Salvadore; infine l' arbitro in quel lodo assolveva il Comune dell' Abbadia dalla pena pecuniaria.
    Un' altro istrumento della provenienza medesima scritto lì 8 gennajo del 1291 nel cassero di Arcidosso ci scuopre un conte Umberto Palatino figlio del fu conte Ildebrandino di Santa Fiora, e conseguentemente fratello del conte Bonifazio II di sopra nominato. Forse erano le mogli di cotesti due fratelli, C. Bonifazio II. e C. Umberto, donna Giovanna e donna Isabella contesse di Santa Fiora, le quali, per atto rogato nel palazzo di Santa Fiora lì 8 ottobre 1295, confessarono di aver ricevuto a frutto dal sindaco del Monastero Amiatino numero 960 capi di bestiame stimato a ragione di lire 55 il cento per il tempo e termine di quattr'anni.
    Un istrumento poi del 23 di giugno, anno 1303, scritto nel castello di Santa Fiora, rammenta un Ildebrandino Novello conte di Santa Fiora, probabilmente figlio di uno de' suddetti fratelli, il quale ricevé a locazione per un ventennio dai monaci del Mont’ Amiata i pascoli posti nel distretto di Collecchio, in luogo denominato la Valentina, per l'annuo fitto di lire 50 cortonesi. – (Arch. Dipl. Fior. Carte della Badia stessa ).
    Finalmente
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    fra le membrane della Badia dell'Ardenghesca una del 10 gennajo 1362 scritta in Siena contiene la condanna in lire 500, con la restituzione della sesta parte del Castello di Scansano in favore di Spinello del fu Spinello de' Tolomei stato spogliato dal C. Ildebrandino figlio del fu C. Pietro degli Aldobrandeschi di Santa Fiora. – (Arch. Dipl. FIOr. Carte del Mon. degli Angeli di Siena ).
    La storia frattanto non dimentica come i conti Aldobrandeschi del ramo di Santa Fiora per avere abbracciato il partito Ghibellino furono spesso in guerra con il Comune di Siena.
    Il cronista Andrea Dei sotto l'anno 1280 fa menzione di una lega fra i fuorusciti di Siena e un conte di Santa Fiora conico il governo senese, per cui in quell’ anno e nei tre successivi le armi della repubblica si recarono a oste a Pari, a Rocca Strada, a Santa Fiora, a Scansano ed in altri castelli occupati dai Ghibellini fuorusciti e dai conti di Santa Fiora, finché questi e quelli nel 1300 furono astretti ad accordarsi col Comune di Siena che rese a quei conti il castello di Scansano, i pascoli di Collecchio ecc, previa la rinunzia fatta dai conti medesimi di ogni ragione clic avessero sopra Castiglion d’ Orcia.
    Lo stesso cronista all'anno 1303 aggiunge, che in detto anno si comprò Talamone per il Comune di Siena dall'abbate della badia di S. Salvadore (si legga de' SS. Vincenzio e Anastasio alle Tre Fontane) per fiorini 8000 d'oro e possedevanlo i conti di Santa Fiora e per loro lo tenevano. – Vedere TalamoNe.
    Di altre imprese militari tentate dai conti di Santa Fiora trovasi menzione nella cronaca stessa del Dei sotto gli anni 1328 e 1330, quando Ghinozzo signore di Sasso forte cavalcò con le sue masnade contro i castelli di Magliano e di Montemerano, dove restò rotto dai conti prenominati; talché fuggendo egli
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    sul territorio senese più vicino, andò a ripararsi nel Castello dell'Accesa di pertinenza dei vescovi di Massa; ma assediatovi dalle genti dei conti di Santa Fiora, Ghinozzo alla fine fu costretto darsi prigione ai suoi nemici, che lo condussero nel loro cassero, dove poco tempo dopo morì d'inedia per scarsità di nutrimento.
    Quindi all'anno 1331 del mese d'agosto lo stesso Dei aggiunge come il Comune di Siena avendo inviato le sue masnade contro i conti di Santa Fiora, quelle si posero a oste ad Arcidosso, uno de' buoni castelli di essi conti, e tanto vi stettero che il presero a patti avendo alla loro testa Guido del Riccio di Modena capitali di guerra; nella quale occasione furono tolti a quei conti i castelli di Samprugnano e di Scansano, e dato il guasto al paese intorno a Santa Fiora.
    Ma dipoi (soggiunge il cronista sanese) si fece coi detti conti l'accordo, firmato in Siena dai sindaci respettivi nel giorno 18 novembre dell'anno 1331.
    A tenore di quel trattato originale esistente nell'Arch. delle Riformagioni di Siena si apprende, che fra i varj conti della consorteria di Santa Fiora figuravano allora il conte Conticino figlio del G. Guido, ed il conte Enrico figlio di altro conte Enrico nato dal C. Ildebrandino di Santa Fiora, a favore de’ quali i Signori Nove mostraronsi generosi, tostochè condonarono loro i censi arretrali che sino dal 18 ottobre p. p. quei conti avevano promesso di pagare annualmente al Comune di Siena.
    Due altri conti della stessa linea di S. Fiora, oltre i sopranominati,stando a quanto scrisse Orlando Malavolti nella P. II della sua istoria sanese, figurarono nei capitoli di quell'accordo, cioè un C. Guido (diverso dal padre del nominato Conticino), ed un conte Stefano figlio del C. Ildebrandino Novello; e fu probabilmente quest'ultimo quel conte Stefano di Santa Fiora che il cronista Andrea Dei lo da morto in Siena
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    nel giorno 3 dicembre dell'anno 1346.
    Dobbiamo pure allo scrittore stesso contemporaneo il fatto che ivi si narra di un conte Jacopo, il quale cessò di vivere in Santa Fiora nel giugno del 1346 lasciando il Comune di Siena erede della sua porzione di beni e castelli, dei quali luoghi però (aggiunge il Dei) i Senesi non poterono per allora entrare al possesso.
    Nell'anno medesimo 1346 fu colpito da un fulmine poco fuori del castel di Santa Fiora il conte Pietro figlio del C. Enrico e nipote di altro conte Enrico, ed aggiunge il Dei, che nel novembre antecedente nel Castello dell'Abbadia San Salvadore era stato ucciso nell' istante da un altro fulmine il C. Enrico fratello del suddetto conte Pietro. E cosi (soggiunge il cronista) due fratelli carnali in nove mesi morirono di saetta, che ne fu gran danno.
    Il qual conte Enrico teneva quasi per suo il castel dell'Abbadia San Salvadore per concessione fattagli dal Comune di Orvieto, in cui il distretto dell’Abbadia era compreso. Ma nel mese di ottobre del 1346 l'abbate del Monastero di S. Salvadore considerando in quale decadenza trovavasi il Comune di Orvieto, donò al popolo e Comune senese il castel dell'Abbadia S. Salvadore, e ciò avvenne, (soggiunge il cronista Dei) perché quell’ abbate era stato espulso dal suo monastero dai figliuoli del fu conte Enrico di Santa Fiora, che ritennero quel paese infino al febbrajo dell'anno susseguente. – Fu allora che gli uomini del Castello dell'Abbadia si sottomisero al Comune di Siena; ed acciocché i figli del fu conte Enrico, per i diritti sul castello e distretto preindicato dal padre acquistati non se gli opponessero a volere che con le loro masnade si partissero di là, gli furono donati dal Comune di Siena 4500 fiorini d'oro in tre paghe, e così il castello dell'Abbazia San Salvadore restò libero ai senesi che vi mandarono tosto un potestà per governare quegli abitanti. – (Muratori, Script. Rev.
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    Ital. T. XIV.)
    L'ultimo documento dell'Arch. delle Riformagioni di Siena che ci scuopre un C. lldebrandino un fratello del C. Enrico giuniore, nato dal C. Pietro di Santa Fiora di sopra citato, è dell’anno 1362, 10 gennajo. – Resta per altro finora ignoto il nome del padre di quel conte Guido che prima della metà del secolo XV, essendo restato senza figli maschi, lasciò erede della contea di Santa Fiora donna Cecilia figliuola sua primogenita, la quale si maritò a Bosio di Muzio Sforza Attendalo di Cotignola, stirpe che dominò oltre due secoli nella contea di Santa Fiora.

    Linea dE’ CoNti Sforza Attendono di SaNta FIORA, E DEGLI SFORZA CESARINI DAL 1439 SINO ALLA SOPPRESSIONE DELLA CONTEA.

    Se la grande fa miglia de’ conti Aldobrandeschi ha avuto di corto nel Cav. commendatore Daniello Berlinghieri un diligente scrittore nelle Notizie degli Aldobrandeschi pubblicate in Siena nel 1842 per cura di G. Porri, notizie che recarono molta luce sui nomi e sulle gesta loro; grandissima e completa è stata quella testé apportata alla linea dei conti Sforza successa nella contea di Santa Fiora dal ch. conte Litta autore della più grand' Opera italiana del secolo in cui viviamo. – Devesi pertanto a lui la genealogia la più completa e la più esatta del ramo degli Sforza Attandolo da Cutignola, cui pervenne tutta la contea di Santa Fiora mediante il matrimonio effettuato nel 1439 da Bosio, figlio di Muzio Sforza e di donna Antonia Salimbeni di Siena, maritato alfa contessa Cecilia primogenita del C. Guido che fu l'ultimo conte degli Aldobrandeschi di Santa Fiora e forse l’ultimo uomo di quell'illustre antichissima prosapia.
    Da cotesto matrimonio nacquero tre femmine ed un solo maschio, Guido Sforza, il quale alla morte del padre succede nella contea di Santa Fiora. Ma cinque anni innanzi di morire, il conte Bosio, per oggetto di assicurare al figlio la contea
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    predetta, strinse amicizia col Comune di Siena mediante convenzione stipulata lì 30 aprile del 1471, mercé cui il C. Guido di lui figlio e lutti i suoi discendenti s'intendevano raccomandati in perpetuo al Comune di Siena con obbligo di soddisfare ogn'unno a titolo di censo 25 ducati larghi per la festa dell'Assunta sotto pena di 3000 fiorini d'oro. – (Arch. Dipl. SaN., Kaleffo dell'Assunta.)
    Era cotesto quel conte Guido Sforza che nel 1464 pregò il Pontefice Pio II, mentre passava Pestale di quell'anno all' Abbazìa S. Salvadore sul Montamiata, a volere onorare di una sua visita il vicino castello di Santa Fiora, ed il conte che lo attendeva ad ospizio.
    Per asserto adunque dello stesso Pontefice (Comment. P. II. Lib. IX.) il C. Guido di Bosio Sforza governò da buon padre i sudditi che lo amavano, come persona reputata del loro sangue; e fu quel C. Guido stesso che per allontanare dal suo piccolo stato ogni pericolo di guerra si mantenne in amicizia con la Repubblica di Siena, con i duchi di Milano e con i signori di Pesaro della stessa famiglia Sforza. Inoltre, avendo potuto acquistare l'aderenza dell’Imperatore Massimiliano I, tale sua politica gli valse tanto che il Pontefice Alessandro VI con questa linea de' conti Sforza la costretto a desistere dalle sue mire in favore del duca Valentino.
    Il conte Guido medesimo nei 1490 assegnò ai Francescani Riformati l'antico monastero di donne della SS. Trinità situato nel distretto di Santa Fiora, mentre pochi anni dopo il di lui figlio Federigo fondò in Scansano (anno 1507) quello di S. Pietro abitato pur esso dai PP. Riformali, dei quali claustri seguì la soppressione nel 1809 e quindi la riapertura loro nel 1815.
    L'ultimo documento relativo al suddetto C. Guido di Bosio Sforza mi si presenta in una membrana dell' Arch. Dipl. Fior. provenuta dallo spedale di Bonifazio, scritta nella rocca di Santa Fiora nel 4 ottobre del 1496.
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    Con essa il C. Guido Sforza di Santa Fiora confermava un lodo del 28 agosto di detto anno sopra la lite che verteva fra esso e donna Nanna di Niccolo Soderini moglie di Ugo degli Alessandri di Firenze, a cagione di alcuni possessi nel territorio di Bibbione in Val di Pesa.
    Il suddetto conte Guido di Bosio Sforza ebbe da donna Francesca d'Angelo Farnese, nipote di Paolo III, cinque femmine ed un maschio per nome Federigo, che fu il terzo conte di Santa Fiora del ramo Sforza. Questo pure si fece ben volere dai vassalli che se gli mostrarono fedeli e coraggiosi in occasione dell'invasione tentata dal duca Valentino, per cui il loro signore accordò ai medesimi molti privilegj. Cotesto conte innanzi di morire, (anno 1517), fece rogare un atto di famiglia, affinchè la contea di Santa Fiora si mantenesse riunita in un solo de' suoi tre figli maschi nati da donna Bartolommea di Niccolo Orsini conte di Pitigliano, e affinchè il detto stato si conservasse sotto vincolo di primogenitura.
    Quindi alla morte del conte Federigo succedé nel governo della contea di Santa Fiora il suo primogenito Bosio II, che si accoppiò con donna Costanza farnese, a contemplazione de la quale il Pontefice Paolo III profuse ricchezze e privilegi amplissimi alla casa Sforza di Santa Fiora. Morendo Bosio II nel 1545 succede nella contea il C. Sforza suo primogenito e fratello del cardinal Guido Antonio. Paolo III lo aveva spedito nel 1540 contro la città di Perugia ribellatasi, quindi lo creò governatore di Parma e Piacenza, e nel 1548 capitan generale della cavalleria pontificia. Finalmente nel 1552 fu inviato da Carlo V all'impresa di Siena col grado di capitan generale della cavalleria italiana e spagnuola. Sottomessa quella città, il conte Sforza venne eletto governatore della medesima, e Cosimo I gli diede il comando, delle sue truppe per condurre a fine la conquista di tutto il territorio senese; poscia nel 1560 il di lui fratello cardinal Guid' Antonio, fu investito
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    del feudo di Roccalbegna, col diritto di far succedere in esso lo stesso conte Sforza ed il suo figlio primogenito.
    Da donna Luisa unica figlia del Marchese Pallavicino Pallavicinì, alla quale il C. Sforza nel 1540 si era maritato, nacquero tre maschi ed una femmina.
    Il primogenito Francesco, mancato il padre nell'ottobre del 1575, gli succede nella contea di Santa Fiora e nel feudo di Roccalbegna, che alla sua morte (settembre 1624) ritornò alla corona di Toscana. Questi non ebbe che una femmina, per nome Caterina, ed un maschio naturale chiamato Sforzino. Frattanto succede alla contea di Santa Fiora il conte Alessandro figlio di Federigo e fratello del C. Sforza; il quale fu eletto duca di Segni dal Pontefice Sisto V col diritto di successione in quel ducato de' suoi discendenti. La moglie donna Eleonora, figlia di Paolo Giordano Orsini e nipote dei Granduchi di Toscana Francesco I e Ferdinando I, erasi separata dal marito quando fondò nel 1609 in Santa Fiora il monastero delle Cappuccine, soppresso nel 1809 e riaperto nel 1815.
    Il C. Alessandro del fu C. Federigo Sforza per istrumento del gennajo 1616 (stile comune) vendé al Granduca Cosimo II per il prezzo di 215,000 scudi romani la Terra di Scansano in Maremma, insieme al suo distretto che fino allora aveva fatto parte della contea Aldobrandesca di Santa Fiora. – Vedere SCANSANO.
    Fra i tre figli maschi, che il C. Alessandro lasciò morendo nel 1632 succedé nella contea il primogenito Mario nato in Firenze nel 1594. Il Pontefice Paolo V all'occasione delle di lui nozze con Renata di Carlo di Lorena dei duchi di Guisa eresse a suo riguardo il feudo d'Ornano in ducato, per assegnarlo al conte prenominato ed ai primogeniti nati dal predetto connubio.
    Ma gli enormi debiti che il C. Mario aveva fatto in gioventù lo posero nel bisogno di vendere la sovranità di Santa Fiora al Granduca Ferdinando II; lo che fu
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    effettuato per istrumento del 9 dicembre 1633 mediante il prezzo di 466,000 scudi romani, col ritenere su di essi a titolo di deposito nel regio tesoro la somma di scudi 77250, affinché stasse in favore di Alessandro Pallavicini per ogni sua ragione e credito contro il predetto conte Mario Sforza, e scudi 218,300 per avere il G. D. Ferdinando II contemporaneamente infeudato la contea di Santa Fiora allo stesso venditore.
    Si avverta, come fra le condizioni con le quali la contea di Santa Fiora fu ricevuta sotto accomandigia della Repubblica di Siena trovavasi questa: che non si potesse procedere alla vendita di quella contea senza precedente licenza e consenso del Comune di Siena, ed in caso di contravvenzione si dichiaravano nulli i contratti. Così il Granduca di Toscana come sovrano padrone di Siena e del suo Stato in quel coni ratto fece esprimere, che appena la vendita della contea di Santa Fiora avesse avuto effetto, s'intendeva, in vigore delle preaccennate antiche ragioni della Repubblica di Siena, che al Granduca medesimo la stessa contea fosse devoluta.
    Ed avvegnaché poteva cadere il sospetto che la contea di Santa Fiora fosse sottoposta al vincolo di fidecommisso, così anteriormente alla stipulazione del contratto predetto, con deliberazione del magistrato sapremo di Firenze, quello stato fu svincolato mediante la surroga di altrettanti beni liberi del conte Mario Sforza.
    Convenuti sulle condizioni ed i mezzi, fu concluso T atto di acquisto, e nel medesimo giorno 9 dicembre 1533 S. A. S. concesse in feudo allo stesso conte venditore lo stato e contea di Santa Fiora con i vassalli ed il territorio annesso, parte del quale nella diocesi di Città della Pieve, una volta in quella di Chiusi, ed il rimanente spettante alla diocesi di Soana, per tenérsi da lui, dai figli, dai discendenti ed eredi maschi in infinito con ordine di primogenitura, e ciò mediante la somma di scudi romani 218,300, dei quali il Granduca si dichiarava suo debitore per residuo di prezzo della compra anteriormente
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    fatta della stessa contea. – Venendo poi ad estinguersi la linea mascolina del conte Mario, un articolo del contratto prescriveva, che la contea di Santa Fiora passasse con gli stessi diritti ed ordine ai discendenti di Federigo Sforza, allora protonotario apostolico, di poi cardinale, ed in mancanza di questi ai figli e discendenti del conte Paolo o a quelli del conte Enrico, due figli del C. Alessandro e conseguentemente fratelli del conte Mario primo investito.
    In tal guisa i conti di Santa Fiora, mercé l'atto suddetto d'infeudazione, divennero feudatarj dei Granduchi di Toscana.
    Il Crescimbeni ripone cotesto Mario fra i poeti italiani per poche sue rime stampate fra gli applausi poetici di Lionora Baroni Anche il Manni nel T. XII de' Sigilli antichi ne illustrò uno del C. Mario, rappresentante l’arme propria de’conti Sforza innestata a quella della ducale casa di Guisa, da cui nasceva Renata sua moglie, ed in giro a quel sigillo si leggevano le seguenti parole: Marius de Comitibus QUORTIA Dux SIGNIAE II.
    Il conte Mario mancò nel 26 settembre del 1638, lasciando un solo figlio Lodovico, che morì in Santa Fiora ai 7 marzo del 1685 senza prole. Per effetto di ciò fu chiamato a seguitare la linea de conti di Santa Fiora il C. Paolo, uno dei figliuoli di Alessandro nato dal C. Federigo; il qual conte Paolo era marchese di Proceno dove nacque nel n giugno 1602, e dove morì nel 12 settembre del 1669. Egli si era maritato in prime nozze nel 1639 a donna Isabella Bentivogli di Ferrara, ed in seconde nozze a donna Olimpia figlia di Federigo Cesi, P. insigne fondatore dell'accademia de' Lincei di Roma. Fra i figli di quest' ultima fuvvi fra gli altri Federigo II Sforza nato in Caprarola nel 14 agosto 1654 che poi continuò la successione de' conti di Santa Fiora. Le nozze da lui contratte nel 27 febbrajo del 1674 con donna Livia Cesarini, figlia ed erede del duca Giuliano,
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    furono l’ oggetto di mille vicende per le controversie suscitategli contro dai Colonna, nella cui famiglia era entrata una sorella minore di donna Livia. Ma tutti gl'intrighi riescirono vani, poiché la Ruota di Roma con sentenza finale del 12 febbraio 1697 investì il conte Federigo Sforza Cesarini dei vasti patrimonj Savelli, Peretti e Cesi dovuti alla sua moglie donna Livia Cesarini. Allora il C. Federigo Sforza innestò al suo primo casato degli Sforza quello de'Cesarini e fu il primo fra i conti di Santa Fiora della nuova razza.
    Il C. Federigo Sforza Cesarini morì in Roma dove fissò il domicilio lasciando dalla moglie Livia Gaelano suo primogenito col titolo di duca di Segni e di conte di Santa Fiora. Egli nato nel 1674 si maritò nel giugno del 1703 a donna Vittoria di Lottieri Conti duca di Poli e nipote del Pontefice Innocenzo XIII. Da cotesto matrimonio nacque al 10 giugno 1705 Giuseppe Sforza Cesarini, che fu il successore alla contea di Santa Fiora, e che, sebbene morisse in Roma nel dì 11 agosto 1744, ordinò che il suo corpo si trasportasse a Santa-Fiora nella chiesa di S. Chiara delle Cappuccine, dove esiste un'apposita iscrizione in marmo.
    Fra gli otto figli nati al C. Giuseppe Sforza Cesarini dal matrimonio contratto nel 1726 con donna Maria di Vincenzio principe Giustiniani, il primogenito Filippo divenne il capo della famiglia; cioè, duca di Segni e conte di Santa Fiora, dove morì lì 6 dicembre 1767, sepolto pur esso con iscrizione nella chiesa di quelle Cappuccine.
    Dal matrimonio di esso lui (anno 1749) con Anna Maria Colonna Barberini figlia di Giulio Cesare principe di Palestina, venne alla luce nel 24 settembre dell'anno appresso un figlio in Giuseppe Michelangelo Sforza Cesarini, al quale, essendo mancato di vita nell’ età di 4 anni succede il zio duca Gaetano al di lui padre conte Giuseppe. Da esso e da donna Marianna di Michelangelo duca di Sermoneta
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    nacque ai 20 luglio del 1773 il C. Francesco, che fu l'ultimo conte di Santa Fiora di casa Sforza Cesarini.
    Avvegnaché durante la vita del conte Giuseppe Sforza Cesarini il Granduca di Toscana Francesco II, e primo Imperatore di questo nome, con motuproprio del 3 dicembre 1750 ordinò, che il feudo di Santa Fiora fosse esente dalla legge generale sui feudi Granducali emanata sotto dì 21 aprile 1749, rispetto ai casi seguenti; 1.° che il conte feudatario potesse continuare ad esigere la tassa di cinque paoli per famiglia dai vassalli di Santa Fiora, di Selvena e di Cortelvecchia, oltre la solita tassa delle zappe e lire, che nella somma di scudi ventuno romani pagavano gli abitanti di Castell’ Azzara; 2.° che il conte feudatario potesse continuare a godere del profitto delle miniere e dei minerali compresi nel suo feudo, conforme era stabilito dal motuproprio del 14 marzo 1747; 3.° che restasse in facoltà del conte di approvare il predicatore, il maestro di scuola ed il medico, purché l'elezione loro cadesse in persone suddite del Granducato; 4.° che la Comunità di Santa Fiora fosse obbligata a pagare il sale nella somma di scudi sessanta al commissario del feudo, e scudi quaranta al capitan di giustizia destinato pro tempore auditore del feudo; 5.° che gli abitanti della contea di Santa Fiora fossero obbligati al pagamento delle pigioni delle case di proprietà del feudatario.
    Sette anni dopo fu emanato un secondo motuproprio, in data del dì 8 settembre 1757, relativamente alla vendita del tabacco dentro il territorio feudale di Santa Fiora.
    Quindi lo stesso Granduca Francesco II con sovrano rescritto dei 14 giugno 1761 dichiarò che il collegio medico di Siena non dovesse avere alcuna giurisdizione e diritto per far la visita delle spezierie poste nella contea di Santa Fiora.
    Due anni dopo, una sentenza data in Firenze 13 luglio 1763 dalla Pratica secreta, dichiarò, doversi reintegrare il feudatario di Santa Fiora nel diritto di esigere
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    la gabella dell'estrazione del bestiame dagli abitanti di Castell' Azzara, come pure nel dazio delle legna, a ragione di una soma per fuoco, da pagarsi dai vassalli della Comunità di Santa Fiora, per essere esistite dette gravezze, diceva quella sentenza, innanzi l’ infeudazionedel 1633. – (Arch. delle Riform. di Fir.)
    Rispetto poi al dazio della paglia che si pretendeva da quel feudatario, ne fu fatto un riservo coll’ incarico al conte di giustificare cotesto diritto (ivi).
    Ma salito sul trono della Toscana il Gran Leopoldo tutti i vassalli dei feudi Granducali furono liberati da simili e da tanti altri aggravi, ed in quanto al duca Francesco Sforza Cesarini figlio di Gaetano conte di Santa Fiora per i diritti ch'egli esigeva, tanto utili quanto onorifici, fu indennizzato dal generoso sovrano con una rendita equivalente ai primi, mentre rispetto ai secondi restò investito nel 1789 del priorato di San Miniato dell'ordine cavalieresco di S. Stefano PP. da passare ai suoi discendenti maschi e primogeniti. – (Litta, Della Famiglia de’ Sforza conti di S. Fiora; e Arch. delle Riform. già cit.)
    Fino a cotesta ultima epoca risiedé in S. Fiora un vicario feudale nominato dal conte, dipendente però, a tenore della legge del 1751 per gli atti criminali dal vicario regio di Arcidosso.
    Lo statuto municipale di Santa Fiora esistente nell’ Arch. delle Riformagioni di Siena è la copia di uno più antica, in cui si leggono le firme de' conti Maro, Lodovico e Federigo Sforza, i quali nel secolo XVII signoreggiarono in Santa Fiora in qualità di feudatari de' Granduchi di Toscana.
    Rispetto alla pieve del capoluogo sotto l'invocazione delle SS. Flora e Lucilia essa era battesimale sino dal secolo XII, tosto che un istrumento dell'Arch. Borghesi Bichi di Siena del dì 8 giugno 1144 fu rogato in Santa Fiora nella via pubblica presso la pieve, ossia davanti la chiesa di S. Flora; a piè del qual rogito si firmò come testimone il prete
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    Ranieri pievano di quella.
    Il popolo di Santa Fiora fece parte della diocesi di Chiusi finché il Pontefice Clemente VIII con bolla del 9 novembre 16011 eresse in sede vescovile una delle Terre principali del contado di Chiusi, cioè, Città della Pieve, alla quale furono assegnate, fra le 18 chiese battesimali staccate dalla diocesi Chiusina, tre parrocchie comprese tuttora nel Granducato, vale a dire, Camporsevoli, le Piazze e Santa Fiora. Ignoro se fu sotto i nuovi vescovi di Città della Pieve quando i rettori della parrocchia di Santa Fiora furono decorati del titolo di arcipreti.
    Cotesta chiesa è adorna di varj bassori-lievi di terra vetriata detta della Robbia.
    Di data più antica e assai maggiori sono le memorie supersiti relative al Monastero della SS. Trinità posto alla sinistra del fiume Fiora e circa miglio toscano uno e mezzo a ostro della Terra omonima. Ma innanzi che quel claustro fosse dato ai Frati Francescani della Riforma (anno 1490), era stato abitato dalle monache Cistercensi, affiliate al monastero di Monte Cellese, poi di S. Prospero, appellate finalmente del Santuccio dentro Siena, professanti la stessa regola Cisterciense.
    A provare il giuspadronato che aveva la badessa del Monastero di Monte Cellese sopra quello della SS. Trinità sul Monte Calvo esistono nell'Arch. Borghesi Bichi di Siena molte membrane archetipe fra le quali citerò il deposto di varj testimoni, esaminati nel 7 febbrajo 1205 in S. Quirico d'Osenna d'ordine de' legati pontifìci davanti un notaro; nel primo dei quali esami il prete Raffaello depose, qualmente egli aveva veduto non solo i servi del Monastero della SS. Trinità di Monte Calvo portare alla badessa di quello di Monte Cellese presso Siena l'annuo tributo di 60 pani melati e pepati, di 30 forme di cacio, di un coltellino per ciascuna di quelle monache, di due pani di cera del peso di libbre 12; ma che il testimone stesso aveva una volta accompagnato quei servi a recare il tributo prenominato. – La cosa
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    medesima fu deposta dal prete Angiolo da Petroio, dal converso Carlendo, da un tal Gallicano di Caffarello, da tre monache, dal prete Guido, e da varj altri.
    Il terzo stabilimento religioso è quello della chiesa e monastero di S. Chiara delle Cappuccine, fondato dentro la Terra di Santa Fiora al principio del 1600 dalla contessa Eleonora figlia di Giordano Orsini e moglie del conte Alessandro Sforza duca di Segni. – La chiesa di questo monastero può dirsi la cappella sepolcrale dei conti Sforza Cesarini di Santa Fiora, alcuni dei quali vi furono tumulati.
    Il convento di S. Agostino esistente pur esso dentro Santa Fiora fu soppresso fino dal secolo passato.
    La chiesa più moderna di questa Terra è quella dell' oratorio detto del suffragio.
    Il paese di Santa Fiora attualmente va abbellendosi di un museo di oggetti di belle arti, specialmente di statuaria antica, che va raccogliendo in Roma un monsignor Luciani di Santa Fiora, museo del quale molti giornali ed opuscoli hanno con qualche predilezione di già parlato.

    MOVIMENTO della Popolazione della TERRA DI SANTA FIORA a tre epoche diverse (1).

    ANNO 1745: Impuberi maschi 269; femmine 204; adulti maschi 291, femmine 330; coniugati dei due sessi 452; ecclesiastici dei due sessi 62; numero delle famiglie 272; totale della popolazione 1365.
    ANNO 1833: Impuberi maschi 279; femmine 279; adulti maschi 251, femmine 296; coniugati dei due sessi 598; ecclesiastici dei due sessi 38; numero delle famiglie 345; totale della popolazione 1901.
    ANNO 1840: Impuberi maschi 328; femmine 329; adulti maschi 298, femmine 291; coniugati dei due sessi 634; ecclesiastici dei due sessi 41; numero delle famiglie 496 (530); totale della popolazione 2209 (2500).

    (1) Manca la Popolazione della prima epoca, quando la Terra di Santa Fiora era dominata dai suoi Conti innanzi che divenissero feudatarj della Corona Toscana.

    Comunità di Santa Fiora. – Il territorio di questa Comunità occupa una
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    superficie di 41192 quadrati, dei quali 1342 spettano a corsi d'acqua e a strade. – Nel 1833 vi abitavano 4397 individui, a proporzione di 86 persone per ogni miglio toscano quadrato di suolo imponibile.
    Confina con sei Comunità del Granducato, dal lato di grecale per il tragitto di circa mezzo miglio con lo Stato Pontificio.
    Imperocché il territorio della Comunità di Santa Fiora dal lato di scirocco fronteggia con quello della Comunità di Sorano, a partire dalla ripa sinistra del fiume Fiora là dove confluisce il borro del Confine, mercé cui i due territori entrano nel fosso delle Carboniere, per dirigersi verso levante sul poggio detto della Cimarella, e quindi riscendere la sua pendice a levante, di là dalla quale entrano nel torrente dello il Fiume. Lungo esso i due territorj comunitativi s'inoltrano verso grecale dove abbandonano il torrente prenominato per attraversare una umile montuosità, le cui acque fluiscono in un altro fosso detto esso pure del Confine in seguito dirigonsi nel borro delle Goracce, col quale entrano nel torrente Siete tributario del fiume Paglia. Costì presso incontrasi il territorio della Chiesa, col quale, dopo varcalo il torrente Siete, quello della Comunità di Santa Fiora voltando faccia a grecale incamminasi salendo contr'acque verso maestrale lungo la ripa sinistra del Siete. Dopo no mezzo miglio di cammino sottentra dallo stesso lato la Comunità granducale di Pian Castagnajo, con la quale la nostra entra nel Siete, che insieme rimontano nella direzione di ponente incamminandosi verso le sue sorgenti sul poggio del Nibbio per arrivare sul fosso delle Zolforate. Ivi variando direzione da ponente a settembre i due territorj entrano nel torrente Scabbia che presto attraversano per salire mediante il borro Abetola verso la cima del Mont' Amiata, che trovano al così detto Poggio Pinzi presso il Masso piramidale. Costassù si tocca con i confini del territorio comunitativo dell'Abbadia S. Salvadore, e con questo l'altro di Santa Fiora percorre il giogo della montagna nella direzione di grecale sino al Corno di Belluria.
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    Ivi i due territorj voltandosi verso ostro scirocco scendono nella Val d'Inferno e lungh' essa la nostra trova dirimpetto a ponente libeccio il territorio della Comunità di Castel del Piano. Con quest' ultimo passa pel Pianello della Montagnola, rasentando per via i prati appellati della Contessa. Costì viene a confine il territorio della Comunità di Arcidosso, e con esso il nostro scende la montagna nella direzione di libeccio lungo i termini dei Massi crociati, della Selva e del Prataccio, trapassando i poggi Biello, e Padiglioni, tino a che dopo una discesa di circa due miglia toscane arrivano sulla strada provinciale del Mont' Amiata fra Arcidosso e Santa Fiora, per di là proseguire altrettanto tragitto nella direzione di ostro fino a che giungono sulla sommità del Monte Labbro che resta due buone miglia toscane a libeccio di Santa Fiora. Costassù cessa la Comunità di Arcidosso e sottentra a confine il territorio della Comunità di Rocca Albegna, col quale l’ altro di Santa Fiora scende il fianco meridionale del Monte Labbro ed entra nel fosso Solforate, uno de' tributarj del fiume Albegna; quindi mediante il fosso predetto passano fra Rocca Albegna e la Triana, che abbandonano dal lato di ostro libeccio per rivolgersi a scirocco e salire mediante termini artificiali sui poggi che dividono a occidente le acque dell' Albegna da quelle verso levante del fiume Fiora, nel quale ultimo i due territorii comunitativi dopo aver sceso il poggio della Macruchina mediante il borro del Confine, sino alla sua confluenza in Fiora dove cessa la Comunità di Rocca Albegna e ritorna quella di Sorano.
    Fra i corsi più copiosi di acque che nascono e che scendono dalla parte meridionale del territorio di Santa Fiora può dirsi il fiume che ha preso il vocabolo dal paese donde scaturisce, sebbene fino al secolo XIII avanzato esso, come dissi, continuasse ad appellarsi Armino. Scaturisce copiosissimo e sempre perenne di mezzo alle scogliere trachitiche sulle quali fu fabbricato il Castello di Santa Fiora, donde precipitoso
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    discende per accoppiarsi sotto Santa Fiora al fosso Codone che viene dalla parte di grecale da Bagnolo e dal fianco superiore del Mont' Amiata. Quindi poco dopo vi si uniscono i minori torrenti del Teglia e di Scabbia, l'uno a maestrale l'altro a scirocco del fiume Fiora, dove essi pene perdono il loro nome. Fatto così più ricco d'acque il fiume s'incammina a ostro scirocco ricevendo per via a destra i torrenti Rigo e Tagona, ed a sinistra lo Scabbia, il Carminate, il Canale, il Beto ed altri fossi e borri, finché davanti a Soana dal lato di levante accoglie il torrente Calesine e verso ponente quello anche maggiore del Lente, che sbocca nel Fiora dirimpetto alla Terra di Pitigliano, mentre tre miglia toscane più sotto il Fiora si marita alla Fossa nuova. Passato quest'ultimo confluente il fiume Fiora esce fuori del territorio Granducale, e solamente davanti al poggio di Montautaccio ne lambisce i confini dirimpetto al contado di Toscanella dello Stato Pontificio, al quale d' allora in poi appartiene per intiero finché attraversando la spiaggia occidentale del Castello di Montalto sbocca nel mare Mediterraneo dopo una cinquantina di miglia di cammino dalla sua origine sul Mont'Amiata.
    Rispetto a strade rotabili tracciate nel territorio comunitativo di Santa Fiora, oltre quella provinciale del Montamiata che gira intorno a questa montagna passando per Castel del Piano, per Arcidosso, Santa Fiora e Pian Castagnajo, si conta oggidì costà più d' una via, sebbene malamente rotabile. Tale è quella che dal capoluogo conduce a Castell' Azzara; tale è l’ altra che da Castell' Azzara continua per la Sforzesca; tale può dirsi pure un ramo che staccasi dalla strada suddetta di Castell' Aazzara per condurre a Selvena. Tutte le altre vie sono mulattiere e pedonali.
    In quale stato fossero le strade a tempo de' conti Sforza di Santa Fiora lo dichiarò per tutti il Pontefice Pio II, allorché invitato, come si disse, dal conte Guido Sforza (anno 1462) si recò dall'Abbadia S. Salvadore a Santa
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    Fiora, nel quale breve tragitto dové quel signore con gran fatica aprire la via quasi impraticabile per essere in molti luoghi impedita e chiusa. – (Comment. Pii II. Lib. IX.)
    Attualmente non solo la strada provinciale che passa per cotesto tratto di paese è stata resa comoda e rotabile, ma rasenta anche la contrada di Bagnolo, sparsa di molte abitazioni fra selve maestose di castagni, in mezzo a piccoli campi, dove sul declinare del secolo XVIII fu eretta una chiesa parrocchiale, il cui popolo nel 1833 ascendeva già ad 885 abitanti, aumentato di un quinto nell'anno 1840. – Vedere il Quadro della popolazione della Terra di Santa Fiora alla fine dell' Articolo, e Bagnolo di Santa Fiora.
    Giova inoltre qui aggiungere, qualmente da due anni a questa parte per munificenza del Granduca Leopoldo II è stato assegnato al popolo di Bagnolo un medico che insieme a quel parroco esemplare vicenda si adoperano non tanto a prò della salute dell'anime e dei corpi, come ancora per istruire nel leggere, scrivere e abbaco i figli di quei villici.
    Un altro gruppo di simili abitatori sparsi fra i castagnai, in una contrada appellata delle Bagnerà, trovasi fra Arcidosso e Santa Fiora, ma vicina più a questa che non all'altra Terra, sicché quei montagnoli continuano a far parte del popolo di Santa Fiora.
    Fra le montuosità maggiori situate a confine, oppure comprese in questa Comunità, contasi una delle note sommità del Monte Amiata; chè il Poggio Pinzi, posto fra il Masso Piramidale ed il Corno di Bellaria; la qual prominenza fu riscontrata dal P. Inghirami braccia 1986 superiore al livello del mare Mediterraneo. Rasenta pure dal lato di libeccio il territorio di Santa Fiora una nuda spianata delta il Macereto sul vertice del Monte Labbro, alta più del Poggio Pinzi una sessantina di braccia, mentre la sua elevatezza trovasi di braccia 2045 sopra il livello del mare; ed è costassù dove
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    si toccano i territori di tre Comunità, cioè, di Arcidosso, di Rocca Albegna e di Santa Fiora. Resta poi nell' interno del territorio, dalla parte di scirocco del capoluogo di questa Comunità, il poggio di Civitella vecchia sopra Castell'Azzara, il di cui vertice fu dallo stesso astronomo trovato ascendere a braccia 1900 sopra il mare.
    Per quel che sia della struttura fisica di cotesta contrada, dico che i suoi terreni possono classarsi in due serie affatto diverse, mentre dalla cima del Montamiata sino al di sotto della Terra di Santa Fiora, e volendo anche sino all'alveo di questo fiume presso la confluenza in esso della Scabbia, si passeggia quasi sempre fra terreni vulcanici di trachite in massi ora durissimi ora fatiscenti, e riducibili in rena. Tali massi pietrosi racchiudono più o meno copiosi rognoni della stessa roccia, però più compatti, di tinta più nerastra, e che contengono frequenti volte de' pezzi informi di piombaggine ( carburo di ferro ).
    Il primo naturalista che visitò e descrisse cotesta contrada fu il celebre Pier Antonio Micheli allora quando, nel 1733, imprese a perlustrare questa e la vicina montagna di Radicofani; e fu lui il primo a dichiarare che la pietra dagli abitanti del Mont'Amiata appellata peperino, era quasi simile ad un granito, perché composta da tante particelle vetrine bianche (feldspato) e nere (mica e turmalina). Inoltre egli aggiungeva che simili d'istalli i quali si riducono in laminette per lo più esagone, incontransi più di frequente nelle pietre bianche friabili, mentre le più dure (appellate anime di sasso) sono di figura consimile a quella dei tartufi, sebbene di maggior mole.
    All’ incontro passato il fiume Fiora, al di là dal fosso Teglio e del torrente Scabbia suoi confluenti più vicini alla Terra in discorso, uno a sinistra e l’ altro a destra, cessano le scogliere ed i massi staccati del peperino, o trachite, talché la contrada cambia affatto di aspetto. – Infatti di là dai confini indicati incontransi quasi
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    per tutto rocce stratificate di calce carbonata o di macigno, dalle quali generalmente anche costà resta coperto il fianco settentrionale e quello verso levante del Monte Labbro.
    Alla destra del fiume citato e dalla Terra di Santa Fiora, salendo verso la montagna nel passeggiare sopra massi di peperino o di trachite, sentesi talvolta rintruonare il suolo al passare delle carra ed al calpestio de’ cavalli, la qual cosa mi accadde di osservare lungo la strada presso al confine del territorio di Santa Fiora con quello di Pian Castagnajo. Dissi, quasi sempre si passeggia sul terreno trachitico, stantechè vedesi qualche punto del pianoro del Monte Amiata dove si mostra a nudo il terreno stratiforme di calce carbonata come quello che serve di base ai massi di peperino, o trachite; ed è costà dove il calcare compatto color ceciato è attraversato da numerosi filoni di spato e di quarzo. Tale per modo di esempio si trova in un tratto di strada che per un miglio di cammino nella mattina del 25 giugno 1830 io faceva nel valloncello di Bagnolo, dove comparisce la roccia calcarea compatta spesse volte scoperta dai massi di peperino che più fatiscente e friabile esiste in cotesto lato della montagna, mentre durissimi, nerastri ed in scogliere enormi sono i massi che un miglio e mezzo più a libeccio compariscono in rupi a grandissima altezza dentro il paese e per fino sotto la Terra di Santa Fiora. Importante poi ne sembra la struttura geognostica del Monte Calvo. – È Calvo appellato il monte posto a levante scirocco di Santa Fiora dalla sua nudità, sebbene di Selva porti il nome la sua parte inferiore. Costà risiede il convento della SS. Trinità lungo una strada pedonale che sale pure a Belvedere e a Selvena, l'ultimo de' quali luoghi è un castello situato a ostro libeccio della Trinita presso dove esiste una cava di breccia calce joniosa durissima impastata con frammenti di rocce ofiolitiche, e di cui si servono quei paesani per fabbricare
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    macine.
    Forse ad una breccia consimile è da riportarsi la grande scogliera di una rupe denominata la Pietra Rossa, sporgente sopra un colle situato alla sinistra del fiume Fiora, fra il convento della SS. Trinità ed il capoluogo, rupe di cui diede una estesa descrizione Giorgio Santi nel cap. II del suo Viaggio al Monte Amiata.
    Inoltrandosi dalla Trinità verso la parte superiore del Monte Calvo, alle brecce sottentrano rocce db gabbro e di serpentini di vario colore, trovandosi i fianchi del monte stesso sparsi di cristalli di quarzo jalino di figura prismatica terminati da due piramidi. Scendendo dal castello di Selvena lungo il fosso delle Zolfiere, e non molto lungi dal solfato di calce, scaturiscono varie polle di acqua sulfurea ferruginosa, che deposita per via zolfo e solfuro di ferro, il quale ultimo convertesi poi in solfato. A raccogliere e ridurre in vetriolo verde cotesto solfato nei secoli indietro fu eretta costà una gran fabbrica, della quale diede il Mercati un'esatta descrizione con figure nella sua Metallotheca Vaticana. Allora cotesto edifizio era in pieno vigore, mentre adesso è abbandonato affatto.
    Risalendo il poggio di Selvena veggonsi a fiordi terra le cave del cinabro, (solfuro di mercurio) affogato nella marna argillosa terziaria non di rado mista a delle rocce di calce carbonata dendritica. – La minierà soleva presentarsi in sottili vene o filoncini di color rosso vivo turchinastro, dai minerologi riguardata come la più povera; ma coteste miniere per il loro poco fruito sono state qualche tempo lasciate in abbandono. Ripassando il fiume Fiora per andare da Selvena verso il castelluccio di Triana, sebbene quest’ ultimo sia compreso nel territorio della Comunità di Roccalbegna merita di esser dal geologo visitato per le sue rocce ofiolitiche emergenti da una diramazione australe del Monte Labbro, donde scaturisce il fosso delle Zolforate tributario del fiume Albegna. – Vedere Triana di Roccalbegna.
    Lo stesso Giorgio Santi indicò i luoghi e i nomi del territorio comunitativo di Santa Fiora dove emergono delle acque minerali. Tali sono le sorgenti gasose d'Acqua
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    forte presso il fosso degli Ontani sul con fine del territorio verso Arcidosso; tali quelle dell’ Acqua ferruginosa sulfurea presso il fosso delle Zolfiere sotto Selvena, mentre dell' altra Acqua solforosa acidula che scaturisce presso Casanuova nella corte o distretto di Triana ne fu parlato all'Articolo Roccalbegna, Comunità.
    Il Quadro che qui appresso si riporta basta per indicare lo stato progressivo della popolazione nella Comunità di Santa Fiora dal 1745 in poi; vale a dire dacché i vassalli di questa contea al pari di tutti i feudi granducali furono svincolati da molti aggravj baronali. In conseguenza di ciò lo stato di cotesta popolazione andò migliorando più che altro nella parte agraria e nella pastorizia in guisa che una delle maggiori sue risorse consiste, dopo quella delle selve, nel bestiame minuto, pecorino e porcino.
    È da desiderare bensì che gli abitanti di Santa Fiora profittino maggiormente della ricchezza delle acque perenni che costantemente abbondanti scaturiscono dentro il loro paese ed in un pendio molto inclinato per mettere in moto varie macchine opificiarie, mentre esse per ora non danno il molo altro che a poche macine da mulino, a due gualchiere e ad una ferriera, quando a tante altre lucrose manifatture esse potrebbero servire di sussidio.
    La Comunità mantiene due medici, un chirurgo e due maestri di scuola, oltre un medico provvisoriamente mantenuto in Bagnolo a spese del R. erario.
    Nel primo giovedì di ogni mese si pratica in Santa Fiora un piccolo mercato, che prende il nome di fiera, lì 4 maggio lì 16 e 17 agosto, sebbene quest' ultima sia di qualche concorso specialmente pel bestiame.
    Risiede in Santa Fiora un potestà ed un cancelliere ajuto, il primo di questi sottoposto per il criminale al vicario R. di Arcidosso, e l'altro al cancelliere comunitativo residente pur esso in Arcidosso, dov' è P ingegnere di Circondario. – L'uffizio di esazione del Registro è in Castel del Piano, la conservazione delle Ipoteche ed il tribunale
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    di Prima istanza sono in Grosseto.

    QUADRO della Popolazione della COMUNITA’ di SANTA FIORA a tre epoche diverse (1).
               
    - nome del luogo: Bagnolo, titolo della chiesa: SS. Nome di Maria (Cura), diocesi cui appartiene: Città della Pieve (già Chiusi), abitanti anno 1745 n° -, abitanti anno 1833 n° 885, abitanti anno 1840 n° 1016
    - nome del luogo: Castell’Azzara, titolo della chiesa: S. Niccolò (Arcipretura), diocesi cui appartiene: Soana, abitanti anno 1745 n° 534, abitanti anno 1833 n° 835, abitanti anno 1840 n° 959
    - nome del luogo: Cellena già Cortevecchia, titolo della chiesa: SS. Annunziata, diocesi cui appartiene: Soana, abitanti anno 1745 n° 67, abitanti anno 1833 n° 97, abitanti anno 1840 n° 97
    - nome del luogo: SANTA FIORA, titolo della chiesa: SS. Flora e Lucilla (Arcipretura), diocesi cui appartiene: Città di Castello (già Chiusi), abitanti anno 1745 n° 1629, abitanti anno 1833 n° 1741, abitanti anno 1840 n° 1921
    - nome del luogo: Selva nella SS. Trinità di S. Fiora, titolo della chiesa: S. Stefano (Cura), diocesi cui appartiene: Soana, abitanti anno 1745 n° 267, abitanti anno 1833 n° 476, abitanti anno 1840 n° 511
    - nome del luogo: Selvena, titolo della chiesa: S. Niccola da Tolentino (Pieve), diocesi cui appartiene: Soana, abitanti anno 1745 n° 263, abitanti anno 1833 n° 333, abitanti anno 1840 n° 363
    - nome del luogo: Villa Sforzesca, titolo della chiesa: S. Gregorio Magno (Pieve), diocesi cui appartiene: Soana, abitanti anno 1745 n° 32, abitanti anno 1833 n° 30, abitanti anno 1840 n° 34

    - Totale abitanti anno 1745: n° 2792
    - Totale abitanti anno 1833: n° 4397

    (1) In quanto all’epoca del 1640 non si conosce, come dissi, la Popolazione della Comunità di Santa Fiora essendo allora contea libera.
    - abitanti n° 49

    SANTA FIORA nella Val di Fiora. – Dove dice (Vol. V.
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    pag. 144): Era quel Conte Ildebrando che nel 996 contendeva a Winzzone abate del Monastero del Monte Amiata, si dica dopo però il 1002, mentre nella lettera dell’abate Vinizzone al conte Ildebrando stesso si nomina il re Arrigo II. Ivi a pag. 146 si aggiunga, che il Conte Ildebrandino nel 4 gennajo 1203 ( stile comune ) per mezzo del suo sindaco fece giuramento al Comune di Siena di tener per 20 anni compagnia di 200 soldati per due volte l’anno al servizio de’ Sanesi, e lo stesso giuramento dovettero fare per procura la contessa madre di lui con gli altri fratelli. (ARCH. DIPL. SANESE Vol. I delle Pergamene N.° 64). Inoltre nel 14 novembre del 1203 fu fatta convenzione fra il detto conte Ildebrandino venditore del sale di Grosseto ed i suoi doganieri da una parte, e dall’altra parte il Comune di Siena ( loc. cit . N.° 69). Nel 1833 la Comunità di Santa Fiora contava 4397 individui e nel 1845 ne noverava 4922, come appresso:

    Bagnolo a Santa Fiora, Abitanti N.° 951
    Castell’Azzara, Abitanti N.° 994
    Cellena, Abitanti N.° 102
    SANTA FIORA, Abitanti N.° 1876
    Selva, Abitanti N.° 538
    Selvena, Abitanti N.° 428
    Villa Sforzesca, Abitanti N.° 33
    TOTALE  Abitanti N.°   4922


    MONTE LABRO, o MONTE LABBRO fra le Valli dell’Albegna, della Fiora, dell’Orcia e dell’Ombrone sanese. – È una montuosità che fa spalliera dalla parte di settentrione a levante al Montamiata o alle terre di Arcidosso e di S. Fiora, mentre sull’opposto lato esiste il paese di Roccalbegna.
    La sua cima, compresa nella Comunità di Arcidosso, è situata fra il grado 29° 22’ di longitudine e il grado 42° 49’ di latitudine, ad una elevatezza di braccia 2044,5 ossiano tese 612,2 sopra il livello del
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    mare Mediterraneo.
    Nel modo che Monte Labbro stà sul nodo di 4 valli, così in esso si danno la mano i popoli di quattro antichi contadi e diocesi. Imperocchè dalla parte di levante cessa costà, mediante la Comunità di S. Fiora, il contado e diocesi di Castro, ora di Acquapendente; a ostro confina col contado e diocesi di Sovana mediante la Comunità di Roccalbegna; a ponente ha il contado e diocei di Roselle, ossia di Grosseto mediante la Comunità di Cinigiano; e a settentrione il decimato contado e diocesi di Chiusi, ora di Montalcino, mediante la Comunità di Arcidosso.
    Sulla faccia meridionale di questo monte, dove nasce il fiume Albegna, staccansi due contrafforti; quello a scirocco fiancheggia la ripa destra del fiume Fiora e separa la sua valle dalla vicina dell’Albegna che si apre nell’opposta pendice, mentre l’atro contrafforte diretto a libeccio si dirama pei poggi che separano la valle dell’Albegna da quella dell’Ombrone.
    Monte Labbro consiste per la maggior parte in rocce di sedimento antico, cioè in macigno ed in calcare compatto, attraversate da larghi filoni di spato e interrottamente da una roccia galestrina di tinta varia iniettata da vene e da filoncini metalliferi di manganese, di ferro e di rame. Cotesti indizi, che si affacciano più chiaramente dalla parte voltata a settentrione dirimpetto al Montamiata, danno a conoscere la forza intestina plutoniana che su queste rocce nettuniane potè come di riverbero influire dai monti trachitici e dalle altre rocce dei vulcani spenti fra Radicofani, il Montamiata e il letto della Fiora.
    Lo conferma inoltre il divisamento di chi vuol tentare di aprire costà in Monte Labbro una miniera di rame nella faccia volta fra ponente e maestrale, presso una località stata altre volte d’ordine del Granduca Leopoldo I dal ch. Giovanni Fabbroni esaminata, con la lusinga di rintracciare e cavar profitto dal rame solfurato e carbonato rinchiuso nelle viscere di cotesta montuosità.
    Il Monte Labbro è quasi affatto
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    spogliato d’alberi di alto fusto, ed ha assai pochi arbusti ed erbe, consistenti per lo più in stentate piante di ginepro, in cardi, centauree, cinoglosse, carline ec.
    Varie pergamene appartenute alla badia di S. Salvatore nel Mont’Amiata rammentato il Monte Labbro ; fra le quali una del 18 settembre 909 cita a confine di beni della suddetta badia il monte medesimo. – Vedere ARCIDOSSO, ROCCALBEGNA, SANTA FIORA Comunità.
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Localizzazione
ID: 3782
N. scheda: 46760
Volume: 3; 5; 6S
Pagina: 405 - 406; 143 - 159; 224 - 225
Riferimenti: 53410
Toponimo IGM: S. Fiora - Monte Labbro (a SO)
Comune: SANTA FIORA
Provincia: GR
Quadrante IGM: 129-3
Coordinate (long., lat.)
Gauss Boaga: 1711434, 4745245
WGS 1984: 11.5877, 42.83212
UTM (32N): 711498, 4745420
Denominazione: S. Fiora - Cave di Marmi - Monte Labro, Monte Labbro
Popolo: SS. Flora e Lucilla
Piviere: SS. Flora e Lucilla
Comunità: S. Fiora
Giurisdizione: Arcidosso
Diocesi: (Chiusi) Città della Pieve
Compartimento: Grosseto
Stato: Granducato di Toscana
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