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Dizionario Geografico Fisico
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Montieri - Argentiera, Argenteria - Cave di Marmi

 

(Poggio di Montieri - Montieri - La Pieve (a SE))

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    MONTIERI (Castrum Monterii, già Mons Aeris) nella Val di Merse. – Castello con sottostante borgo e chiesa arcipretura (SS. Michele e Paolo) capoluogo di comunità, siccome lo fu di giurisdizione riunita nel 1837 al Vicario Regio di Roccastrada, nella Diocesi di Volterra, Compartimento di Grosseto.
    Risiede sul fianco settentrionale di un altissimo monte dello stesso nome in guisa da nascondere per molte ore del giorno l’astro benefico del sole massimamente nell’inverno, dondeché in questo paese si fa notte innanzi sera. Le pendici settentrionali del monte medesimo versano le loro acque nella valle superiore della Cecina, mentre nella faccia meridionale nasce un ramo del fiume
    Merse, denominato la Merse Savioli. – Trovasi Montieri nel grado 28°40’2’’ longitudine e nel 43°8’ latitudine, circa 12 miglia toscane a grecale di Massa Marittima, 18 a maestrale di Roccastrada, e circa 6 miglia toscane a ponente di Chiusdino.
    Hanno dato il nome ed origine a questo paese le miniere di rame che da tempo assai remoto debbono essersi scoperte nel monte metallifero donde ebbe il nome di
    Mons Aeris, il quale da ogni parte traforato da cunicoli racchiude copiosi filoni e grandi masse di minerali di rame, di ferro e di piombo solfurati.
    S’ignora pertanto se furono gli abitanti della contrada quelli che v’istituissero i primi scavi, o se piuttosto la scoperta delle sue miniere chiamasse in Montieri i primi abitatori; giacché, dirò col Targioni, senza il bisogno delle miniere non credo che sarebbe giammai venuto in testa a veruno il piantare un villaggio in cotesta pendice a bacìo e cotanto inamena.
    Infatti le antiche abitazioni di Montieri costruite ad arcate a guisa di forni, la gran congerie di scorie onde è coperta l’area della piazza, e il suolo intorno al paese, tutto mostra che appunto in Montieri esistevano
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    antiche fucine per lavorarvi il metallo specialmente di rame.
    Furono coteste miniere sino dal secolo IX di proprietà del governo toscano, tostoché circa l’anno 896 il Marchese di Toscana Adalberto il Ricco donò le miniere col distretto di Montieri ad Alboino vescovo di Volterra, confermate nel 939 da Ugo re d’Italia ai vescovi suoi successori, uno de’quali più tardi concedé una porzione delle miniere medesime ai monaci della badia di S. Galgano col privilegio della zecca.
    All’
    Articolo ARGENTIERA (Volume I pag. 129) discorrendo dell’Argentiera di Montieri sino dal secolo IX donata ai vescovi di Volterra, dissi che talvolta da questi furono per debiti o per debolezza di mezzi le stesse miniere con altri effetti oppignorate. Il Targioni citò a conferma di questo vero un’istrumento del novembre 1137 relativo a una concordia tra Adimaro Vescovo di Volterra e Ranieri Vescovo di Siena, cui il primo rilasciò la metà delle Argentiere che potessero scavarsi dalle terre che il Vescovo Crescenzio antecessore di Ranieri acquistò dal conte Ranuccio Pannocchia. Dondeché ad istanza di Ugone arciprete di Volterra il Pontefice Alessandro III con bolla, spedita dal Tuscolo li 29 dicembre del 1171, concedé al capitolo della cattedrale di Volterra, in tempo che vacava quella sede, ogni decima dovuta al vescovo e al marchese, quae datur de argenti fodinis. Peraltro pochi anni dopo che l’arciprete Ugone era stato eletto vescovo di Volterra, con atto del 1181 egli stesso concesse al Comune di Siena per il prezzo di lire 330 la quarta parte del castello e corte di Montieri comprese le sue miniere d’argento.
    L’antico possesso delle quali miniere dal re Arrigo VI con privilegio del 28 agosto 1186 venne confermato a Ildebrando Pannocchieschi successore del vescovo Ugone con queste parole.
    Praeterea castrum Monterii praenominato Episcopo confirmamus, et argenti fodinas,
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    quae ibidem sunt cum omnibus pertinentiis suis regia liberalitate concedimus eo videlicet tenore, quod prenominatus Episcopus et sui successores nobis nostrique successoribus pro ipsis Argenti fodinis XXX marcas argenti examinati ad pondus Camerae nostrae persolvant. – Quindi con altro diploma del 16 agosto 1189 lo stesso Arrigo VI Imperatore aggiunse al Vescovo medesimo il diritto di batter moneta. Nel 1212 essendo stato eletto in Vescovo di Volterra Pagano nipote del predetto Ildebrando Pannocchieschi, fu pronunziato nel 20 marzo di quello stesso anno nel Cassero di Montieri un lodo dagli arbitri eletti per le differenze insorte fra Ranieri Pannocchieschi e suoi eredi da una parte, e i rappresentanti del defunto vescovo Ildebrando per la chiesa volterrana dall’altra parte rapporto al castello di Berignone. Sennonché il vescovo Pagano trovandosi prigioniero di que’suoi vassalli a lui ribelli, nel 3 dicembre del 1220 inviò le lettere ai Sangimignanesi suoi benaffetti, affinché si recassero con armi e cavalli a Montieri, dove esso vescovo insieme col legato del Papa era tenuto prigione dagli uomini di Montieri, dove esso vescovo insieme col legato del Papa era tenuto prigione dagli uomini di Montieri e di Sassoforte; cui dai Sangimignanesi per mezzo del loro potestà fu risposto, qualmente essi restarono maravigliati a tale annunzio, giacché non sembrava credibile come a un Vescovo nella terra sua propria si fosse fatta cotanta ingiuria. Né più fortunato fu il di lui successore Ranieri degli Ubertini eletto vescovo di Volterra dopo il 1240, il quale fu vittima di continui dissapori e ostilità sofferte da molti suoi vassalli diocesani, aderenti al partito dell’Imperatore Federigo II, cui egli a tenore dei brevi pontificii faceva guerra con tutte le sue forze. Dondeché il Pontefice Innocenzo IV, con bolla spedita da Perugia li 4 dicembre del 1251, minacciò le censure ai governanti e popolo di Siena,
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    se non cessavano di ledere i diritti e giurisdizioni dell’eletto di Volterra.
    In conseguenza di tali ostilità l’Imperatore Federigo II, con diploma dato negli accampamenti di Viterbo li 4 novembre 1243, volendo far uso delle ragioni dell’Impero affittò fra gli altri proventi della corona d’Italia per il tempo di due anni avvenire le
    miniere di Montieri, riservando a sé la giurisdizione politica e la custodia del castello prenominato: tradidimus (diceva il diploma) atque cessimus Bentivegne Davanzati mercatori Florentiae filio quondam Ugolini fideli nostro ARGENTERIAM NOSTRAM MONTERII, salvis bannis, poenis, exercita atque custodia castri, quam Nobis et Imperio reservavimus.
    Quindi per atto pubblico del 12 novembre 1243 il Comune di S. Gimignano per insinuazione dello stesso Imperatore si costituì mallevadore al prenominato affittuario Bentivegna Davanzati. – (ARCH. DIPL. FIOR. Carte della Comunità di S. Gimignano.
    Morto però Federigo II, tanto i Sangimignanesi, come i Volterrani ed altri loro alleati furono liberati dalle censure ecclesiastiche, mentre il vescovo di Volterra ritornava al possesso di Montieri e delle sue miniere. Ciò sempre meglio apparisce da un contratto del 15 marzo 1252, col quale il Vescovo Ranieri oppignorò il castello prenominato con le sue miniere alla società mercantile sanese de’Buonsignori e Tolomei, dai quali ricevé la somma di 6600 lire. – (GIACHI
    , Appendice alle Ricerche Storiche di Volterra.)
    Ma ciò non bastava per supplire ai debiti del vescovo, parte de’quali furono fatti per redimere da
    Bentivegna Davanzati le possessioni della mensa vescovile di Volterra, poiché lo stesso eletto, per istrumento rogato in Siena li 28 luglio 1251, aveva oppignorato molti paesi e possessioni della sua mensa per il valore di 40,000 lire sanesi, la qual somma egli ricevé da Ildebrandino Tolomei di Siena. – (GIACHI, Appendice cit.)
    E perché fino d’allora era stato introdotto il
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    rigore dell’Inquisizione, in guisa che da due padri maestri di quel S. Uffizio fu ordinata la demolizione di certe case situate nel borgo di Montieri di proprietà di alcuni di quei terrazzani eretici, benché il Vescovo Ranieri vi si opponesse, pure qualche tempo dopo, nel 3 novembre del 1260, quel prelato dové revocare la sua parola, e condiscendere alla voluta demolizione di quelle case.
    Ne richiama alla consegna di Montieri fatta alla società Tolomei di Siena una bolla del Pontefice Bonifazio VIII, spedita dal palazzo Laterano li 5 marzo del 1302 agli abbati di S. Giusto di Volterra e di S. Lorenzo a Coltibuono, non che al Padre guardiano de’Frati Minori di Colle, affinché procurassero di riavere da Alessio di Rolando de’Tolomei di Siena e dai suoi figli il castello di Montieri con le terre, possessioni e altre cose spettanti alla mensa vescovile di Volterra, che i suddetti ritenevano in pegno per essere stati di già rindennizzati de’loro capitali sopra le rendite de’beni oppignorati. Lo che non solo risulta dalle espressioni della bolla, la quale dice:
    licet ex eis (pignoribus) perceperint ultra sortem, ma ancora da un contratto del dì 11 novembre 1275, col quale dai Tolomei della società Ranieri di Volterra di quanto egli andava loro debitore, cioè, di 600 marche d’argento e di 30,200 lire di danari sanesi. – (GIACHI, Op. cit.)
    Allora tornò in campo il contratto del 1181, col quale il Comune di Siena aveva comprato da Ugone Vescovo di Volterra la quarta parte del Castello e distretto di Montieri con la quarta parte del Castello e distretto di Montieri con la quarta parte delle sue
    argentiere.
    Per modo tale che essendo scorsi molti anni senza fare i pagamenti convenute al governo di Siena, questo nel 1327 mandò a prendere possesso
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    de’castelli di Montieri e di Montalcinello, siccome resulta da due Riformagioni dei 13 ottobre 1326 e del 3 aprile 1327; cioè, dopo che la potente famiglia dei Tolomei di Siena aveva occupato con i suoi aderenti il cassero di Montieri.
    Dal 1327 in poi il paese di Montieri rimasse sempre sottoposto alla Signoria di Siena, contuttoché il vescovo volterrano Filippo Belforti ottenesse nel 1355 (19 marzo) dall’Imperatore Carlo IV la conferma dei diplomi imperiali accordati ai suoi antecessori, e la condonagione di 30 marche d’argento dovuta da quei prelati al Regio fisco per l’escavazione delle miniere d’argento, di quelle miniere vuolsi intendere, che a seconda di quel privilegio eransi rese quasi sterili a motivo delle guerre, dell’orribile pestilenza accaduta,
    nec non propter violentas manus vicinorum, qui terras quamplures tuas (cioè del vescovo) propterea occuparunt.
    Infatti le miniere di Montieri fino dal secolo XIII avevano cominciato ad impoverirsi, siccome lo prova il diploma testé accennato, quando il vescovo Belforti asseriva, che quelle miniere d’argento
    jamdiu defuerint, et quasi steriles sint effectae. Arroge a ciò una memoria del 1287, dalla quale resulta che i vescovi Volterrani tempo addietro avevano conceduto in affitto al Comune di Montieri le vicine miniere per l’annuo canone di un corbello ogni quattro di vena che cavavasi da quelle miniere; cosicché gli uomini di Montieri nel 1278 costituirono un sindaco per trattare col Vescovo Ranieri la diminuzione del detto canone e ridurlo alla metà cum fructus, et proventus ipsarum (dice il contratto) sint adeo diminuti. – (GIACHI Op. cit.)
    Ma nel tempo che Filippo Belforti sollecitava favori da Carlo IV, il Castello e gli uomini di Montieri dipendevano intieramente dalla Repubblica sanese; sicché nel 1341, in tempo che vi risiedeva per potestà Giovanni di Bindino de’Tolomei, il consiglio generale
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    di Montieri deliberò che, attese le gravi inimicizie esistenti fra gli abitanti di Montieri e quelli di Chiusdino si dovessero sottoporre, come fecero, al Comune di Siena, col quale stipularono l’atto solenne di dedizione.
    Quindici anni dopo gli abitanti di Montieri essendo divisi fra loro in fazioni, la Signoria di Siena vi spedì un ambasciatore per pacificarli. Anche nel 1368, nel tempo che i Montieresi erano in lite con i loro vicini di Boccheggiano per la tenuta di Vallacchio, comparvero i Tolomei fuoriusciti di Siena con i loro aderenti ad assalire il Castello di Montieri, che dovettero però poco tempo dopo restituire al Comune di Siena.
    Nel 1371 il governo de’XII della Repubblica sanese per assicurarsi meglio del dominio di Montieri ordinò si edificasse costà una rocca, e che si rifacessero le mura intorno al castello di Montieri; nelle quali fabbriche la stessa repubblica spese 1500 fiorini d’oro. – (NERI DONATI,
    Cronica San.)
    La fonte pubblica che è nella piazza pubblica di Montieri accanto all’antico pretorio conta la data dell’anno 1233, fatta, dice una iscrizione, al tempo che vi era per giusdicente un messer Andrea figlio di Ugone.
    Montieri seguitò la sorte di Siena dopo la sua resa alle truppe Cesareo Medicee; sicché il suo popolo si sottomise alla corona di Toscana nel dì 4 dicembre 1554.
    Nel 1608 con diploma del 2 gennajo il Granduca Ferdinando I eresse in feudo questo paese insieme a quello di Boccheggiano con titolo di Marchesato, e ne investì Biagio Capizzucchi nobile romano per se e per suoi figliuoli maschi con ordine di primogenitura.
    Ma per la morte di Paolo Capizzucchi cotesto feudo ritornò alla Regia corona fino a che il Granduca Cosimo II sotto di 22 settembre 1621 conferì il marchesato medesimo al patrizio fiorentino Vincenzo Salviati ed ai suoi eredi, nei quali si mantenne
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    sino alla legge del 1749 che abolì i feudi granducali.
    Lo statuto di Montieri esistente alle Riformagioni di Siena è dell’anno 1500. Non vi si fa menzione alcuna delle sue miniere, le quali sino dalla metà del secolo XIV erano state abbandonate. Vi si parla bensì della festa del beato Jacopo Murato nativo di Montieri, dove morì nel 28 dicembre 1289, ed i cui resti si tengono in venerazione nella chiesa principale della sua patria. Egli condusse vita penitente per 46 anni in una grotta presso le miniere, ch’egli da giovine espilò, per cui in pena del delitto gli fu dalla giustizia tagliato il braccio destro e il pié sinistro.
    Accanto all’antica pieve posta fuori del castello si trova la cella del B. Jacopo suddetto. – Sopra il poggio situato a ponente di Montieri esisteva un convento di frati Francescani Minori, che più tardi fu rifabbricato nel borgo con una vasta chiesa contigua.

    CENSIMENTO della Popolazione della Parrocchia di MONTIERI a quattro epoche diverse, divisa per famiglie.

    ANNO 1640: Impuberi maschi -; femmine -; adulti maschi -; femmine -; coniugati dei due sessi -; ecclesiastici dei due sessi -; numero delle famiglie 157; totalità della popolazione 729.
    ANNO 1745: Impuberi maschi 68; femmine 66; adulti maschi 113; femmine 52; coniugati dei due sessi 268; ecclesiastici dei due sessi 13; numero delle famiglie 160; totalità della popolazione 580.
    ANNO 1833: Impuberi maschi 176; femmine 178; adulti maschi 163; femmine 148; coniugati dei due sessi 312; ecclesiastici dei due sessi 6; numero delle famiglie 412; totalità della popolazione 983.
    ANNO 1839: Impuberi maschi 184; femmine 199; adulti maschi 158, femmine 112; coniugati dei due sessi 326; ecclesiastici dei due sessi 8; numero delle famiglie 194; totalità della popolazione 1047

    Comunità di Montieri. – Il territorio di questa Comunità abbraccia una superficie di 30425 quadr. dei
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    quali 771 sono per corsi d’acqua e strade. – Nel 1833 vi stanziavano familiarmente 2564 persone, a proporzione di circa 70 abitanti per ogni miglio toscano quadrato di suolo imponibile.
    La figura iconografica di questo territorio si avvicina a quella di un cono troncato. – Esso confina con cinque comunità, oltre una tangente che lambisce il territorio delle Pomarance.
    Imperroché dirimpetto a libeccio fronteggia con la Comunità di Massa Marittima, con la quale rimontando il torrente
    Pavone sino verso le sue sorgenti, sale per la pendice occidentale delle Cornate di Gerfalco sino alla sua cresta, poscia s’inoltra verso scirocco al Vado alla Toppa, dal quale discende nel torrente Merse Savioli fra il monte di Prata, che lascia a ostro, e quello di Montieri, che gli resta dal lato di settentrione.
    Giunto in questo vallone oltrepassa la fiumana della
    Merse per salire nella direzione di scirocco il poggio di Boccheggiano, che poi riscende lungo un suo fianco orientale per entrare nel torrente Farmicciuola, col quale arriva nella Farma. A questa confluenza la Comunità di Montieri volta faccia da libeccio a levante sino a che sulla strada pedonale che mena a Rocca Tederighi sottentra a confine il territorio di Roccastrada, insieme col quale l’altro di Montieri fronteggia mediante il torrente Farma sino allo sbocco in esso del fosso Ricavolo. A questo punto incomincia la Comunità di Chiusdino, da primo mediante il fosso prenominato, poi per la strada che conduce a Torniella, o per termini artificiali, avanzandosi verso settentrione sui monti che fiancheggiano a destra il torrente Sajo. Su questo torrente di faccia a settentrione trova la Comunità di Radicondoli, con la quale la nostra si accompagna per corto cammino, da primo mediante il torrente suddetto, quindi per
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    il fosso emissario de’Lagoni di Travale, fino a che su quello delle Galleraje trova la Comunità d’Elci. Con quest’ultima scende pel fosso testé nominato del fiume Cecina, che percorre contr’acqua di faccia a maestrale sino al borro suo tributario di Rialto, nel quale entrano entrambe le Comunità per inoltrarsi verso il poggio Ritrogolo, e di là per termini artificiali andare a raggiungere il borro di Riardo, dove viene a contatto la Comunità di Pomarance, con la quale la nostra entra subito nel torrente Pavone e poco lungi di là ritrova il territorio di Massa Marittima.
    Fanno parte di questa Comunità due de’più alti poggi della maremma, cioè, il
    Poggio di Montieri, e le Cornate di Gerfalco.
    Di qua si schiudono per tre opposte direzioni le valli della Merse, della Cecina e della Cornia. Imperocché nelle pendici settentrionali delle Cornate nasce per vari rami il fiume Cecina e dal fianco occidentale scendono le acque nella Val di Cornia, in tempo che dal lato orientale del
    Poggio di Montieri si apre la tortuosa Valle della Merse, allora quando dalla faccia opposta le acque fluiscono pur esse nella Cecina.
    Il poggio di Montieri supera di alquante braccia le vicine
    Cornate di Gerfalco, poiché la sua cima è 1788 braccia sopra il livello del mare Mediterraneo.
    Fra i maggiori corsi d’acqua che attraversano, o che lambiscono il territorio comunitativo di Montieri si noverano i fiumi della Cecina e della Merse, quindi i torrenti
    Pavone e Farma, il primo dei quali confluisce nella Cecina, l’altro nella Merse.
    Non esistono, che io conosca, in questa Comunità strade rotabili.
    Ma se il paese di Montieri è orrido alla vista e poco confacente ai comodi della vita, altrettanto interessante riesce
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    la contrada per chi ama studiare la qualità del terreno, la struttura delle varie rocce e le sue produzioni vegetabili.
    All’
    Articolo CORNATA di GERFALCO si disse, che i fianchi di questa montagna dal lato settentrionale, per gran parte consistono in una pietra arenaria (macigno), mentre nella faccia volta a scirocco levante le rocce di macigno fanno passaggio allo schisto argilloso e galestrino, ed anche al calcare compatto color rossastro contenente de’rognoni formati di selce corneo, e alternati con lo schisto argilloso di tinta pur esso rossigna. Cotesta roccia calcarea compatta, quanto più si avvicina verso la sommità, vedesi quasi a grado a grado convertire in un calcare salino ricco d’impronte d’ammoniti; la quale metamorfosi sembra doversi attribuire ai filoni metalliferi che di sotto in su penetrarono nelle viscere delle Cornate di Gerfalco e dei monti che gli fanno corona.
    A mezza costa fra gl’interstizj della stessa pietra calcarea semi cristallina apparisce un’altra roccia rarissima in Toscana, cioè lo spato fluore (
    flauto di calce) in piccoli cristalli bianchi traslucidi insieme aggruppati; i quali sogliono sparire affatto tosto che si sale o si discende alquanto sopra o sotto quella linea.
    A scirocco levante delle
    Cornate di Gerfalco si annoda il poggio di Montieri, la di cui ossatura inferiore è formata per la massima parte di una roccia calcarea fissile (pietra coltellina), mentre la parete superiore del monte è coperta da uno schisto argilloso color piombo, identico alla Lavagna, o a uno schisto lucente, morvido al tatto e consimile a quello madreperlato del Pietrasantino. È a un dipresso della stessa struttura il poggio di Prata che il torrente della Merse Savioli divide per lato di ostro da quel di Montieri; così l’altro di Boccheggiano situato a levante di Montieri fra la Merse
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    maggiore, che lambisce a maestrale i fianchi di quel poggio, e il torrente Formella che nasce sulle pendici australi della stessa montuosità. Avvegnaché tanto nella schiena, oppure sui fianchi settentrionali del poggio di Prata, quanto nel poggio di Boccheggiano comparisce lo schisto lucente, talvolta bianco, e tal altra di tinta verdeggiante; la qual roccia costituisce pur anco uno dei membri principali dell’ossatura del poggio di Montieri insieme con il calcare schistoso o pietra coltellina che gli serve di base, mentre la parte superiore di cotesta montuosità trovasi coperta da uno schisto coticola di tinta or grigia, ora verdastra e ora rossa con frequenti rilegature di solfato di calce, e anche con quarzo informe o cristallizzato, sparso qua e là di fioriture di solfati di rame e di ferro, provenienti pur essi dai filoni e nodi di minerali composti di solfuri di quei metalli misti anche al piombo argentifero solfurato che da molte parti e specialmente a ostro del castello si affacciano lungo la ripa della Merse Savioli, costà dove in altri tempi furono aperte molte gallerie per cavarne il rame ed anco d’argento.
    Fra le quali miniere ne citerò una di
    piombo argentifero dentro matrice quarzosa dispersa in rognoni e masse isolate, piuttosto che in filoni continuati, in prossimità delle più alte sorgenti della Merse Savioli. Imperroché sulla ripa sinistra s’incontrano gli abbandonati cunicoli delle miniere di rame e ferro solfurato lungo il botro di Cugnano, influente nella Merse predetta, che è una località stata visitata dal celebre Baldassarri; il qual naturalista osservò lungo le dirupate sponde della Merse Savioli qualmente la formazione di quel suolo resultava di pietra scissile talcosa, ed egli stesso segnalò poco sopra la confluenza
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    del botro di Cugnano in Merse un’acqua molto acidula che depositava per via dell’ocra marziale. – Ma il fenomeno più importante a parer mio fu quello osservato dallo stesso autore all’imboccatura di un abbandonato cunicolo di miniera di rame nel vicino monte di Prata; nella cui roccia, consistente in argilla schistosa, egli trovò, mi servirò delle sue espressioni, i primi rudimenti del cristallo di monte nascente, disposti in tanti teneri gentilissimi e friabilissimi ingemmamenti; in guisa tale che, mentre una porzione argillosa era tenera e molle, il restante aveva acquistato una durezza pietrosa, e tutta insieme la roccia veniva imbrattata da una fanghiglia di ocra di color ranciato croceo. – Questo fenomeno giova ad avvalorare vieppiù quanto avvenne a me (nel I novembre del 1824), allorché scuoprii un piccolo filone di quarzo in stato gelatinoso inserito in una roccia calcareo-argilloso silicea nei monti di Carrara. – Vedere l’Articolo CARRARA Volume I pag. 487.
    Coteste miniere di Montieri, dopo essere state abbandonate per più di quattro secoli furono riaperte nel 1753 sotto la direzione del minerologo Giovanni Arduino, le quali vennero abbandonate ben presto nel 1757 per cagione della spesa superiore al prodotto. Che se vi fosse stata adoperata una perizia maggiore, opinava il naturalista Santi, si sarebbe potuto aprire una sorgente di ricco commercio per la Toscana moderna, come pare fosse accaduto in antico. – (GIORGIO SANTI,
    Viaggi ec. T. III p. 149).
    In quanto spetta alla parte agraria pochi paesi della Toscana mostrano tante sodaglie e sterpeti quanti ne somministra il territorio di Montieri. Imperroché la sua contrada senza pianura, e piena di profondi valloncelli conta poche vigne e non molti campi sativi, posti fra rupi e monti per lo più nudi dal lato volto a settentrione oppure vestiti di boschi cedui, di
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    pascoli e più specialmente di castagni, i quali ultimi vegetano rigogliosi sino a mezzo monte di Montieri sopra i fianchi voltati a levante e occidente. E siccome la proprietà territoriale costà è sminuzzata in guisa che quasi ogni famiglia possiede un pezzo di castagneto, ne consegue che Montieri è tra i pochi paesi dove a rigore di termini mancano i veri mendicanti.
    Oltre le piante officinali raccolte costà dal Santi, molte altre ve ne potrebbe aggiungere il botanico che bramasse erborizzare in varie stagioni dell’anno su i monti di questa comunità.
    Dopo il 1833 fu staccato dalla Comunità di Chiusdino e dato a questa di Montieri il popolo col distretto di Travale. –
    Vedere il Quadro della Comunità di Chiusdino.
    In Montieri non vi sono mercati settimanali, e una sola fiera annuale vi si pratica nel dì 27 luglio, sebbene di piccola entità; un’altra di maggior concorso ha luogo li 28 agosto in Boccheggiano.
    La sua potesteria fu soppressa col motuproprio de’21 ottobre 1837 che la riunì al vicariato regio di Roccastrada. La cancelleria comunitativa è in Chiusino, l’ingegnere di Circondario e l’ufizio di esazione del Registro sono in Radicondoli, la conservazione delle Ipoteche in Siena ed il tribunale di Prima Istanza a Grosseto.

    QUADRO della Popolazione della Comunità di MONTIERI a quattro epoche diverse

    - nome del luogo: Boccheggiano, titolo della chiesa: S. Bartolommeo (Arcipretura), diocesi cui appartiene: Grosseto, popolazione anno 1640 n° 439, popolazione anno 1745 n° 552, popolazione anno 1833 n° 833, popolazione anno 1839 n° 799
    - nome del luogo: Gerfalco, titolo della chiesa: S. Biagio (Pieve), diocesi cui appartiene: Volterra,
    popolazione anno 1640 n° 717, popolazione anno 1745 n° 413, popolazione anno 1833 n° 748, popolazione anno 1839 n° 738
    - nome del
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    luogo: MONTIERI, titolo della chiesa: SS. Michele e Paolo (Arcipretura), diocesi cui appartiene: Volterra, popolazione anno 1640 n° 729, popolazione anno 1745 n° 580, popolazione anno 1833 n° 983, popolazione anno 1839 n° 1047
    - nome del luogo: Travale, titolo della chiesa: SS. Michele e Silvestro (Prepositura), diocesi cui appartiene: Volterra,
    popolazione anno 1640 n° -, popolazione anno 1745 n° -, popolazione anno 1833 n° -, popolazione anno 1839 n° 500

    - Totale
    abitanti anno 1640 n° 1885
    - Totale
    abitanti anno 1745 n° 1545
    - Totale
    abitanti anno 1833 n° 2564
    - Totale
    abitanti anno 1839 n° 3084

    MONTIERI. – Infine si aggiunga. – In Montieri con la notificazione del 22 aprile 1843 è stata ripristinata la potesteria, e soppressa quella di Prata. – La popolazione della Comunità di MONTIERI nell’anno 1833 ascendeva a 2564 Abitanti e quella dell’anno 1845 fu trovata di 3392 individui, come appresso:

    Boccheggiano,
    Abitanti N.° 849
    Gerfalco,
    Abitanti N.° 820
    MONTIERI,
    Abitanti N.° 1071
    Travale,
    Abitanti N.° 584

    Annessi

    Ciciano; dalla Comunità di Chiusdino, Abitanti N.° 68
    TOTALE
    Abitanti N.° 3392

    ARGENTIERA,
    Argenteria. – Tre località montuose e metallifere della Toscana con questo nome vennero distinte nel medio evo; una nel territorio di Batignano sopra l’etrusca città di Roselle, l’altra nel poggio di Montieri alle spalle di Massa marittima; la terza nell’Alpe Apuana del Pietrasantino fra la vallecola della Versilia (canale di Rosina) e Val di Castello; Argentiere tutte situate in mezzo ai terreni cristallini, o in massa, spettanti ai gruppi montuosi che s’innalzano presso al litorale. – Vedere APPENNINO TOSCANO.
    Derivano la loro etimologia dalle cave di argento (
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    Argenteriae) state aperte nei suddetti luoghi in tempi assai remoti.
    Parlano dell’Argentiera di Batignano e di Montorsajo pochi istrumenti del secolo XII. Uno di questi pubblicato dal Muratori (
    Ant. M. Aevi) riferisce a un conte Ildebrando degli Aldobrandeschi di Sovana e Grosseto, il quale rilasciò con titolo di enfiteusi ai Visconti di Batignano questo paese con le sue appendici e possessioni, fra le quali le miniere di argento e di piombo; miniere di cui godeva porzione il Visconte Ugolino di Scolaro, allorchè nel 1147 dandosi in accomandigia le rinunziò alla Repubblica senese.
    Vi sono memorie dell’
    Argentiera di Montieri sino dal secolo IX, quando spettavano al patrimonio Regio, amministrato, goduto e bene spesso alienato dai marchesi di Toscana. In fatti uno di essi (Adalberto il Ricco) le donò ad Alboino vescovo di Volterra, e ai suoi successori, i quali ne fecero parte in seguito ai parenti loro de’Pannocchieschi, de’Belforti ec. o ai protetti (e fra questi i monaci di S. Galgano), e talvolta i vescovi medesimi tali cave in altri effetti permutarono e per debiti o per debolezza di mezzi oppignorarono e infine perderono. – Trovasi una qualche conferma di ciò in un istrumento del novembre 1137, esistente nell’Archivio dello spedale della Scala di Siena, in forza del quale Adimaro vescovo di Volterra permutò con Ranieri vescovo senese la metà dell’Argentiera, del castello e borgo di Montieri; essendo che tali proprietà e diritti erano stati dal suo predecessore Crescenzio ricomprati dalle mani del conte Ranuccino Pannocchia. In compenso della quale permuta la chiesa senese rilasciò tutto quanto essa possedeva nel territorio di Scorgiano sulla Montagnola (ANNAL. CAMALD.).
    Dopo la metà del secolo XIII Ranieri vescovo eletto di Volterra creò un debito di 6600 lire con la famosa banca senese de’Buonsignori e C.C. per l’oggetto di
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    portarsi a Roma, oppignorando (15 Marzo 1252) le miniere e vene di argento insieme col borgo e castello di Montieri. (ARCH. DIPL. FIOR. Convento di S. Francesco di SIENA)
    Assai più famigerato e dovizioso in metalli è l’altro monte dell’Argentiera sopra Pietrasanta. Questo fa parte di un contrafforte occidentale dell’Alpe di Farnocchia, propaggine dell’Alpe Apuana che scende fra i valloncelli di Rosina e di Val di Castello, anticamente di
    Val bona.
    L’ossatura visibile di esso monte consiste in un calcareo cristallino e sublamellare che termina nei sui fianchi in calcareo cavernoso e ruvido, in cui trovansi penetrate masse di steaschisto argentino e lucente a grana minuta, che prende bene spesso la fisionomia del gnéis. È questi filoni che corrono generalmente nella direzione del gruppo di quest’Alpe, cioè, da maestro-ponente a scirocco-levante; è là dove furono aperte e dove si vanno oggi giorno con impegno a riattivare da due Società Montanistiche le miniere di piombo argentifero del Pietrasantino. Quelle che guardano la faccia meridionale si appellano dell’Argentiera, l’altre al settentrione del monte medesimo portano il nome di Gallena e del Bottino. Alcuni di essi filoni continuano dalla parte di Val di Castello anche nel Monte S. Anna e in altri contrafforti inferiori all’Argentiera, penetrati attraverso il calcareo granoso e bolloso. Vero è che qua più che altrove predominano i filoni di ferro in stato di solfuro, di ferro oligisto e ossidato, mentre nei filoni schistosi dell’Argentiera, tanto nell’uno che nell’altro fianco, abbonda il solfuro di piombo argentifero accompagnato da zinco, da antimonio, e qualche rara volta da altri metalli, non che dalla barite solfata.
    Le dispendiose e profonde gallerie, o cunicoli scavati nei tempi trascorsi senza i sussidii che fornì poscia all’arte dei minatori la scoperta della polvere da cannone, mostrano la
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    potenza di chi le une e gli altri ordinò. Con tutto ciò mancano dati da assicurare se tali antiche escavazioni ripetere si debbano dai re Longobardi o dai governi che prima di essi dominarono nel paese in questione.
    Comunque vadano le bisogna, l’epoca meno dubbia, rapporto all’attività in cui furono le miniere argentifere del Pietrasantino, è quella dei primi secoli dopo il mille, mentre una consorteria di nobili Longobardi signoreggiavano nella contrada sino da quel tempo denominata
    Versilia, dal fiume che si disse più tardi di Serravezza. Erano i più potenti fra questi Valvassori coloro che tennero sede nelle distrutte rocche di Corvaja e di Vallecchia.
    Il documento più vetusto su tal rapporto, pervenuto sino alla nostra età, è un Lodo pronunziato a Terra Rossa nel 13 maggio 1203 sopra alcune liti vertenti tra il vescovo di Luni e i marchesi Malaspina contro i signori di Vezzano, quelli di Versilia e i loro consorti, col quale Lodo al vescovo e ai marchesi fu riservata la terza parte del prodotto dell’Argentiera. (MURAT. Ant. Estens.)
    L’altro documento è un contratto di concordia del dì 9 ottobre 1219 sulla demarcazione dei confini e respettivi diritti baronali fra i nobili di Vallecchia e quelli di Corvaja. Ivi si dichiara, che le miniere dell’Argentiera di
    Valle bona e di Galleno, tanto quelle in attività, quanto altre che ivi apparivano, dovessero appartenere ai signori di Vallecchia; o che le altre situate nel lato opposto del monte verso Stazzema fossero di libera proprietà dei nobili di Corvaja: “Argentariae vero de Vallebona, et de galleno, quae nunc sunt, et nunc ibi apparent sint Dominorum de Vallecchia. Argentariae de Stazzema, quae nunc sunt, et nune ibi apparent sint Dominorum de Corvaria et ad eos pertineant, ec. (MEMOR. LUCCH.
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    T. III) Nello stesso documento si fa menzione della Villa di Galleno e del Castello di Argentiera, da lunga pezza annichilato sul poggio che porta il nome di S. Anna. – Nel 1348 la Repubblica pisana avendo esteso il suo dominio nella Versilia, mentre rilasciava alcuni diritti baronali ai nobili di quella valle, erogava a favore dello Stato la Regalia delle miniere del Pietrasantino (DAL BORGO, Docum. Pis.) Erano le miniere dell’Argentiera, già abbandonate quando il paese passò sotto la giurisdizione della Repubblica di Firenze (ann. 1515), e finalmente sotto i Granduchi di Toscana.
    Devesi al genio intrapendente di Cosimo I che ambiva, dove un qualche plausibile indizio si presentava, di fare rintracciare le ricchezze minerali nascoste nelle viscere dei monti toscani, devesi, diceva, al Gran Duca la riattivazione di tali opere, le quali furono argomento di lode non solo ai cortigiani di Cosimo (
    Serguidi, Angelo da Barga e Sanleonino); ma ancora due distinti naturalisti (Aldovrando e Andrea Bacci) segnalarono l’Argentiera Pietrasantina fra le miniere più singolari della Toscana.
    Escavazioni siffatte furono continuate anche sotto il regno dei due Granduchi suoi figli, Francesco I e Ferdinando I, sino al 18 settembre 1592.
    Le più rinomate e copiose vene di piombo argentifero estraevansi dalle cave del Bottino e da quelle dell’Argentiera. – Sotto Cosimo I non si lavorò che alle vene di solfuro di piombo argentifero, eccettuata una di
    arsenico argentale, nella quale per qualche anno scavarono esclusivamente due Canopi tedeschi a lire sei per ciascuno la settimana. Oltre le gallerie dell’Argentiera e del Bottino, sotto il primo Gran Duca si aprirono nel monte medesimo quelle denominate del Boddajo e di S. Cristofano. Sotto Franceso I furono ricercati i filoni
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    metalliferi del Zolfello,della Castagnola, e di Canal bujo; mentre ai tempi di Ferdinando I si aprirono altri cunicoli nei luoghi di Rovinucchia, della Compagnia, e del Pestone; ma tutti questi scavi appena fornivano in una settimana altrettanto minerale, quanto quello che traevasi in un giorno dalle miniere del Bottino e dell’Argentiera.
    In quest’ultima vi lavoravano quasi costantemente 12 minatori; in quella del Bottino il numero dei lavoranti non fu mai minore di 22 sino a 35 fra tedeschi e italiani, assistiti e diretti da uno o due soprintendenti alemanni. Il numero totale dei minatori sotto il governo Mediceo impiegati alle miniere sopraindicate, era di circa 70: tra i quali due fonditori e un partitore, dipendenti da un maestro generale Giovanni Giegglez. L’amministrazione economica era affidata a un provveditore e a un camarlingo residenti a Pietrasanta.
    Il combustibile traevasi in gran parte dalle selve del Pietrsantino e dei monti o luoghi contermini. In Rosina presso il canale dello stesso nome (l’antica Versilia) esistevano due forni destinati alla fusione del minerale e alla raffinazione dell’
    opera, ossia del piombo ricco; il quale ultimo soleva rendere all’Amministrazione mezza libbra di argento per ogni quintale.
    Il prospetto qui annesso dell’Entrata e dell’Uscita di queste miniere, preso negli anni della loro più prosperosa lavorazione, giova a confermare quanto fossero veritieri il
    Segni e il Tebalducci, sul rapporto alle spese fatte dai due primi Gran Duchi per le miniere in questione, benchè, o sia per malizia, o sia per l’ignoranza dei Montanisti che vi presedettero, il frutto non compensava mai la spesa.
    Per la qual cosa Ferdinando I, avendo dubitato che il minor prodotto derivasse per difetto di metodo o per negligenza dei
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    fonditori e raffinatori, con Rescritto del 26 settembre 1588 comandò al camarlingo di Pietrasanta, Marcello Strozzi, che si dismettesse di fondere sino a che non fosse arrivato di Lamagna un sommo perito dell’arte. Il qual sommo maestro Carlo Todesco, giunse poco appresso alle Argentiere Pietrasantine, nel dì 28 gennajo 1589, con ordine di Sua Altezza Serenissima ch’egli vegga tutte le miniere, e si fonda e faccia quanto commette. – In fatti trovasi nei libri di tale Amministrazione, che fu ripreso il lavoro della fusione e raffinazione sotto il dì 10 febbrajo di detto anno 1589 stile fiorentino equivalente al febbr. 1590. Ma non vedendo quel Regnante gran fatto migliorate le bisogna; o che si volesse addebitare ciò all’impoverimento della miniera, o che egli restasse convinto, siccome sembra più plausibile, dell’infedeltà o ignoranza dei lavoranti, fatto stà, che un bel giorno (18 settembre 1592) fu fatto smettere e abbandonare in tronco ogni miniera del Pietrasantino.
    Gli arnesi ritrovati nelle galleria dell’
    ARGENTIERA dai nuovi impresari di questa abbandonata risorsa mineralogica, e l’ubertoso prodotto dei filoni metallici ivi recentemente riscontrati, giustificano a sufficienza il sospetto, che il decreto del settembre 1592 venisse fulminato piuttosto contro l’avidità degli uomini, che contro la sterilità della natura. – Vedere MINIERE DELLA TOSCANA, PIETRASANTA, e SERAVEZZA.
Localizzazione
ID: 2843
N. scheda: 34860
Volume: 1; 3; 6S
Pagina: 128 - 131; 573 - 579; 164
Riferimenti: 53410
Toponimo IGM: Poggio di Montieri - Montieri - La Pieve (a SE)
Comune: MONTIERI
Provincia: GR
Quadrante IGM: 120-3
Coordinate (long., lat.)
Gauss Boaga: 1664000, 4777331
WGS 1984: 11.01716, 43.13252
UTM (32N): 664063, 4777506
Denominazione: Montieri - Argentiera, Argenteria - Cave di Marmi
Popolo: SS. Michele e Paolo a Montieri
Piviere: SS. Michele e Paolo a Montieri
Comunità: Montieri
Giurisdizione: (Montieri) Roccastrada
Diocesi: Volterra
Compartimento: Grosseto
Stato: Granducato di Toscana
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