REPETTI ON-LINE

Dizionario Geografico Fisico
e Storico della Toscana

cerca... .

Massa Marittima, Massa di Maremma, Massa Veternense, Massa Metallifera (S. Cerbone) - S. Pietro all'Orta - Vescovati della Toscana (Populonia, Massa Marittima) - Zecche Diverse (Massa Marittima) - Cave di Marmi

 

(Massa Marittima)

  •   pag. 1 di 81
    MASSA MARITTIMA, MASSA DI MAREMMA, e talvolta anche MASSA VETERNENSE, MASSA METALLIFERA nella Maremma toscana. – Città vescovile fra la valle della Cornia e la vallecola della Pecora, già capoluogo di una piccola repubblica, ora di un vicariato regio con una cancelleria comunitativa, la quale abbraccia anche la comunità di Roccastrada, e di Gavorrano; nella Ruota e Compartimento di Grosseto.
    Risiede presso la cima meridionale di un poggio da tre parti, meno che da grecale isolato. – Si apre davanti a lei dal lato di ostro-libeccio spaziosa la vista del mare, mentre dalla parte di grecale il poggio su cui riposa la città si accoda mediante avvallamento ad uno sprone di quelli di Prata, Montieri e Gerfalco, i quali costituiscono il nodo, donde si schiudono quattro valli. Due di queste percorrono una porzione della Maremma massetana, quella cioè della Cornia a ponente e l’altra della Brun a a levante, mentre nel rovescio della giogana medesima si aprono le valli mediterranee della Cecina e della Merse che serpeggiando declinano, la prima pel volterraneo, l’altra pel senese contado.
    Trovasi Massa Marittima nel grado 28° 33’ longitudine e 43° 3’ latitudine; circa 30 miglia a maestrale di Grosseto; 38 a ostro di Volterra; 40 miglia a libeccio di Siena; intorno a 20 migli a grecale di Piombino, 24 a levante-grecale della distrutta città di Populonia, e 12 in 13 miglia a settentrione della spiaggia di Follonica.
    Volendo dare un esempio della situazione di Massa marittima, niuno si presta meglio di quello esibito da Giovanni Targioni-Tozzetti, il quale assomigliò la sua posizione a quella di Fiesole, situata al pari di essa sopra un poggio da tre parti isolato. Sennonché questo di Massa apparisce alquanto meno incavato e meno spazioso del fiesolano, non però meno alto; giacché dalle osservazioni trigonometriche istituite dal chiarissimo Professore P. Giovanni Inghirami risulta, che la sommità del poggio di Massa, presa dalla
  •    pag. 2 di 81
    torre della chiesa di San Pietro all’Orto in Città Nuova , è 729 braccia fiorentine sopra il livello del mare Mediterraneo, mentre la sommità del campanile della cattedrale di Fiesole non è più alta di 562 braccia; e il prato del convento superiore, davanti al convento di San Francesco di Fiesole, fu trovato dall’astronomo medesimo 575 braccia sopra il livello del mare.
    Ripeterò bensì col preaccennato Targioni che, se la città di Fiesole cede a pochi luoghi della Toscana per l’amenità del sito e per ola sua salubrità dell’aria, le cause dalle quali essa fu ridotta quasi al niente sono diverse da quelle che disertarono gli abitanti della città di Massa; in guisa che un secolo fa questa nera ridotta in tale misero stato da non contemplare senza compassione e tristezza i residui della sua antica magnificenza.
    Dovendo io percorrere alcune sue vicende istoriche meno favolose, dirò che se è cosa meno indubitata essere fino al terzo secolo esistito nella Toscana antica un paese di Massa Veternense dov’ ebbero i natali alcuni della famiglia di Costantino, non abbiamo però documenti che stiano al favore della nostra Massa Marittima per concederle tale onorificenza. Avvegnachè non bastano le nude parole dello scrittore Ammiano Marcellino il quale nel Libro XIV Capitolo XI delle sue istorie, discorrendo della morte data a Gallo Cesare, (anno 315) disse che era nato apud Tuscos in Massa Veternensi patre Constantio, Constantini fratre Imperatoris, matreque Galla sorore Rufini et Cerealis .
    Già nell’Articolo Massa e Cozzile furono rammentati molti luoghi esistiti nel quinto secolo dell’E.V. sotto nome di Massa nella Toscana suburbicaria , e più che altrove nell’attuale provincia del Patrimonio di San Pietro, come anche nel Lazio e nella Comarca di Roma; tostochè trovansi in coteste parti quelle Masse, o tenute, nelle quali San Gregorio Magno possedeva predii con oliveti da esso lui donati a San Pietro.Tali erano le Masse Victoriole , la
  •    pag. 3 di 81
    Massa Trabaziana , la Massa Cesariana , la Massa Stejana , la Massa Terziana , eccetera.
     Che però la Massa Veternense , patria di Gallo Cesare,fosse nella Toscana suburbicaria piuttosto che nella Toscana reale, vi è ragione di crederlo in quanto che la matrona S. Mustiola, parente di Cesare Costanzo Cloro, sembra che abitasse,e forse che ella nascesse nel contado di Tuscania. Infatti nella prima parte degli atti di S. Ireneo e S. Mustiola, scritta da S. Felice testimone contemporaneo, si legge, che quei due cristiani sostennero il martirio in Civitate Tusciae,quae post ethnicismum celebris fuit….ubi vigent orationes ejus usque in praesentem diem. – Sembrò frattanto al Tillemont che fosse stato omesso il nome della città, in cui i due santi furono martirizzati da Turcio prefetto dell’Imperatore Aureliano. – Pure qualora si voglia richiamare alla memoria che Toscanella si rese celebre per tanti suoi martiri,i quali confessarono la fede di Cristo sotto le più crudeli persecuzioni;quando si consideri che cotesta era, ed è una delle antiche città del Patrimonio di S. Pietro appellata Tuscana,Tuscania, ed anche Tuscia; quando si richiami alla memoria la terza persecuzione sotto l’Imperatore Decio(anno 250), in cui molti cristiani furono martirizzati in Tuscia, cioè in Toscanella, dove risiedeva il prefetto di quell’Imperatore; ( Ved ere l’articolo COLONNA DI BURIANO, e il Martirologio romano); quando si rifletta,che la cattedrale di Chiusi,dove si conserva il corpo di S. Mustiola, è dedicata a S. Secondiano, una delle vittime illustri sacrificate a Colonna presso la città di Tuscana; tostochè si osservi che il contado di Toscanella abbracciava anche il distretto di Viterbo,io non saprei rivolgermi a cercare la Massa Veternensis patria di Gallo Cesare,e forse anche di S. Mustiola,altrove dalla porzione della Toscana fra il Tevere e il fiume Fiora.
  •    pag. 4 di 81
     Che se il Massa Veternensis con poca variazione fu cangiato,o se realmente in origine era il Massa Veterbensis si aumenterebbero le ragioni a favore del paese di Viterbo,sapendo che quest’ultimo non solo era compreso nella giurisdizione civile ed ecclesiastica di Toscanella, ma che esso fino al secolo XI non fu più che un castello,e forse nei tempi anteriori una Massa o tenuta signorile,checché ne dica il supposto decreto del re Desiderio,scoperto da Frate Annio,e in seguito (anno 1728) ciò che fu scritto dall’abate Francesco Mariani nel suo opuscolo De Etruria metropoli.
     Infatti in varie pergamene dei secoli VIII e IX,appartenute alla badia Amiatina, è rammentato Viterbo niente più che un semplice castello compreso nel contado e nell’ecclesiastica giurisdizione della città di Tuscania, o Toscanella. – ( ARCH. DIPL. FIOR. loc.cit .)
     Comunque sia,la cosa che non ammette dubbio si è,che Viterbo divenne città sul cadere del secolo XI,quando da Toscanella vi fu traslocata la sede vescovile,mentre Massa di Maremma fino dal secolo ViIIera designata col vocabolo specifico di Marittima ,siccome con tale epiteto fu qualificata da un istrumento archetipo del mese di marzo anno 738,rogato in Massa Maritiba.
     Il dotto antiquario Filippo Brunetti, il quale nella prima parte del suo Codice diplomatico (pagina 494)pubblicò questa membrana dell’Arch. Dipl. Fior.,fu indotto in errore, tostochè egli credé assegnare a Massa Marittima un’altra pergamena del gennajo 768, che conservasi nell’archivio medesimo,supponendola data in Civitate Massana, (ivi pagina 603 e seguenti).Lo che ammettendo per vero,si sarebbe dovuto per conseguenza concedere che Massa fosse salita all’onore di città,quando essa altro non era che una semplice borgata,o un villaggio.Cotesto riflesso mi spinse a ricorrere allo stesso Filippo Brunetti, direttore di quell’Archivio, affinché volesse compiacersi di esaminare meglio la citata membrana;tanto più che in quella trattavasi della collazione di una chiesa situata presso il fiume Marta nel contado di Toscanella, di
  •    pag. 5 di 81
    giuspatronato di un tal Ulmone, che ivi si dichiara nativo del castello di Viterbo.
     Il detto Brunetti infatti con quella modestia ed urbanità che gli erano proprie volle riesaminare quella carta; e là dove egli aveva di prima giunta letto e copiato Actum in Civitate Massana, trovò che doveva leggersi più rettamente Actum in Civitate Tuscana, vale a dire nella tuttora esistente città di Toscanella.
     Dopo esposte le ragioni che mi obbligano a segregare il paese di Massa Veternense da questo di Massa marittima, dirò che tra le memorie istoriche finora conosciute, relative a quest’ultima, la più antica è quella testé rammentata dell’anno 738.
     Se però non è certo che in Massa Marittima sin dall’anno 842 fosse traslatata la sede vescovile di Populonia,e che Massa d’allora in poi prendesse titolo di città, come pensa l’anonimo A. di una sua storia MS., si può credere per altro che già lo fosse nel principio del secolo XI, tostochè allora la chiesa di S. Cerbone di Massa serviva di cattedrale ai vescovi populoniensi. Ne assicura di ciò una scrittura originale con la data di Massa del 16 marzo 1016, nella quale trattasi della vendita di alcuni pezzi di terra posti in vicinanza della Chiesa di S. Giusto,a confine con altri terreni della chiesa di S. Cerbone, la quale ivi si qualifica cattedrale di Massa. (ARCH. DIPL. SENESE, Carte della Comunità di Massa ) .
     
    Conviene pertanto avvertire, che cotesta diocesi conservava sempre l’antico titolo di populoniense, siccome lo provano due istrumenti del monastero di S. Giustiniano di Falesia del I novembre 1022, e del 20 novembre 1075, oltre una bolla di Gregorio VII a Guglielmo vescovo di Populonia, con la quale quel pontefice dichiarò la diocesi populoniense sotto l’immediata protezione della sede apostolica, nell’occasione che le confermava gli antichi confini diocesani.( Vedere
  •    pag. 6 di 81
    l’Articolo seguente DIOCESI DI MASSA MARITTIMA).
     Peraltro poco tempo corse,dacchè fu introdotto l’uso d’intitolare Massano o Massese il vescovo di Populonia. tale per esempio si qualifica in una carta del 26 settembre 1115 pubblicata dal Muratori,nella quale è rammentato il Monsignore di S. Giustiniano suddetto compreso in Episcopatu Massense in loco,ubi dicitur Falesia. Tale lo dichiarano due istrumenti inediti,che uno del 16 marzo 1135,in cui la contrada e paese di Pastorale ,(una delle pievi perdute)i mulini di
    Teupascio e del re, la contrada di Valpiana ed altri luoghi lungo il fiume Cornia si dicono situati nel vescovado e territorio di Massa;mentre in altro contratto del 19 dicembre 1150,rogato nella badia di S. Pietro a Monte Verdi,si dichiara questo monastero nel territorio di Massa,e non più come nei tempi andati nel contado di Populonia. – (ARCH. cit. Carte della città di Massa ).
     Inoltre aggiungerò, qualmente il vescovo Rolando in una bolla del Pontefice Onorio II dell’anno 1116 a favore della primaziale di Pisa si sottoscrisse, Rolandus Episcopus Massensis. – Finalmente a fare conoscere che la chiesa di S. Cerbone nel 1099 serviva di cattedrale a’vescovi di Massa, lo testifica una donazione fatta in detto anno dalla contessa Giulitta vedova del conte Ugo e dal suo figlio Conte Rodolfo a favore di Giovanni vescovo di Massa, cui le prenominate persone offrirono la metà del loro castello di Tricasi situato nel distretto di Massa con tutte le sue pertinenze; la quale donazione doveva trapassare nei vescovi suoi successori, qui in praedicta Ecclesia S. Cerbonis aedificata in loco Massae, per tempora ordinati fuerint….in Episcop. Popul. et Massetano.
     Dondechè ne conseguita, che Massa Marittima nel secolo XI senza alcun dubbio era divenuta residenza dei suoi vescovi, i quali in varii tempi ottennero dagl’Imperatori privilegii e onorificienze tali da qualificarli signori di varie castella e miniere di quel contado,
  •    pag. 7 di 81
    come anche principi della stessa città di Massa.
     Infatti da una sentenza pronunziata in Pisa il 23 luglio 1194 dai giudici della corte imperiale di Arrigo VI a favore di Martino vescovo Massano resulta, che la città di Massa col suo distretto e il castello (già episcopio di Monte Regis ), furono restituiti a quel vescovo con tutti i diritti principeschi, dei quali era stato poco innanzi spogliato da alcuni ministri dello stesso imperatore.
     Ventisei anni dopo al predetto Martino era succeduto nel principato ed episcopato di Massa il Vescovo Alberto,il quale in vista dei gravi debiti della sua mensa fu costretto non solo di oppignorare il suo castello di Valli presso Follonica,ma ancora di qualificarsi debitore insieme ai consoli e consiglieri di Massa della somma di 267 marche d’argento fino e puro di Massa dirimpetto ad una società di negozianti. (ARCH. DIPL. SEN. Carta della città di Massa dell’8 febbrajo 1220 ).
     Nell’anno 1206,sotto il giorno 13 aprile,Guerrino di Neri di Bernardino da Montepulciano si obbligò col sindaco del Comune di Massa (Fabiano di Gualtieri) di servire questa repubblica in qualità di contestabile con 25 cavalleggieri armati di coltello, spuntone, lancia, spada, targa, tavolaccio e provveduti di palafreno,con bandiera e tamburo,a patti di stare ai comandamenti del capitano del popolo e dei governatori di Massa,onde tenere a dovere e arrestare i ribelli.Per la qual condotta fu stabilita la paga mensuale di lire 14 moneta senese per ciascun soldato,e di lire 28 al contestabile, a condizione di dovere il Comune di Massa rimpiazzare e pagare i cavalli che fossero per morire. Tre anni dopo (1209) il Conte Rainaldo figlio del Conte Alberto nel costituirsi cittadino massano promette di abitare due mesi dell’anno nella città di Massa,di stare unito con i consoli della medesima in guerra e in pace,di giurare il consolato e di pagare per il suo castello di Monterotondo l’annuo censo di un cero di libbre 12, e più
  •    pag. 8 di 81
    una libbra d’argento. Altronde dovendo il detto conte venire a servizio di Massa con i suoi uomini, il Comune doveva fargli le spese,e pagare al detto Conte Rainaldo lire 400 moneta nuova pisana. Viceversa i consoli e vicedomini di Massa si obbligano a non ricevere per cittadino massano alcuno degli uomini di Monterotondo,né quelli di Elci,o di Castelnuovo di Val di Cecina suoi vassalli.
     Nel 1214, ai 23 maggio, messere Rolandino di Galiana figlio del fu Ugolino,allora potestà di Massa,confessa a Ormanno Tedesco un debito di lire 33 moneta pisana per servigj prestati al Comune di Massa.
     Ecco il primo potestà a comparire fra le carte della Comunità di Massa, in cui non si manifesta alcuna dipendenza politica dal suo vescovo e principe.
     Per lo contrario i documenti seguenti tendono a dimostrare che poco dopo,rispetto alla politica giurisdizione del Comune di Massa,le bisogna andavano ben diversamente. Avvegnachè nel 22 aprile dell’anno 1216(stile pisano)fu stipulato in Pisa un atto solenne,col quale Alberto vescovo di Massa alla presenza di Lottario arcivescovo pisano(cui fin d’allora per decreti pontifici era sottoposta la chiesa di Massa)nella speranza che la città di Pisa fosse per ajutare il vescovo suddetto ed i suoi successori,concede in perpetuo al Comune pisano il diritto di percipere dal popolo massetano il fodro,consistente in 26 danari a testa,eccettuato il clero,i vicedomini ed altri nobili,mentre lo stesso vescovo obbligavasi di far guerra e pace con chi avesse ordinato il potestà o i consoli di Pisa per tutto il territorio pisano al di là del fiume Cecina,e anche fuori del suo distretto.Inoltre il vescovo Alberto prometteva di fare prestare ogni anno a tutti i vassalli delle terre del vescovato massetano un simile giuramento di ubbidienza al Comune di Pisa,e di usare in Massa le monete,i pesi e misure pisane. Arroge che qualunque volta il vescovo doveva eleggere il potestà o i consoli della città di Massa,obbligavasi darne avviso per lettera al potestà e consoli di Pisa,e aspettare 15 giorni innanzi di
  •    pag. 9 di 81
    fare la detta elezione,dato il caso che volesse assistervi un nunzio della Repubblica pisana.Finalmente,che se i patti stabiliti dal vescovo predetto e dai suoi successori non fossero osservati,egli sottoponeva essi e la città di Massa alla penale di mille marche di argento.Voleva però il vescovo Alberto che fosse lecito al popolo di Massa di prestare ajuto in caso di discordie ai Pannocchieschi,ai Vicedomini,a Gherardo da Prata, ecc., purché ciò non riescisse a danno della città e distretto di Pisa.(ARCH. DIPL. SEN. Carte di Massa ) .
    Una prova altresì della sudditanza dei Massetani al loro vescovo Alberto si trova in altro istrumento della stessa provenienza.È un atto solenne del 21 gennajo 1220,colquale i cittadini di Massa in numero di 250 giurano di difendere e custodire il vescovo Alberto,i canonici,i Vicedomini del vescovato e i loro beni.Si cassano nel tempo stesso tutte le compagnie o leghe fatte dentro e fuori di Massa,eccettuata la lega con i Grossetani e con i figli di Guascone signori della Rocca.Che se l’imperatore comandasse al vescovo di recarsi con la sua truppa in guerra,i Massetani sarebbero pronti a seguitarlo.Infine molti di quei cittadini si obbligarono pagare il debito fatto con i Senesi per riscattare il castello di Valli stato oppignorato al Conte Rainaldo signore di Monterotondo.
     Finalmente con atto pubblico del 31 luglio 1225 lo stesso vescovo ed il capitolo della sua cattedrale assolvono dal giuramento di fedeltà tutti i cittadini di Massa,liberandoli dai canoni, pigioni di case e piazze state fino allora di proprietà della mensa.Le quali cose dal Vescovo Alberto e dal suo clero furono rinunziate al Comune di Massa con tutti i diritti, pensioni e servigj,ad eccezione delle ragioni che il capitolo di Massa si riserbava sulle miniere di argento. In vista della qual cessione di diritti i rappresentanti del popolo promisero di non imporre,né esigere alcun dazio sopra i beni della mensa episcopale di Massa,di conservare a favore dei vescovi e del clero il
  •    pag. 10 di 81
    giuspadronato delle chiese coll’onere di pagare al vescovo le decime,qualora il Comune volesse edificare la città di Massa nel poggio che si chiama Certo piano .In questo caso il popolo Massetano prometteva rilasciare e cedere alla mensa e al clero alcuni fondi e uno spazio sufficiente di terreno per fabbricarvi la cattedrale e il cimitero, e frattanto sborsavano al vescovo ed al capitolo la somma di lire 600 di moneta pisana. – Fatto in Massa nella chiesa maggiore( loc. cit. )
    Due documenti dello stesso mese ed anno trattano pure dell’emancipazione dei Massetani dagli antichi loro signori,poiché uno di essi ci fa conoscere qualmente il capitolo della cattedrale di Massa da una parte,e Bernardino del fu Losco rettore e rappresentante della stessa comunità dall’altra parte,assolvono dal giuramento di fedeltà dovuta al vescovo e clero massetano tutti i cittadini per ragione di canoni,pigioni di case,e piazze poste nella città di Massa,e dichiarano quelle possessioni medesime come apodiali e di proprietà del Comune,il quale pagò a tal effetto l’anzidetta somma di 600 lire. – In conseguenza di ciò tutti i fittuarj di quei fondi restarono assoluti da qualunque servigio fino allora prestato alla mensa vescovile,eccettuando però da siffatta rinunzia le miniere di argento,che possedeva la chiesa di Massa. L’istrumento fu confermato dal vescovo Alberto nel dì 20 dicembre 1225,dato presso la chiesa cattedrale di Massa.
     Un atto simile di giurisdizione possessoria,nell’anno medesimo 1225,fu fatto dai Vicedomini del vescovato di Massa,i quali in numero di 13,ivi distintamente nominati,col consenso del Vescovo Alberto e dei canonici,assolverono dal giuramento di fedeltà tutti i Massetani per le ragioni di sopra accennate.(ARCH. DIPL. FIOR.e SEN. Carte della città di Massa ) .
     
    Con cotesti atti solenni pertanto il Comune di Massa,avendo ricomprato dal suo signore la propria libertà,si emancipò da ogni vassallaggio e servitù temporale verso del vescovo;talché può dirsi che da quell’atto ebbe origine la repubblica massetana.La stessa città andò poi aumentando di
  •    pag. 11 di 81
    popolazione col migliorare de’mezzi,tostochè sino d’allora si pose opera a costruire la città nuova e a innalzare una più grandiosa cattedrale. Fabbricavasi infatti poco dopo la città nuova nel poggio superiore di Massa insieme con una rocca,che prese il nome di Torre dell’Oriolo da non equivocarsi con il castello di Monte Regis ,stato per lungo tempo la residenza dei suoi vescovi,innanzi di ridurlo a cassero.Nella Torre dell’Oriolo esiste sempre un’iscrizione in pietra indicante l’anno 1228,quando piacque al popolo di Massa,nel tempo che vi era potestà Tedice di Malabarba,di dar principio a quel torrione per decoro della nuova città;intorno alle di cui mura era stata messa mano molti anni innanzi,siccome si può dedurre da altra lapida corrosa sopra una delle sue porte,letta e riportata nei suoi viaggi dal Targioni con la data dell’anno 1206. (GIOVANNI TARGIONI TOZZETTI, Viaggi T. V. Edizione seconda ) .
     
    Nel 1226 la città e popolo medesimo, ad oggetto di assicurarsi la libertà acquistata, stimò proprio di porsi sotto l’accomandigia della Repubblica pisana.Può dedursi tal vero da un atto pubblico stipulato in Pisa lì 7 novembre 1227 (stile pisano) col quale Rolando de’Rossi da P arma potestà di Pisa per mandato del consiglio generale accolse sotto l’accomandigia del Comune pisano quello di Massa, promettendo il primo di difendere i Massetani e i loro beni da qualunque insulto, e di non imporre altri dazj oltre quelli che nel presente trattato venivano stabiliti fra i due popoli.
     Un mese dopo, cioè nel 19 dicembre del 1227, per rogito fatto in Massa nella casa del conte Rainaldo di Monterotondo, i consiglieri del Comune di Massa essendosi obbligati di restituire lire 2069 a due cittadini senesi per debito fatto in occasione di dover redimere i beni della mensa vescovile, Alberto di Arrigo Visconti di Pisa potestà di Massa vendè 200 marche d’argento per consegnar la valuta ai creditori.Lo stesso potestà nel 4 febbrajo del 1229,
  •    pag. 12 di 81
    volendo soddisfare un altro debito contratto con Tolomeo della Piazza e con Ranieri di Raullo, deliberò vendere 500 marche di buon argento al giusto peso e marco di Massa, equivalenti a lire 2320 pisane, cioè, a ragione di lire quattro, soldi 12 e denari 9 e 1/2 per marca.
     Finalmente, mancato ai vivi il vescovo Alberto, il Pontefice Gregorio IX, dopo avere con suo breve del 17 marzo 1231 raccomandato le possessioni del vescovado populoniense alla custodia e difesa del potestà e del Comune di Massa, pubblicò un editto nelle sue decretali, col quale aboliva le consuetudini invalse di eleggersi il pastore della chiesa di Massa dai canonici uniti ai laici o Vicedomini; e dichiarando nel caso che tali consuetudini continuassero, che non sarebbe stata dai Pontefici approvata l’elezione di tali vescovi. (DECRET. GREGORII IX Lib.I Tit. VI Cap.LVI. )
     Il titolo però, se non le attribuzioni di Vicedomini, pare che si mantenesse anche dopo la decretale gregoriana.Infatti in un istrumento del I° agosto 1235 sono rammentati messere Uguccione del fu Ranieri Vicedomino di Massa e Sigerio di Ugolino di Galiana altro Vicedomino di quel vescovado; così in altra carta del 30 luglio 1254 si fa menzione del Vicedomino Ugolino di Rolandino di Galiana nipote del prenominato Sigerio.
     Nel 1232,messere Ranuccio conte della Rocchetta,nato dal conte Guglielmo de’Pannocchieschi,insieme con il di lui figliuolo Guglielmo e messere Ildebrandino di Malpollione da Siena di lui cognato,fecero istanza a Messere Donusdeo di Giunigi potestà di Massa di essere accettati in cittadini massani.La quale domanda fu approvata nel consiglio del 7 ottobre del 1232 a condizione che i suddetti raccomandati non facessero alcun danno alla città e distretto di Massa;che in caso di guerra dovessero recarsi con 25 fanti a loro spese,e con tre cavalleggieri di più tutte le volte che il potestà di Massa andava fuori a oste.Inoltre che li stessi nuovi raccomandati dovessero tenere casa aperta in città,e dimorarvi
  •    pag. 13 di 81
    per tre mesi dell’anno;che fossero tenuti di far l’annua offerta di una libbra di argento e di un cero di 12 libbre nella vigilia di S. Cerbone alla chiesa cattedrale. – (ARCH. DIPL. SEN. Carte della Comunità di Massa. )
     Frattanto questa città essendo cresciuta di popolazione,e venuta in qualche potenza,procurò di allearsi con altre repubbliche sue vicine.
     Le prime trattative politiche aperte con il Comune di Siena furono quelle di una lega del 9 marzo 1241 fatta per la mediazione di Filippo Paltoni potestà di Massa.Il trattato ebbe per iscopo una reciproca difesa e sicurezza agli uomini delle due repubbliche in tutto il distretto del Comune di Siena e del territorio massetano.
     Per aver un indizio dell’organizzazione amministrativa e politica della città di Massa verso la metà del secolo XIII gioverà qui riportare lo spoglio di una riformagione di quel Comune in data del 30 luglio 1254.In forza della quale deliberazione Ranieri di Gualterotto potestà di Massa,col consenso dei 15 capitani del popolo,e dei 40 consiglieri della campana grossa di detta città,elegge Ranieri del fu Beccaruccio in sindaco di Massa all’effetto di prendere il possesso a nome del Comune medesimo di una porzione del castellare e poggio del castello di Castiglione Bernardi ,donato per testamento al comune medesimo dal Vicedomino Ugolino di Rolandino di Galeana.Fatta la detta procura nel palazzo del Comune di Massa ( loc. cit. )
     Già si è detto,che il vescovo di Massa Alberto fino dall’anno 1216,nell’atto di confermare la sua chiesa suffraganea della primaziale di Pisa,avea sottomesso costantemente il suo popolo anche nel politico al governo di quella città seguace del partito ghibellino,ossia imperiale.Donde avvenne,che nelle guerre di Federigo II con la S. Sede il Comune di Massa al pari di quello di Pisa aderente a Cesare,fu minacciato d’interdetto da Innocenzo IV.
     Le minacce del pontefice al popolo massetano vennero realizzate dal suo vescovo Ruggero.Al qual interdetto aggiunse maggior gravità un breve del Pontefice Alessandro
  •    pag. 14 di 81
    IV,dato in Viterbo lì 13 settembre 1255,a petizione dello stesso prelato Ruggero,per la ragione che il suo popolo rappresentato dal potestà,dal capitano,dai priori e dai consiglieri della città,si era impossessato dei beni della mensa vescovile,fra i quali le miniere d’argento,il castello,ossia palazzo di Monteregio,i feudi vescovili dell’Accesa,di Monte S. Lorenzo,della Marsiliana,di Valli,di Porto Baratto ecc.( loc. cit. )
     Coteste censure peraltro non dovettero essere di lunga durata, tostochè fra i documenti di questa città si conserva una bolla concistoriale del Pontefice Alessandro IV, spedita dal Laterano lì 5 aprile 1256 alla badessa e monache di S. Maria e S. Salvatore di Massa, con la quale Alessandro IV, ad esempio del suo antecessore Innocenzo IV, prese sotto la protezione della S. Sede quel monastero con tutti i suoi beni, senza far più menzione alcuna della già interdetta città.
     Due altri brevi emanati dallo stesso pontefice servono a confermare le sanate censure;il primo dei quali,in data di Viterbo 13 ottobre 1257,è diretto al guardiano dei Francescani Minori di Massa,
    cui commette di verificare, se l’abate del Monastero di Monteverdi nei tempi trascorsi si fosse trovato in necessità da dovere alienare ai Massetani il castello di campetroso e il suo distretto; col secondo, spedito dal Laterano lì II dicembre 1257, Alessandro IV conferma l’incorporazione del monastero di S. Bartolommeo di Falesia a quello delle monache di S. Maria di Massa dell’Ordine di S. Damiano (clarisse) perché il primo era stato dai monaci, che l’abitavano, abbandonato.
    Infatti troviamo nel 1258 il Vescovo Ruggiero ritornato alla sua sede di Massa, dove, mediante con tratto del 26 di gennajo 1257: Ind. I. (1258 stile comune) concedè ad enfiteusi ai nobili Todini di Massa la metà del distretto territoriale del Castello di Trecasi, o Tricasi. (CESARETTI, Dei Vesc. di Massa ecc. )
    Sebbene fino dal 1254 questo Comune avesse acquistato per lire 1200 il paese di Monte rotondo da cittadini creditori dei figli del fu conte Rainaldo
  •    pag. 15 di 81
    condomini del predetto castello, sebbene tre anni dopo (28 dicembre 1257) Rainaldo di mess. Uguccione da Perugia potestà di Massa, con l’annuenza de’priori e del consiglio della campana grossa, avesse nominato il sindaco per comprare l’altra metà di Monterotondo; non sembra però che avesse effetto cotesto acquisto, tosto che fra le membrane di Massa esistono tre altri istrumenti, in data del 17 settembre, 28 novembre e 4 dicembre del 1262, nei quali tutti si tratta di compre fatte dai Massani di varie porzioni di Monterotondo. Col primo di essi Giacomo di mess. Arrigo di Villano di Pisa potestà di Massa, previo il consenso degli anziani e del consiglio di Monterotondo statogli donato da Ruggiero Gottifredo figlio del Conte Rainaldo prenominato.
    Col secondo istrumento del 28 novembre 1262 lo stesso potestà cogli anziani e consiglio generale di Massa autorizza il sindaco soprannominato a comprare dal conte Alberto del fu Conte Uguccione di Campiglia la metà del Castello di Monterotondo, ad esso appartenente come successore di Ruggero Gottifredo figlio del Conte Rainaldo degli Alberti. Infatti il Conte Alberto di Campiglia in quello stesso giorno vendé a Buonagiunta per il Comune di Massa la metà del castello, cassero e distretto di Monterotondo con gli uomini e fedeli, compreso il ripatico e i dazj a lui attinenti per l’accennata successione, di che ricevé il prezzo in lire 1500 di moneta pisana.
    Col terzo istrumento del 4 dicembre 1262 donna Margherita moglie di Alberto conte di Campiglia, come figlia di Guglielmino de’signori di Prata e di donna Adelasia del fu conte Rainaldo di Monterotondo, rinunzia a Buonagiunta di Giovanni sindaco della città di Massa tutte le ragioni che alla stessa donna competevano a titolo di eredità sugli uomini, castello e corte di Monterotondo; per la qual rinunzia lo stesso sindaco le sborsa la somma di lire 1500 di danari pisani.
    Finalmente il prenominato Buonagiunta in vigore della suddetta procura con atto dell’11 dicembre di quell’anno medesimo prende possesso del
  •    pag. 16 di 81
    castello, cassero, torre e distretto di Monterotondo. (ARCH. DIPL. SEN. l.cit. )
    La città di Massa frattanto prosperava, giacché la riedificazione della cattedrale,quella della gran vasca del suo battistero e della pubblica fonte nella piazza maggiore accaddero in quella suddetta età. Inoltre nel 1259 le milizie di Massa trovavansi coll’oste sanese, comandante dal vicario del re Manfredi per ricuperare la ribellata città di Grosseto;quindi nell’anno seguente i Massetani dovettero pur essi prender parte alla gloriosa giornata di Montaperto.
    Dopo però la vittoria riportata, all’anno 1266,dagli Angioini nei campi di Benevento con la morte del re Manfredi, anco il governo di Massa, di ghibellino che era stato fino allora, fu costretto cedere al contrario partito, e cambiando bandiera cambiar nel modo di operare. Donde avvenne, che per una lunga serie di anni gli abitanti di Massa e dei castelli limitrofi furono in balia a reciproche rappresaglie, omocidii, ruberie e devastazioni, cui debolmente poteva riparare la mediazione de’Sanesi.
    Che in Massa per altro, nel di cui contado i conti Pannocchieschi, i Todini, e tanti altri potenti magnati comandavano da assoluti padroni, il partito guelfo anche dopo la morte del re ghibellino non concesse in gran potere, lo dimostrano i fatti istorici che ne conseguiranno.
    Infatti nell’anno 1273 i capitani di parte guelfa del Comune di Siena ordinavano ai loro ambasciatori che si adoperassero presso il Conte Guido di Monfort, vicario di Carlo d’Angiò in Toscana, affinché egli costringesse i Massetani a mantenersi in fede e devozione di quel re protettore de’Guelfi, né dassero ricetto in Massa ad alcun fuoruscito ghibellino.
    Infatti molti de’ Vicedomini , e anco varii della casa Pannocchieschi, come nemici della parte guelfa, furono dopo esiliati da Massa, e cassati dal ruolo di cittadini. Quindi ostilità, danni ed ingiurie continue fra i vassalli di quei magnati e i sudditi massetani.
    Nel 1274 fu stabilita una tregua fra le città di Massa e di Volterra; ed in questo frattempo la Repubblica di Siena
  •    pag. 17 di 81
    inviò ambasciatori a Massa per introdurre questo governo a sospendere le ostilità contro i Pannocchieschi signori di castella nel suo distretto e ad aprire fra loro trattative di pace.
    L’influenza de’Senesi e la persuasiva adoprata dai loro mandatarj prevalse si, che gli anziani ed il consiglio generale di Massa nell’adunanza del 25 aprile 1276, tenuta nella chiesa maggiore di S. Cerbone, deliberarono di nominare e di tenere per il corso di 20 anni successivi il potestà e giudici assessori scelti fra i cittadini senesi di parte guelfa.
    Inoltre, con istrumento dello stesso giorno, mese e anno, molti individui di Massa giurarono difendere e ajutare i Senesi di parte guelfa e osservare le capitolazioni passate fra i due Comuni.
    Con atto pubblico del di 8 ottobre 1278 Rolando vescovo di Massa ricevé il giuramento di obbedienza alla sua chiesa dal sindaco della città, assolvendo il popolo dall’interdetto in cui era incorso, e dalle ingiurie e danni fatti alle possessioni della sua mensa vescovile. Quindi due anni dopo lo stesso vescovo accordò al Comune medesimo facoltà di prendere possesso del castello dell’Accesa secondo i patti convenuti con carta del 13 febbrajo 1288.
    Anche i sindaci della città di Volterra unitamente a quelli di Massa, adunatisi nel castello delle Pomarance, stabilirono nel 10 marzo del 1287 nuovi capitoli di confederazione reciproca fra i due paesi.(ARCH, DIPL. FIOR. Carte della Com. di Volterra ).
    Frattanto le sediziose agitazioni de’nobili di contado e dei loro castelli, essendo raffittite dopo la metà del secolo XIII, richiamarono sopra di essi le armi dei Massetani, i quali, col riunire al loro distretto i soggiogati castelli, accrebbero la prosperità e potenza di questa repubblica della Maremma. – Tali io penso che fossero le cause che promossero in quel secolo tanti tumuli e carnificine fra i Massetani e i vassalli dei conti e signori di Pietra, di Travale, della Rocchetta Pannocchieschi, di Castiglion Bernardi, di Monterotondo, di Scarlino, di Tricasi, di Gerfalco,
  •    pag. 18 di 81
    di Prata ecc.
    Per modo che la città di Massa, ad onta delle intensive turbolenze fra i suoi cittadini, saliva in stato di ricchezza e di prosperità quanto più si andava avvicinando al 1300; alla qual cosa servono di maggior conferma i fatti autentici che siamo per accennare qui appresso.
    Già ho di sopra annunciato da quante persone il Comune di Massa comprasse altrettante porzioni del Castello di Monterotondo per diritti erediterii, o per matrimonii, o per legati testamentarii da più individui che vi ebbero ragione,; né le tante persone di sopra rammentate erano le sole coeredi di quel castello. Avvegnachè vi mancava donna Orrabile moglie di Gherardo signor di Prata, figlia del conte Reinaldo e della contessa Gualdrada, la quale come erede della madre e di due fratelli, Arcivescovo e Ugolforte, per istrumento del 14 novembre 1284, insieme con i suoi figli rinunziò nelle mani del sindaco di Massa ai diritti che li pervenivano sul Castello, corte e distretto di Monterotondo, col riceverne in paga 1400 lire di danari pisani.
    Arroge che nel 19 giugno 1294 il sindaco di Massa dové sborsare a donna Betta vedova di Rinaldo Bongianni da Montieri ed ai figli suoi lire 300 di moneta volterrana e aretina per altrettante imprestate al Comune di Montarotondo e a Ugonforte, uno dei sopra rammentati dinasti di quel castello.
    Finalmente a rendere più complicato cotal negozio si aggiunsero le ragioni che le monache clarisse di S. Maria a Piombino avevano acquistato per eredità avuta dalla loro correligiosa Sofia,figlia del Conte Rainaldo e sorella dei sunnominati Arcivescovo e Ugonforte. Quindi le recluse de quell’asceterio, previa facoltà concessa loro dal Cardinale delegato Matteo Rossi, e da Fr. Binda visitatore dell’Ordine, mediante istrumento del 18 novembre 1306, venderono per lire 300 a Fredo figlio di Gherardo e di donna Orrabile da Prata tutte le ragioni che gli si pervenivano sopra Monterotondo con le dipendenze e giurisdizioni sulle miniere d’argento, di rame, di
  •    pag. 19 di 81
    zolfo e di allume, che fossero nel suo distretto situate.
    Dondechè per il solo acquisto del castello e distretto di Monterotondo il Comune di Massa fino a tutto il 18 novembre 1306 aveva speso la somma di 6900 lire.
    Aggiungasi a tutto ciò gli acquisti posteriormente fatti di altre castella e tenute per liberare il territorio di Massa da tanti baroni, come su quelle di cui trattano tre istrumenti del 27 settembre, e 26 novembre 1294, e del 28 settembre 1295, quando Nino del fu conte Rannone da Castagneto e Sigerio di Guidino de’Vicedomini di Massa rinunziarono allo stesso Comune i terreni con una parte del mulino sulla Cornia, e inoltre due porzioni e mezzo del castello e territorio di Campetroso, appartenute ai figli del fu Conte Paganello di Castagneto; comprendendovi le miniere esistenti o che si trovassero nelle porzioni alienate. Alla qual vendita posteriormente (26 novembre 1295, e 21 febbrajo 1295 ( stile com. ) consentirono i figli del fu Paganello conte di Castagneto, con dichiarare di aver eglino ricevuto la loro parte di prezzo. Col terzo istrumento del 28 settembre 1295 fatto in Suvereto altri signori di Castagneto alienarono ai Massetani la loro porzione di Campetroso per il prezzo di lire 400.
    Quindi nel 22 settembre 1297 Bernardino e Cione de’Pannocchieschi di Travale vendono al Comune di Massa per lire 400 senesi la loro porzione del Castello e distretto della Rocchetta con tutte le argenterie, e ramerie, o altre cave di metalli del suo distretto; il quale confinava con i territorj di Massa, di Gerfalco, di Prata e di Cugnano.
    Che i lavori delle miniere di Massa fossero a quel tempo di qualche entità, lo dà a conoscere una sentenza data in Massa nel palazzo del Comune lì 20 ottobre dell’anno 1297, con la quale i Maestri della curia dell’arte della rameria e argenteria della città di Massa condannano Ugolino di Marco a pagare il
  •    pag. 20 di 81
    suo socio Chele di Galliana alcune spese fatte nella fossa (o conicolo) detta della Regina. E qui giova aggiungere, qualmente negli antichi statuti comunitativi di Massa divisi in quattro sezioni, una di queste, intitolata Del Magistrato dell’argenteria e rameria, verteva sulle attribuzioni relative all’escavazione de’minerali, circa il provvedere alle differenze eliti che potessero suscitarsi fra i lavoratori, i proprietarii di suolo, ad i socii di campagnie matallurgiche ec. ec.
    Rapporto alla compra del Castello della Rocchetta e delle sue miniere, anche Nello d’Inghiramo della Pietra, noto nella storia qual crudel marito della Pia, con istrumento del 16 dicembre 1298 alienò per il prezzo di lire mille senesi al Comune di Massa tutti i beni di sua pertinenza posti nel castello e distretto della Rocchetta, consistenti nella 12a parte, con tutte le ragioni su qualsivoglia miniere di metallo ivi situata. – Anche il nobil uomo Mangiante d’Inghiramo della Pietra, fratello di Nello, lì 6 novembre 1301, vendé al Comune di Massa la 10a parte del castello e cassero della Rocchetta con altrettanta porzione del suo distretto e dell’ argentiera, o miniera d’argento, e di quelle di rame di Cugnano per il prezzo di lire 940 senesi.
    Nel 5 aprile del 1302. Pannocchia di mess. Guglielmo de’signori da Travale vendè al Comune suddetto per lire 600 senesi la 12a parte indivisa del Castello della Rocchetta e dell’ Argentiera, Rameria, e altro qualsiasi metallo di Cugnano ; e nel 16 maggio dello stesso anno mesS. Gaddo di mess. Ranieri di Travale nell’atto di esser dichiarato cittadino massano, in nome proprio e di Bonifaziuo suo fratello pievano di Gerfalco rinunzia nelle mani del sindaco del Comune di Massa la terza parte del castello, cassero e borgo della Rocchetta, compresa una sua casa e vigna; più la duodecima parte della signoria sopra detto destretto, e sull’ argentiera e rameria o altri metalli di Cugnano; beni tutti che
  •    pag. 21 di 81
    i prenominati Pannocchieschi avevano acquistato per contratto del ‘11 novembre 1301 da mess. Pannocchia del fu Guglielmo di Trarvale in cambio delle ragioni che i prenominati fratelli avevano rinunziato sul Castello e distretto di Gavorrano, oltre una 18a parte della Rocchetta comprata da Bandino di Bonifazio da Travale. Per la qual rinunzia mess. Gaddo ricevé dal sindaco di Massa per se e per il fratello lire 5476 e soldi 13 moneta senese.
    Dai quali acquisti parziali apparisce, che il Comune di Massa fino a tutto ilo 16 maggio 1302 aveva pagato ai Pannocchieschi per il solo castello, territorio e miniere della Rocchetta e di Cugnano lire 8456 e soldi 13 di danari senesi.
    Tralascerò di accennare molti altri contratti di compra per diverse porzioni del castello e distretto medesimo della Rocchetta ch’ebbero luogo pochi anni dopo a favore del Comune di Massa per la somma di lire 3525 di Siena; e ciò nel tempo medesimo che lo stesso Comune per atto del 6 novembre 1307 faceva acquisto della quarta parte del Castello e giurisdizione di Perolla, oltre una quarantottesima parte del Castello della Rocchetta con le miniere di piombo, di rame, di argento e di ferro, che diconsi situate in quel territorio per il prezzo di lire 4600 senesi; siccome posteriormente il Comune medesimo acquistò dai loro signori i castelli di Ravi, di Colonna, di Gavorrano, ecc. –( Vedere i respettivi Articoli )
    In questo frattempo lo stesso Comunità di Massa aveva comprato per lire 600 senesi una parte del territorio di Tricasi con i poder che ivi possedeva Ugolino Pecorino figlio di mess. Sigerio dei Vicedomini di Massa; e per lire 165n da Useppo del fu Ranuccio da Scarlino la duodecima parte del poggio e del castellare di Tricasi con sei poderi di quel distretto e le ventiquattresima parte del poggio e del castellare di Tricasi con sei poderi di quel distretto e la ventiquattresima parte per indoviso di tutta
  •    pag. 22 di 81
    la ghiandaja di detto castello.
    Nel 31 ottobre del 1307 il sindaco del Comune di Massa stipulava con i Nove di Siena un trattato di amicizia e di reciproca alleanza alle condizioni seguenti; 1° che dalla Comunità di Siena fosse eletto sempre un nobile cittadino senese per capitano di Massa; 2°che non si rilasciassero giammai rappresaglie da uno de’due Comuni contro l’altro; 3° che a’ tempi debiti il potestà di Siena dovesse inviare un giudice per tenere a sindacato il capitano di Massa e sua famiglia, e che cotesti fatti fossero inseriti nello statuto senese. 4° che il Comune di Siena avrebbe garantito le condizioni stabilite con la famiglia Todini di Massa, fra le quali eravi quella di non inviare ajuto ad alcun individuo della madesima. Nel restante si confermano i patti antichi.
    Comecchè questo trattato dichiari abbastanza la soggezione della Comunità di Massa ai Signori Nove di Siena, pure i Massetani continuarono a govarnarsi in proprio nome, e a trattare direttamente i loro affari economici e giurisdizionali con i popoli e città vicine.
    Tali figurano in una lega fatta il 13 agosto 1310 fra i Comuni di Massa, di Volterra e di S. Gimignano, nella quale si dichiara che il governo di Massa non avrebbe mosso questione di diritto sopra il comune di Monteverdi, salve le ragioni che i cittadini massani potessero avere contro gl’individui di Monteverdi. Trovo inoltre che, nell’agosto del 1322, il Com. di Massa mandava a oste il suo esercito sopra il Castello di Travale de’Pannocchieschi, per obbligare quei signori a soggettarsi con capitoli di accomandigia alla loro città, siccome effettivamente nel giorno 15 dello stesso mese venne effettuato.
    Ma l’alleanza coi Senesi del 31 ottobre 1307dovè prestare ai Pisani un valido pretesto per abolire il trattato concluso li 30 luglio del 1302 coi Massetani. Per modo che nel di 11 febbrajo del 1311 (stile comune) messere Ugolino di Celle, assessore del conte Guido da Montefeltro
  •    pag. 23 di 81
    potestà e capitano di Pisa, rilasciò le rappresaglie a Luca di Diotavviva de’Gufi fuoruscito massano per cagione di un campo posto nel padule del Pozzajone .Quindi avvenne che, ai 27 luglio del1313, l’Imperatore Arrigo VII, mentre era in Pisa, rilasciò a Giovanni vescovo e principe di Massa un diploma confermativo di quello che Arrigo VI aveva spedito nel 1194 al vescovo Martino suo antecessore. Ma il diploma di Arrigo di Lussemburgo restò senza effetto, sia perchè era difficile di spogliare il popolo massano de’diritti da esso a titolo oneroso acquistati, sia perchè la morte poco dopo tolse di mezzo quell’imperatore, a danno non piccolo della parte ghibellina e a sollievo del partito guelfo della Toscana e di tutta Italia. Frattanto il Comune di Massa, dopo aver fatto innalzare nel secolo XIII il grandioso tempio dell’attuale cattedrale, dopo averlo incominciato a dipingere, e adornare di monumenti di scultura, dopo aver edificato il palazzo del Comune e ingrandita la città vecchia con la città nuova, s’accese la guerra in Toscana per cagione di Arrigo VII, che obbligare dovette i Massetani di rivolgere le pubbliche rendite ad altri bisogni più pressanti. Le quali urgenze appena cessate, il consiglio generale di massa, dietro la proposizione del potestà Agnolino di Salimbeni da Siena, con deliberazione del di 8 gennajo 1315 ordinò all’operajo della chiesa di S. Cerbone di far proseguire le pitture già incominciate nella cattedrale. (ARCH. DIPL. SEN. l. cit. )
    Poco dopo (28 giugno 1315) fu conclusa in Scarlino una tregua di due anni fra il Comune di Pisa e quello di Massa, a patti; 1°. che questo pagherebbe all’altro 2000 fiorini d’oro per i danni stati recati; 2° che durante la guerra il Com. di Massa non riceverebbe banditi di Pisa nel suo distretto, 3°. che i danni, che fossero per farsi in tempo di tregua da nemici meno forti sotto la giurisdizione di Massa, dovessero pagarsi
  •    pag. 24 di 81
    da questa città; 4° che i Massetani avessero a ribadire i loro fuorusciti, eccettuato Berto di Duccio Todini; 5° che il Com. di Massa restituirebbe i prigionieri pisani ai loro beni, 6° che durante la tregua resterebbero sospese le rappresaglie state già accordate dal Com. di Massa contro i Pisani, e viceversa.
    Da una deliberazione del 19 dicembre 1323 del magistrato massetano si rileva, che l’amministrazione governativa in quel tempo consisteva in 90 consiglieri, divisi per Terzieri; cioè 30 del Terzo di Borgo, 30 del Terzo di Mezzo, e altrettanti di quello di Città nuova. Cotesti 90 consiglieri venivano eletti dal popolo ammesso alla cittadinanza; e spettava al consiglio medesimo la nomina del gonfaloniere e quella de’priori.
    Nell’11 aprile del 1317 un incaricato del Comune di Massa ed altri mercanti di Siena stabilirono i capitoli di una società per eregere una zecca in Massa, e coniarvi monete di grossi d’argento da 20 danari e da sei danari ciascuna; obbligandosi di pagare ai lavoranti e zecchieri il salario medesimo che soleva dare il Comune di Siena; col patto che le monete da coniarsi dovessero aver corso nel solo distretto di Massa. (ARCH. DIPL. SAN. l.cit. )
    A proposito di ciò il Targioni nei suoi Viaggi, citando quest’istrumento sotto la data dell’11 ottobre 1317, potestà di non conoscere, se veramente Massa Marittima abbia giammai battuta moneta; e forse (aggiunge egli) non lo potè fare a cagione delle continue calamità, le quali principiando quest’anno 1317 l’affissero poi sempre in seguito. ( Viaggi T.IV pag. 141 Ediz. Seconda )
    Niun documento infatti mi è accaduto finora di trovare in cui si qualifichi qualche pagamento o tributo in moneta massetana. Ma inquanto al credere che la decadenza di Massa principiasse con l’anno 1317 dubiterei che una simile sentenza potesse prendersi per infallibile, mentre stanno quasi a dimostrare il contrario i fatti istorici e negli atti pubblici
  •    pag. 25 di 81
    di quella città. Conciossiacchè da questi risulta, che nell’anno medesimo 1317, ai 12 maggio, trovasi in Napoli fra i sindaci della lega guelfa di Toscana anche Bernardo di Sacco da Massa in qualità di rappresentante i Comuni di Volterra e di Massa Marittima, ad oggetto di stabilire per mediazione del re Roberto quella pace; che Giovanni Villani dice fatta nel Castello di Montopoli fra le comunità toscane della lega guelfa da una parte, e i sindaci dei Comuni di Pisa e di Lucca dall’altra. Quindi essendo caduta nel 2 dicembre dell’anno 1317 la dedizione degli uomini di Gerfalco al comune di Massa, ( Vedere il suo Articolo ) i Senesi mossero la loro oste contro i Massetani, per cui fu gioco forza scendere a delle trattative di pace, che fu poi conclusa il 13 giugno del 1319.
    Infatti il comune di Massa con quello di Siena prestò soccorso e favore ai Fiorentini nel tempo che questi guerreggiavano contro i Pisani e i Lucchesi comandati da Castruccio. E alla stessa guerra vollero riferire due proteste da ser Cerbone di Gherardino fatte negli anni 1326 e 1325 contro il Comune di Massa Marittima, per la ragione che egli fino dell’8 febbrajo 1325 aveva preso in affitto per anni dieci le cave di zolfo e di allume di Monterotondo per il prezzo di fiorini 200 d’oro; stante però la guerra accaduta negli anni 1326 e 1327 contro i paesi ghibellini e i fuorusciti delle città guelfe di Firenze, Siena e Massa, chiedevasi di ragione dallo stesso fittuario la promulgazione del fitto delle stesse cave di zolfo e allume per due anni più del tempo determinato.
    Nell’anno 1325 trovo, che il Comune di Massa deliberò di comprare la porzione del Castello di Colonna appartenuta a Simone del Rosso de’Lambardi di Buriano, posseduta allora dalla moglie di Ugolinuccio da Monte Merano di lui nipote.
    Anche un lodo pronunziato dagli arbitri del 12 maggio 1326 appella a
  •    pag. 26 di 81
    un istrumento di compra della porzione del Castello e distretto di Colonna fatta per conto del Comune di Massa, il quale sborsò per simile acquisto lire 4100 senesi.
    Frattanto i Massetani continuavano a guerreggiare contro i nobili e magnati del loro contado, fra i quali i più potenti e più ostinati si mostrarono sempre i conti Pannocchieschi.
    Già all’Articolo GAVORRANO fu riportato il sunto di alcune capitolazioni fatte il 30 settembre 1327, allorché gli uomini di quel paese, prima sudditi dei CC. Pannocchieschi, poscia dei Malavolti di Siena, vollero sottoporsi all’accomandigia del Comune di Massa.
    Alla stessa operazione dovettero ricorrere l’anno dopo i conti Pannocchieschi signori di quel castello, ancorché essi nel 7 giugno del 1328 ottennero dal Comune di Massa, che gli uomini di Pietra fossero contemplati a parità dei cittadini massani; con che ricevessero per potestà un ufiziale da eleggersi dai Nove governatori di Massa, che si osservasse lo statuto massano per le condanne criminali, accettuate le ingiurie verbali, che si allirasse il Comune di Pietra nel libro degli estimi del Comune di Massa, e che quegli abitanti inviassero nella vigila di S. Cerbone il tributo di un cero alla cattedrale.
    Sennonché lì 2 novembre dello stesso anno 1328, mediante nuovi patti stipulati fra il sindaco di Massa e Mino di messere Cione Malvolti, questi alienò la metà dei Castelli di Pietra e suo territorio,del quale si prescrivono i seguenti confini: cioè, con l’ Accesa,Giuncarico,Perolla, e Montepozzali. Lo stesso Malvolti cedé al Com. massetano le porzioni dei castelli di Gavorrano e di Gerfalco, che aveva poco innanzi acquistate dai fratelli Nello e Nerio figli di Mangiante Pannocchieschi; per le quali vendite il Malavilti ricevé dal sindaco dei reggitori di Massa la somma di 6000 fiorini. – Finalmente con altro istrumento del di 8 novembre 1328 i prenominati fratelli Nello e Nerio Pannocchieschi; per le quali vendite il Malavolti ricevé dal sindaco dei reggitori di
  •    pag. 27 di 81
    massa la somma di 6000 fiorini. – Finalmente con altro istrumento del di 8 novembre 1328 i prenominati fratelli Nello e Nerio Pannocchieschi venderono allo stesso Comune l’altra metà del castello e territorio di Pietra, e 9 delle 30 parti del castello e corte di Gavorrano con tutte le case e possessioni di loro pertinenza, più 9 delle 60 parti di tutti i loro diritti, case palazzi, poderi, e argenterie del castello e territorio di Gerfalco, il tutto per il prezzo di 6000 fiorini di moneta fiorentina, nella quale occasione fu ratificata la vendita fatta dal Malavolti sei giorni innanzi al Comune di Massa, col farsi i due Pannocchieschi mallevadori dei patti stipulati. – Vedere PIETRA DI MAREMMA, GAVORRANO E GERFALCO.
    In realtà nel trattato di pace, concluso in Montopoli nel 30 luglio 1329, fra i diversi capitoli eranvi i seguenti; che il Comune di Massa non fosse tenuto di restituire il castello di Gavorrano; e che tutti i beni immobili di proprietà del Comune predetto, occupati da dieci anni in avanti da Gentile di Corsino de’Gufi, e dai figli di Dino dei Gufi fuorusciti massetani si dovessero restituire dal Comune di Pisa, e viceversa; finalmente che il Comune di Massa ribandisse i ghibellini della famiglia Gufi e gli restituisse i loro beni, eccettuando però dall’amnistia la famiglia nobile massese de’Todini.
    Nell’anno 1330, a di 28 luglio, il Comune di Massa acquistò in compra dal conte Baccio del conte Inghiramo da Biserno la porzione di una torre che egli possedeva nel Terzo di Borgo presso il Palazzo degli Anziani. Il qual documento ci dà a conoscere la situazione del palazzo del governo, che è quello attualmente di residenza del magistrato comunitativo sulla piazza del Duomo.
    Ma cotest’anno 1330 riescì calamitoso ai Massetani stante le ostilità insorte fra essi e i Senesi, sicchè il Com. di Massa si risolvè di rinnovare patti di alleanza con
  •    pag. 28 di 81
    i Pisani. Dondechè nel 3 giugno del 1331 i sindaci dei due Comuni conclusero una lega per 10 anni alle condizioni seguenti.
    1°.Che il Com. di Massa durante il tempo di cotesta lega dovesse eleggere il suo potestà e capitano con un giudice assessore fra i cittadini pisani col salario di lire 800 di denari piccoli, moneta corrente in Massa, e al giudice assessore di lire 150. 2°.Che si avessero e che si tenessero per amici gli amici e per nemici i nemici dell’uno come dell’altro paese; 3°.Che Pia non dovesse ricevere i ribelli di Massa nel suo distretto, e viceversa; 4°.Che ribadissero i cittadini fuorusciti di Massa, e quelli del comune di Scarlino; 5°. Che uno de’due Comuni prestasse ajuto all’altro con le forze sue e quelle de’respettivi popoli sottoposti; mentre fra i paesi che dipendevano allora dal governo di Massa si noveravano quelli di Gerfalco , Monterotondo, Perolla, Pietra, Gavorrano, Colonna, Caldana, Ravi, Rocca e Campetroso ( loc. cit. )
    Quantunque cotesto trattato avesse corta durata, a cagione delle inimicizie che insorsero fra i Massetani e i Pisani contro il governo della Repubblica di Siena, giova non ostante a farci conoscere quelli e quanti castelli e territorii nell’anno 13331 dipendevano dal governo politico di Massa.
    Gli storici senesi parlano di una battaglia fra l’esercito di Siena e quello pisano e massano battaglia tra Giuncarico e Colonna, lì 14 dicembre 1332, nella quale fazione ebbero la peggio i Pisani coi loro alleati. – Alla sconfitta del 1332 essendosi aggiunta una orribile carestia, i Fiorentini supplicarono il Pontefice Giovanni XXII a volersi interporre per metter pace e concordia fra i Comuni di Pisa e di Siena, che si facevano guerra l’un l’altro per signoreggiare Massa e le sue castella.
    Il Papa aderendo alle preci de’Fiorentini, col ritorno da Avignone di Francesco Salvestri vescovo di Firenze, volle investirlo a tal effetto suo delegato pontificio. Questi infatti ordinò alle respettive
  •    pag. 29 di 81
    parti belligeranti di sospendere ogni ostilità, invitando ciascuno dei tre Comuni a inviargli il loro sindaco con facoltà di concludere l’accordo e di accettare il lodo che il prelato fiorentino in qualità di arbitro doveva pronunziare.
    Dopo do ciò la Signoria di Firenze a nome del suddetto Legato apostolico ricevé in guardia non solo la città di Massa, ma i castelli di Monterotondo, di Gerfalco, di Perolla, di Gavorrano, di Colonna, di Rocchetta, di Pietra, di Caldana, di Campetroso, e di Ravi, assumendosi l’onere di adempire quanto fosse per lodare il vescovo Salvestri per l’una e per l’altra repubblica. Infatti nel di 4 settembre del 1333 fu pronunziato il lodo, col quale si ordinava ai Pisani di lasciare libera la città e le fortezze del Comune di Massa, ed ai Senesi di restituire ai Massetani le loro castella e prigioni, e viceversa questi a quelli. Inoltre furono assoluti i sudditi di ciascune delle tre città da ogni pena e condannagione imposta loro dal 30 giugno 1333 fino a questo suddetto giorno; e finalmente fu prescritto che la confederazione del 28 luglio 1330 fra il Comune di Pisa e quello di Massa dovesse sospendersi per il corso di 5 anni.
    Il lodo fu ratificato dai rispettivi sindaci nel 25 settembre 1333; nel mentre che quello di Massa dichiarava, che d’allora in poi per tre anni consecutivi la sua patria si sarebbe governata in nome del vescovo di Firenze, alla presenza del quale bentoso fu eletto per potestà di Massa il nobil uomo Simone di messer Rosso de’Gianfigliazzi di Firenze, e in giudice delle appellagioni messere Nepo di messere Pazzino de’Pazzi. Quindi la signoria di Firenze ordinò al suo commissario Ranieri del Forese di lasciar libera Massa e le sue castella ad ogni volontà del Legato pontificio. Poco dopo, nel 23 gennajo successivo, in nome e a onore del vescovo di Firenze il Comune di Massa nominò in suo potestà messere Ciampo di messere Pietro
  •    pag. 30 di 81
    della Tosa cittadino fiorentino, e Riccardo da Castiglionfiorentino all’ufizio di bargello per mesi sei. (ARCH. DIPL. SEN. Carte della città di Massa. – R IFORMAG. DI FIRENZE. – G. VILLANI Cronic. Lib.X cap. 223. – AMMIR. Stor. Fior. Lib. VIII.)
    Fra le stesse carte del Comune di Massa una del 31 maggio 1334 tratta dell’imprestito fatto a detta città di mille fiorini d’oro da Simone di Rosso de’Gianfigliazzi di Firenze. Nel 10 luglio dell’anno medesimo ebbe luogo una convenzione fra il Comune di Massa e il conte Guidarello di messere Guido da Lattaja signore della sesta parte del Castello e territorio di Ravi, con la quale fu sottoposta alla giurisdizione del Comune preindicato la porzione di quel Castello spettante al C.Guidarello, coll’ammettere questi alla cittadinanza massetana.
    La stessa sottomissione al governo di Massa fu eseguita nell’agosto 1334 dagli uomini di Monterotondo, e nel settembre susseguente dai signori di Caldana.
    Nel 3 febbrajo 1335 (stile comune) a nome del vescovo di Firenze il sindaco di Massa elesse in potestà messere Giampiglione dei Tornaquinci fiorentino, e tre giorni dopo la stesso vescovo di Firenze Signore generale della città di Massa e suo distretto, avendo dato ordine che si eleggessero il conservatore della pace, ossia il capitano del popolo, ed il giudice degli appelli, confermò l’elezione del suddetto Giampiglione de’Tornaquinci per sei mesi col salario di 200 fiorini d’oro.
    Cotesto concordato per altro non continuò per l’intiero triennio convenuto, a cagione dei Sanesi, siccome fu avvertito da Giovanni Villani al luogo citato, e quindi al capitolo 33 del Libro XI delle stesse cronache. Imperocché ivi distesamente racconta “come ai 24 agosto del 1335, tenendo i Fiorentini la città di Massa per l’accordo fatto per il loro vescovo l’anno 1333, ed essendovi per potestà Tigghia di messer Bindo de’Buondelmonti, e per capitano Zampiglione de’Buondelmonti, e per capitano Zampiglione de’Tornaquinci, la setta de’cittadini che amavano i Sanesi, e per loro trattato, cominciarono
  •    pag. 31 di 81
    il romore e battaglia nella città, e a barrarsi nella terra; e la parte de’Sanesi si accordò col predetto Zampiglione capitano del popolo, e dissesi per corruzione di moneta. Incontanente vi cavalcaro i Sanesi ed antraro nella terra dalla parte di sopra ( città nuova ) ov’era la forza della loro setta. I fiorentini vi mandarono allora il loro vescovo e altri ambasciatori per racquetare la terra, ma niente v’adoperarono per la forza de’Sanesi che avean presa gran parte delle fortezze della città, talchè convenne per forza ch’al tutto fossono Signori della terra, e cacciarne i capolari amici de’Pisani.”
    Le carte sincrone di Massa, e quelle del Kaleffo nero dell’Arch. Dipl. senese stanno a conferma della verità di tale avvenimento.
    Infatti in una riformagione della Signoria di Siena, sotto di 5 ottobre 1335, indizione IV, si dice, che essendo nata discordia, e volendo far pace tra il Comune di Siena e quello di Massa di Maremma, i prudenti uomini Gottrigo di Scolajo e Tura di Giacomino, stati eletti arbitri per detto effetto dal consiglio generale della Repubblica senese, pronunziarono rapporto a Massa i patti seguenti: 1°. di cedere tutti i luoghi e fortilizii della stessa città alle forze di Siena, accordando l’uso dei medesimi, l’entrata e l’uscita liberamente a piacere dei Signori Nove; 2°. di prendere dalla città di Siena il potestà con l’obbligo a questi di far giustizia secondo lo statuto di Massa; 3°.di tenere il Compartimento di Siena per amici gli amici del Comune di Massa e viceversa; 4°. che il Comune di Massa debba bandire coloro che fossero banditi dalla città e distretto di Siena; 5°.che debba accogliere l’esercito senese e unirsi al medesimo appena che il Comune di Massa sarà ricercato dai Signori di Siena; 6°. Che il Comune massetano non debba fare lega con alcun Comune o signore, e le già fatte leghe s’intendano rescisse; 7°. Che i Signori Nove debbano tener ragione in Siena a
  •    pag. 32 di 81
    istanza di quelli di Massa che reclamassero contro gli stessi cittadini senesi o suoi distrettuali; 8°. che gl’individui della famiglia Todini, possa restare in Massa finché sia procurata pacefar Siena e detta famiglia; 9°. che il Sindaco del Comune di Siena debba interessarsi per un amichevole aggiustamento fra i Massetani che si dicono di Città vecchia e quelli di Città nuova. Finalmente fu stabilito di eleggere 12 prudenti uomini, incaricati di provvedere agli ufizj, e alla maniera di eleggere in seguito i consiglieri e gli ufiziali della città di Massa, cui doveva peraltro presedere un rappresentante della Signoria di Siena.
    Nell’anno 1336, al 6 di luglio, i Signori Nove insieme coi consoli della città di Siena deliberarono,che nei fortilizj di Massa si tenesse guarnigione senese, e che i Massetani dovessero pagare a tal uopo un’imposizione di lire mille di denari senesi per due anni avvenire. (ARCH. DIPL. SEN. l. cit. )
    A quell’anno medesimo 1336 appella la grandiosa opera dell’arco arditissimo che unisce la città vecchia di Massa alla città nuova. Imperocché in quel tempo appunto la Repubblica di Siena faceva acquistare dai particolari e dal vescovo di Massa di case piazze e terreni dentro la città ad effetto di fabbricarvi una fortezza, siccome venne bentoso effettuato. (ARCH. DIPL. SEN. Kaleffo nero n°10.)
    In quanto agli architetti che furono autori dell’altissimo arco testè nominato, ne dobbiamo la scoperta alle cure di un zelantissimo cittadino senese, Ettore Romagnoli, di corto rapito alla patria e compianto dai suoi amici.
    Fu egli che,esaminando nell’Arch. delle Riformagioni di Siena un libro di conti del 1336, intitolato, Ragione degli Operaj del cassero di Massa, trovò fra le altre cose registrate le seguenti parole: che comprati dal Comune di Siena varj edifizj sulla città di Massa, si diè mano a fabbricarvi un’imponente fortezza. E fu appunto per punto di cotesto lavoro che in detto libro
  •    pag. 33 di 81
    di mano in mano registravansi i deversi acconti pagati in quell’anno 1336 ai maestri dell’opera. Fra i quali maestri di architettura ivi si nominano Maestro Agostino di Maestro Rosso nostro architetto, e Maestro Agnolo di Maestro Rosso suo fratello; cioè quei due celebri artisti, di cui scrisse la vita Giorgio Vasari,ed ai quali Siena, Orvieto, Bologna e Arezzo debbono, o dei grandiosi edifizj, oppure delle opere insigni di scultura.
    Il primo castellano del nuovo cassero della Città nuova fu Agnolino di Mino di Giovanni da Siena, il quale ebbe dalla Repubblica fiorini 1338, soldi 11 e denari 4 per spendere in armi, munizioni ed altre cose necessarie per detto castello.
    Nel 1339, all’occasione di un compromesso fra il Com. di Massa e quello di Siena per le spese fatte dal governo senese a causa della fortezza nuovamente fabbricata in Massa,fu pronunziato un lodo, col quale venne stabilito, che il Com. di Massa dovesse in perpetuo pagare ogn’anno a quello di Siena 1200 fiorini per guardia e difesa del Cassero. –(ARCH. DIPL. SEN. Kaleffo nero n°81.)
    Alle stesse condizioni onerose nell’anno 1361 dovettero assoggettarsi i Massetani, mediante una convenzione rinnovata dai loro sindaci davanti i Signori Nove della Repubblica di Siena.
    Fra le carte della città di Massa havvene una del 3 gennajo 1384, che può dare un’idea della morale pubblica, e della polizia di quella città, poichè si tratta in essa della vendita fatta dal Comune di un postribolo, ossia bordello di Massa, a certa donna pubblica, Anna Tedesca, per l’annuo canone di lire otto con obbligo di tenerlo provveduto di femmine da partito.
    Sulla fine del secolo XIV la città di Massa al pari di quella di Siena avendo accolto le soldatesche e i commisarj del duca di Milano, nel primo novembre del 1400 fu fatto un decreto, col quale i governatori di Siena e il commissario del duca Giovanni Galeazzo ordinarono, che
  •    pag. 34 di 81
    l’uffizio di potestà e quello di capitano del popolo di Massa si unissero in una sola persona, e che cotesta magistratura venisse d’allora in poi conferita alternativamente fra i nobili ed i popolani col salario annuo di mille lire senesi.
    Ma cotesta congiunzione del dominio senese a quello dei Visconti di Milano raddoppiò invece di alleggerire ai Massetani il giogo, sicchè nel mese di aprile del 1404, appena espulse le soldatesche ducali da Siena, il popolo di Massa si mosse a rumore per assalire e scacciarle dalle sue mura. Dondechè con provvisione del 18 aprile 1404, fatta nel palazzo del governo, il concistoro di Siena in considerazione della fedeltà a delle fatiche sofferte dal popolo massetano per espellere le milizie del duca di Milano dalla fortezza di Massa e ricuperare la medesima, decretò, che per 5 anni avvenire i Massetani fossero esenti dal censo di 500 fiorini d’oro, che restasse cassato il loro debito arretrato, e che per tutto il quinquennio la Repubblica senese avrebbe mantenuto il suo spese il cancelliere di Massa. A cotesta deliberazione del concistoro di Siena tenne dietro un’altra in data del 5 settembre 1405, con la quale fu ordinato, che niuno d’allora in poi dovesse farsi far ragione dal castello della fortezza di Massa, ma che le cause civili venissero decise dal capitano e podestà di detta città, benché si trattasse di servi e dipendenti da quel castellano.(ARCH. DIPL. SEN. l.cit.. )
    Però tali elergità erano piuttosto una prova della decadenza di Massa, anziché della generosità del governo di Siena; siccome lo dimostrano i fatti che ne conseguirono. Avvegnachè nel 19 novembre 1408 il concistoro sanese ad istanza del Comune di Massa, avuta in vista la diminuita popolazione di questa città, ridotta ormai al numero di 400 persone, per cui non poteva quel Comune corrispondere al censo antico e alla tassa più volte variata, deliberò, che questa venisse ridotta per 5 anni successivi a soli 400
  •    pag. 35 di 81
    fiorini d’oro da lire 4 per fiorino.
    Stanno a conferma della decadenza progressiva di questa città altre due deliberazioni emanate dal governo sanese nel 20 e 29 aprile dell’anno 1428. Nella prima delle quali si dichiara, come al consiglio di Siena fu rappresentato dai sindaci di Massa; 1°. che la sua popolazione era ridotta a 400 uomini, la maggior parte forestieri; 2°. che l’agricoltura e al mercatura erano affatto venute meno; 3°. che si erano ristretti i pascoli per avere il governo di Siena occupate molte castella dell’antico distretto massetano; 4°. che la città di Massa aveva un debito colla Bicherna di 12800 lire sanesi, e di altre 8000 lire per grani somministrati. In vista delle quali cose il concistoro di Siena, avuto in considerazione i servigj prestati dal Comune di Massa, e lo stato infelice in cui si trova allora ridotta la stessa città, con provvisione del 29 aprile del 1428 accordò gli appresso privilegj;1°. che ogn’anno nella vigilia di S. Maria di agosto il Comune di Massa offrirebbe un palio del valore di lire 200 per dieci anni; 2°. che nessun bandito, non ostante i patti antecedenti, potesse goder franchigia nel territorio di Massa; 3°. che per dieci anni continui il Comune suddetto pagherebbe alla Bicherna lire 1800 l’anno; 4°. che si dovessero tener fremi tutti gli altri patti delle convenzioni passate e in questa non contemplati.
    È verisimile che i Massetani riescissero amari anzi che graziosi cotesti privilegj, come quelli che sembravano diretti a gravare piuttosto che ad alleggerire il giogo sanese.
    Era realmente in lite il Com.di Massa con quello di Siena, nel 1474, quando si trattava di dovere assegnare una quantità di terreno del territorio di Pietra spettante allora al distretto di Massa per formarvi un lago artificiale che fino dal 1469 dai reggitori senesi fu progettato. – Vedere LAGO DI PIETRA.
    Che le condizioni politiche ed economiche de’Massetani andassero vie più deteriorando, lo dimostrano le
  •    pag. 36 di 81
    capitolazioni stabilite nell’anno 1467 fra i governatori di Siena e quelli di Massa, nelle quali fu prescritto; 1°.che per anni 15 avvenire questo Com. dovesse pagare per annuo censo alla città di Siena fiorini 600, e alla sua cattedrale un cero del valore di fiorini 50; 2°.che i Massani non potessero esigere dai cittadini senesi alcuna gabella di mercanzie né d’altre cose, le quali si facessero passare per Massa o per il suo distretto; 3°. all’incontro che i Massani a tenore de’statuti sanesi fossero tenuti di pagare la gabella delle proprie mercanzie che introducevano in Siena, come pure il dazio di quei generi che eglino volessero estrarre da Siena o dal suo distretto; 4°. che nella città di Massa e suo contado non si potessero ricettare banditi di Siena, o altri condannati in qualunque maniera e a qualsiasi pena; 5°. che i banditi della città di Massa non sarebbero ricettati dai senesi; mentre per il restante restavano fermi i patti antecedenti. (ARCH. DIPL. SEN. Kaleffetto ).
    Coteste convenzioni al termine dei 15 anni furono rinnovate (anno 1482) con la differenza che il tempo delle capitolazioni non doveva oltrepassare i dieci anni.
    In questo frattempo i Pontefici Sisto IV e Innocenzio VIII, premurosi di procurare al governo romano l’esclusivo commercio dell’allume, fulminavano l’interdetto al Comune di Massa per avere concesso il permesso di vendere le Allumiere di Montione e dell’Accesa state dal vescovo Massano poco innanzi donate alla S. Sede.
    In mezzo a tali disposizioni poco pacifiche, dopo tante opere ostili e rivalità, dopo una serie poche volte interrotta di ingiurie, di uccisioni, di esilj e di rapine fra i magnati di contado, i senesi e gli uomini di Massa, si arrivò alla metà del secolo XVI, quando non senza gran cordoglio de’Massetani si vide avvicinarsi l’ultim’ora della repubblica senese, vinta dalle armi dell’Imperatore Carlo V e dai tesori di Cosimo I duca di Firenze. A quest’ultimo infatti i Massetani per atto pubblico del
  •    pag. 37 di 81
    3 febbrajo 1554 (stile fiorentino, ossia 3 febbrajo 1555 stile comune) prestarono giuramento di fedeltà e sommissione, non senza tralasciare di far conoscere al novello principe il desiderio che eglino tuttora nutrivano di riacquistare le antiche franchigie, suppongono quelle delle prime capitolazioni con la Repubblica di Siena.
    Per la quale cosa nel 17 maggio 1560 il Cardinale Agnolo Niccolini governatore per Cosimo I dello Stato senese inviò a Firenze una dettagliata informazione per le domande che si facevano dalla Comunità di Massa, desiderosa come mostravasi di non vedere pregiudicata cotesta città negli antichi privilegj ed esenzioni.(ARCH. DELLE RIFORMAG.di FIRENZE).
    Ma la provincia inferiore senese, ossia quella che oggi conoscesi sotto nome di Compartimento di Grosseto, durante il dominio della Repubblica di Siena era caduta in deplorabile stato, che ad onta di avere Cosimo I inviato dall’estero molte famiglie per fissare il loro domicilio in Massa; ad onta che il di lui figlio e successore obbligasse le comunità di Massa ad alienare una parte dei terreni comunitativi ai privati col fine di arrivare l’industria e la produzione mediante un maggior numero di piccoli possidenti; ad onta di queste e di altre favorevoli disposizioni, tutto restò paralizzato dall’impedita libertà commerciale, e specialmente dalla tratta de’grani stata quasi sempre coartata,o resa presso che nulla. In guisa che, senza calcolare le cause fisiche,cotesta ultima proibizione rendeva vani tutti i precedenti rimedj, e divenne sempre di più uno degl’incentivi maggiori dell’abbandono delle semente, e della deteriorata condizione fisica della Maremma sanese. In conseguenza rimasero inefficaci le disposizioni promosse dai principi della famiglia Medicea, e le sorte dei Massetani, al pari di quella dei paesi intorno, andò sempre più peggiorando per la calamità generali della provincia inferiore di Siena. Anche i provvedimenti fatti inserite negli statuti di Massa del 1590 dai granduchi Francesco e Ferdinando I per conceder privilegj a tutti coloro che si recassero di nuovo ad abitare o per un certo tempo avessero stanziato in Massa, anche coteste franchigie rimasero senza
  •    pag. 38 di 81
    utili resultamenti. – Lo stesso dicasi del primo Granduca della dinastia regnante,quando, nella lusinga di ripopolare e di migliorare lo stato economico della Maremma massetana, chiamò costà una colonia dalla Lorena; ma ancora questo rimedio non fu che un passeggiero palliativo, il quale cessò il suo debole effetto con la morte progressiva degl’individui venuti per rispopolare e rianimare la massetana contrada. – Era pertanto Massa con la sua Maremma ritornata in uno stato di desolazione quando salì sul trono della Toscana il gran Leopoldo.
    Furono le leggi e i provvedimenti economici ordinati dal moderno Solone quelli che fecero cangiare aspetto a Massa meglio che ad alcun altro luogo delle Maremme senesi. Fu quel grand’uomo che diede il primo esempio per fare cessare i perniciosi effetti della separazione del pascolo dal possesso del suolo. Fu Leopoldo I che concedé a livello perpetuo ai lavoranti terrieri tutti i luoghi di pastura stati fino allora amministrati da corporazioni pie, o comunitative, o da altre magistrature. Fu Egli, che rivolse il suo animo alla riduzione fisica delle Maremme,ed è sua mercé se gli abitanti di Massa videro sparire i piccoli paduli e acquitrini della Ghirlanda , della Ronna , del Pozzajone e delle Venelle , i quali con putrescenti e mofetiche esalazioni infestavano la sovrastante città. Sennonché rimanevano sempre a danno degli abitanti della Maremma massetana due più vasti fomiti d’infezione; voglio dire, il padule di Piombino a libeccio, e quello di Scarlino a ostro della città. Quello che per brevità di tempo, e per un sistema idraulico di poco felice successo, non si poté effettuare a prò delle Maremme di Massa e di Grosseto dal Granduca Leopoldo I, si opera attualmente mercé l’Augusto erede del suo nome, il Granduca LEOPOLDO II, con un metodo idraulico di bonificamento che promette un esito meno incerto, perché dimostrato suscettibile di condurre con pazienza a buon termine la più vasta, più difficile, più magnanima e
  •    pag. 39 di 81
    più gloriosa intrapresa.
    Dovendo dire una parola degli stabilimenti pubblici di Massa, richiamerò i miei lettori all’epoca già di sopra accennata della costruzione delle mura della Città nuova , della torre dell’Orologio, del palazzo del Comune, dell’arditissimo arco, del cassero sul Monte regio , stato ceduto ai Senesi dai vescovi per costruirvi la rocca nel punto più prominente della città alta, convertita da Leopoldo I ad uso di ospedale. – Al che aggiungerò, come una gran parte delle attuali mura della città nuova di Massa, dopo il 1377 furono rifatte, siccome apparisce da una delibera presa dal concistoro di Siena nel 23 novembre di quell’anno, con la quale fu accordata licenza al Comune di Massa di rifabbricare le mura della sua città, purché non si pregiudicasse al cassero; obbligando nel tempo stesso il magistrato di Massa a pagare una lira per ogni canna di muro. Per il qual effetto il governo sanese ordinò che si destinassero a tale impresa edificatoria i denari che si dovevano ritirare dal vescovo e dal clero regolare di Massa e del suo distretto. (ARCH. DIPL. SEN., Carte della Com.di Massa. )
    Egualmente è da osservare, che la cattedrale di S. Cerbone fu riedificata dalla comunità dopo il 1225, siccome lo danno a conoscere lo stile architettonico e più ancora la cessione fatta nel 1225 dal vescovo Alberto e dal suo clero dei diritti baronali e beni allodiali al Comune di Massa. Che poi l’attuale duomo fosse rimasto compito al principio del secolo successivo, lo mostra la deliberazione presa dal magistrati civico di Massa del 1316, allorché ordinava all’operajo della cattedrale di fare continuare a dipingere le pareti, (ora però nude) della chiesa di S. Cerbone. Non ostante il Duomo di Massa fu restaurato, almeno nella parte della tribuna e nella sua tettoja, quando, per rifare l’una e l’altra l’operajo di quel tempio alienò nel 26 dicembre 1483 alcuni beni lasciati alla detta opera da Ser Francesco
  •    pag. 40 di 81
    di maestro Benuccio da Massa. (ARCH. DIPL. FIOR. Carte di Massa ).
    Questo tempio è tutto costruito di travertino squadrato, circondato intorno da mezze colonnine. Ha una bella facciata con le caratteristiche architettoniche del secolo XIII, nell’interno è diviso in tre corpi o ambulatorj con archi a tutto sesto sorretti da colonne di pietra; la cupola che si alza nella crociata dubito che sia un lavoro del secolo XV avanzato, così quello della vicina torre o campanile, siccome lo è l’altar maggiore, tutto di marmi fini, sotto alla cui mensa sono racchiuse le ceneri del santo vescovo Cerbone dentro ad un arca di marmo bianco storiata a quadri di alto rilievo, scolpita nel 1323 da maestro Goro di Gregorio senese. Di data anteriore e di mano meno valente è la scultura della vasca per il fonte battesimale posta a piè di chiesa, opera fatta nel 1262 da maestro Giroldo del fu Jacopo da Lugnano; il tempietto che stà in mezzo alla vasca del 1467. A piè del fonte battesimale vedesi un bel sarcofago antico con sculture simboliche rappresentanti l’anima quando è unita, e poi nell’atto di separarsi dal corpo umano. Fra i quadri di qualche merito può citarsi quello di Francesco Vanni nella cappella presso l’organo, rappresentante Adamo ed Eva.
    Il vasto tempio di S. Pietro all’Orto in città nuova fu edificato nel 1197, come rilevasi da un’iscrizione sopra la porta maggiore pubblicata dal Targioni. Fu però ampliato dai Frati Romitani di S. Agostino, ai quali fu ceduta cotesta chiesa nel secolo XIII, allorché vi fondarono nel 1269 il convento annesso, dove nel secolo attuale venne ad abitarlo la famiglia dei Frati Zoccolanti qua traslata dal loro antico convento di S. Francesco fuori le mura di Massa, per ridurre questo ad uso di seminario.
    Nel suddetto tempio di S. Pietro all’Orto può vedersi la tela all’altare della SS. Annunziata dipinta dall’Empoli nel 1614, all’altare di S. Michele un buon quadro
  •    pag. 41 di 81
    di Rutilio Manetti, autore di altro dipinto anche più pregevole per robustezza all’altare della Visitazione; ma tutto resterebbe vinto dalla raffaellesca dipintura dell’altare di S. Bastiano, se fosse meglio conservata cotesta opera pregevolissima del Pacchiarotto.
    Chiuderò il presente articolo con il quadro della popolazione di Massa a quattro epoche diverse per vedere il confronto vistoso che passa fra il numero degli abitanti di questa città dal 1640 al 1839.

    MOVIMENTO della popolazione della città di MASSA MARITTIMA a quattro epoche diverse, divisa per famiglie.

    ANNO 1640: Impuberi maschi -; femmine -; adulti maschi -, femmine -; coniugati dei due sessi -; ecclesiastici dei due sessi -; numero delle famiglie 165; totale della popolazione 586.
    ANNO 1745: Impuberi maschi 67; femmine 72; adulti maschi 74, femmine 107; coniugati dei due sessi 77; ecclesiastici dei due sessi 45; numero delle famiglie 145; totale della popolazione 442.
    ANNO 1833: Impuberi maschi 583; femmine 368; adulti maschi 220, femmine 220; coniugati dei due sessi 1000; ecclesiastici dei due sessi 91; numero delle famiglie 457; totale della popolazione 2482.
    ANNO 1839: Impuberi maschi 512; femmine 481; adulti maschi 439, femmine 442; coniugati dei due sessi 921; ecclesiastici dei due sessi 45; numero delle famiglie 466; totale della popolazione 2840.

    COMUNITA’ DI MASSA MARITTIMA. – A questa comunità, una delle più vaste del suo Compartimento, e di tutte quelle del Granducato (se n’eccettui Manciano) per sovrana disposizione del 14 luglio 1837 vennero aggregate due sezioni, Follonica e Valli con l’altra di Montioni, dell’estensione territoriale di 11225.96 quadrati agrarj, appartenute all’antica comunità di Scarlino, unita poi a Gavorrano. A questa ultima invece furono cedute altre due sezioni, cioè il Pian di Tatti e Pietra, già comprese nell’antico territorio di Massa, le quali abbracciano una superficie di 10814.55 quadrati agrarj. – Per tal modo la comunità di Massa attualmente occupa una superficie territoriale di 127465.82 quadrati agrarj,
  •    pag. 42 di 81
    pari a miglia toscane 158 e compresivi 2226 quadrati per corsi d’acque e strade.
    Vi si trova nell’anno 1833 una popolazione di 6193 abitanti, corrispondente a circa 40 individui per ogni miglio quadrato di suolo imponibile; mentre nel principio dell’anno 1839 vi si contava una popolazione fissa di 6556 abitanti, equivalente a più che 42 individui per miglio quadrato come sopra.
    Il territorio comunitativo di Massa Marittima è circondato da sette comunità, e per la traversa di un miglio, alla spiaggia di Follonica, dal mare. Dal lato di libeccio della città rasenta il territorio della Comunità di Piombino, a partire dalla foce del fosso del Castello di Valli in mare, e di là dirigendosi verso settentrione sale sul crine dei colli a ponente di quel Castelletto, poscia attraversa la strada R. maremmana e quindi risale sui poggi della Pievaccia (di Valli), per dove s’inoltra per la strada mulattiera, nominata de’ Confini, sul poggio di Montioni Vecchio. Dirimpetto alla sua torraccia cessa la Comunità di Piombino, e sempre dal lato di ponente sottentra quella di Suvereto, con la quale l’altra di Massa fronteggia, innanzi tutto mediante il fosso d’ Acquanera, poi piegando da ponente a grecale cammina per la via di Calza lunga, passando sul poggio Bussato, di là dal quale incontra il fosso Borgognano. Ivi rivolge di nuovo la fronte verso settentrione per corredo le piagge, dove fu il castello di Tricasi e quindi per passare dalla Torre al Gallo a ponente maestrale di Monte Bamboli. Di costà scendendo verso la pendice settentrionale del monte suddetto di due territorii entrano nel borro così detto del Caglio, col quale si avviano nella fiumana della Milia . Mercé quest’ultimo corso d’acque le due comunità fronteggiano per il cammino di circa un miglio sino a che il territorio di Massa lascia fuori a ponente
  •    pag. 43 di 81
    la Milia per andare a trovare con più corto cammino di circa un miglio sino a che il territorio di Massa lascia fuori a ponente la Mila per andare a trovare con più corto cammino il fiume Cornia, il cui alveo rimonta di fronte all’altro di Suvereto nella direzione da ostro a settentrione per quasi due miglia costà dove il fiume forma un gomito. A questa voltata cessa il territorio di Suvereto, e viene a contatto con la comunità di Monteverdi, quella della Comunità di Massa, da primo mediante la corrente della Cornia che risalgono da libeccio a grecale di conserva per un miglio di cammino, quindi per termini artificiali, traversando alla sinistra del fiume, percorrono di fronte a ponente e maestrale i poggi dell’antico Gualdo del Re, ora detti della Madonna del Frassine e del Bagno del Re , finché arrivano sul borro di Gualdicciolo , la dove si estende una lingua del territorio delle Pomarance. Con questa Comunità l’altra di Massa fronteggia dirimpetto a settentrione maestrale, da primo mediante il borro predetto, poi lungo il fiume Cornia, che presto lascia fuori a ponente per rimontare un fosso suo tributario, appellato delle Gorghe, col quale passa davanti al Lago solfureo di Monterotondo.
    Quà voltando faccia da maestrale a settentrione rasenta le gronde del lago medesimo per entrare poco lungi nel borro Manciano, poscia nel fosso detto di Confine, e quindi salire il Monte di Mare , ossia quel nodo montuoso che separa la Valle della Cornia dalla valle della Cecina; nella quale ultima il territorio comunitativo di Massa Marittima s’inoltra fino al torrente Pavone. Costà sulla ripa sinistra del Pavone cessa il territorio della Comunità delle Pomarance ed entra a contatto quello di Montieri, col quale l’altro di Massa rimonta verso le sorgenti del Pavone
  •    pag. 44 di 81
    salendo il fianco occidentale della Cornata di Gerfalco per il corso di circa tre miglia di cammino nella direzione di maestrale a scirocco.
    Da quella sommità, continuando la direzione verso scirocco, discendendo le due Comunità verso i poggi che a ponente maestrale di Prata, là dove scaturiscono le prime fonti del fiume Merse, fino a che i due territorj appena giunti a settentrione di Prata, piegano da levante a scirocco per salire sui poggi situati a levante di Prata, al di là dei quali trovano il botro della Formicciola, ultimo confine orientale della Comunità di Montieri. Qui sottentra il territorio comunitativo di Roccastrada, col quale questo di Massa Marittima s’inoltra per termini artificiali sul monte Fornoli, indi per i poggi Peloso e de’ Botri dirigesi sulle piagge orientali del monte di Tatti, quindi entra nel torrente Follonica tributario del fiume Bruna, mediante il quale la Comunità di Massa rasenta dal lato di levante per due miglia di cammino l’altra di Roccastrada sino alla confluenza del Follonica nel torrente Corsia. Costà lasciando fuori la Comunità di Roccastrada subentra nel lato di scirocco quella di Gavorrano nella sezione del Piano di Tatti; e camminando di conserva nella direzione di ponente libeccio attraversano i poggi che dividono la vallecola del Corsia da quella del torrente Noni, donde si avanzano a ostro di Monte Pozzali per indirizzarsi sul fiume Bruna ai Forni dell’Accesa un’miglio a scirocco del Lago donde scaturisce. Attraverso il fiume, e poco dopo varcando i poggi che separano dal lato occidentale questa valle dall’altra della Pecora, le due Comunità entrano nell’alvero quest’ultima là dove si stacca la gora di Follonica. Cosicché i due territori percorrendo fra l’alveo della Pecora e la gora suddetta scendendo paralleli a quest’ultima nella direzione da settentrione a
  •    pag. 45 di 81
    ostro fino al lido del mare, rasentando così la gonda occidentale, che va attualmente colmandosi, del padule di Scarlino. Giunti i due territorj al litorale di Follonica, questo di Massa lascia l’altro di Gavorrano al suo levante e voltarsi a ponente onde lambire per un miglio le onde marine, a partire dalla gronda occidentale del padule di Scarlino sino alla foce del fosso di Valli, dove ritorna a confine il territorio della Comunità di Piombino.
    Fra i corsi principali d’acqua che passano o che resentano il territorio comunitativo di Massa Marittima vi è, a ponente il fiume Cornia, a ostro la Pecora, a scirocco la Bruna , a settentrione la fiumana Milia, mentre su gli opposti fianchi dei poggi, che stendendosi da quello di Montieri e di Prata, nasce, dal lato di levante il fiume Merse, e a settentrione il torrente Pavone, che è uno dei più altri tributarj del fiume Cecina.
    Le strade regie e provinciali che guidano a Massa, o che attraversano per cotesta comunità, sono le seguenti: la regia Maremmana aperta dal granduca regnante, la quale trapassa da libeccio a levante per il territorio massetano, a incominciare dal fosso di Valli sino alla fiumana della Pecora, per un attraversa di circa miglia 2 e 1/2.
    Magnifico è lo stradone che dalla marina di Follonica dirigesi per i Forni di Valpiana alla città di Massa. – Fra le strade RR. provinciali havvi quella che da Massa scende verso settentrione nel valloncello della Milia per quindi salire sul Monte di Mare , mediante i poggi che separano la Val di Cornia dalla Val di Cecina, la quale per Castelnuovo, Monte Cerboli, Pomarance e le Moje porta a Volterra.
    Sono pure RR. provinciali le due strade rotabili state di
  •    pag. 46 di 81
    recente aperte da Massa nella direzione di Grosseto e di Prata, mentre quest’ultima dovrà continuare il cammino per Casole, Colle e Poggibonsi.
    Sono comunitative rotabili le strade che guidano da Massa a Montioni, da Massa ai Forni dell’Accesa, da Massa a Monterotondo, ecc.
    Fra i tributarj della Pecora rammenterò i torrenti Ronna e Vanelle, che insieme si accoppiano innanzi di entrare nella Pecora, le di cui acque mettono in azione i mantici, e i magli delle ferriere di Valpiana, e quindi più in basso mantengono sempre viva e copiosa la Gora di Follonica per le grandiose fucine fusorie di quel paese.
    All’Articolo FOLLONICA discorrendo del benefizio che recano coteste acque correnti, dissi, che tanto quelle del torrente Ronna, quanto l’altre delle Venelle scaturiscono da rocce di calcarea cavernosa costituenti l’ossatura dei poggi a ostro di Massa; che esse sorgenti in origine hanno una temperatura tiepida, ma che strada facendo, dopo aver servito al mulino dei Pressi di Massa, chiamato per sincope Mulin Presso, da quelle acque svapora una porzione di acido carbonico, si deposita un carbonato calcareo concrezionato (specie di travertino ) di cui sono incrostate le pareti dei canali, siccome avviene nella stessa guisa

    Dell’Elsa che da Colle a Spugna corre.

    Quindi ne conseguita, che le acque de’pozzi e delle pubbliche fonti di Massa sono copiose di tartaro, essendochè la crosta esteriore del poggio, su cui siede la città, consiste quasi da pertutto di banchi altissimi di travertino sovrapposti alla roccia calcarea cavernosa, o allo schisto calcareo argilloso. Infatti di pietra tiburtina sono costruite le principali fabbriche pubbliche e private di cotesta città.
    Resta infine da far parola di due altri torrenti non meno copiosi di acque, né meno importanti per l’indole del suolo sopra il quale scorrono; voglio dire della
  •    pag. 47 di 81
    Milia e del Ritorto suo tributario. Imperocché entrambi nascono sulle pendici orientali de’poggi che stanno a settentrione di quello di Massa, donde viene la strada provinciale volterrana. Questi sproni percorrendo da grecale a libeccio racchiudono la Milia e il Ritorno fra due vallecole tortuose coperte in alto da rupi di calcarea cavernosa fetida, poscia più in basso da rocce calcareo schistose e galestrine, sino a che i due corsi d’acqua accoppiati si vuotano nel fiume Cornia.
    Finalmente dalla parte di scirocco lungi 4 miglia toscane da Massa, prende origine il fiume Bruna dall’emissario del Lago di Accesa, alimentando esso stesso da copiose polle di acqua calda.
    Ma il territorio di Massa Marittima, oltre le accennate particolarità relative alla sua idrologia, cui vi sarebbero da aggiungere le acque termali del torrente Riseccco, quelle del Bagno del Re, il Lago caldo e zolfureo di Monterotondo ecc., presenta, rispetto alla natura del suolo, fenomeni anche più singolari, e tali da dover esercitare la mente dei fisici, la perlustrazione dei mineralogisti, e le indagini dei geologi più famigerati.
    Concossiachè la parte montuosa che chiude a settentrione il territorio di Massa, la quale è di tutte le altre la più eminente, spetta a quel gruppo o intralciatura di monti, donde per tre direzioni diverse altrettante valli si schiudono; e che; relativamente alla geologia e alla mineralogia, potrebbero segnalarsi fra le più importanti della Toscana. – Due di coteste valli (della Cecina e della Merse ) nascono a settentrione e a grecale della città di Massa presso al confine del suo territorio comunitativo; cioè sulle spalle della Cornata di Gerfalco e sul fianco meridionale del poggio di Montieri; mentre la terza valle (quella della Cornia ) schiudesi fra i contrafforti meridionali dei monti a maestrale e a settentrione di Massa, donde quelle acque s’incamminano da grecale a
  •    pag. 48 di 81
    libeccio direttamente nel mare fra la spiaggia di Follonica e quella di Piombino.
    Le cause plutoniane, per le quali tante rocce sedimentarie di cotesti monti cangiarono di struttura e di aspetto, somministrano esse sole in corto diametro un bel campo di studio e di ricerche preziosissime al geologo e al minerista; stantechè i cultori di cotesta sfera possono esaminare nel perimetro dell’antico territorio populiense, ora massetano, fenomeni naturali forse non mai visti altrove, e costà far tesoro di una ricca suppellettile di minerali e di rocce variatissime.
    Quindi è, che il territorio di Massa Marittima, per quanto sia stato da varj naturalisti percorso e descritto, con tutto ciò io tengo opinione che meriti di essere ancora studiato. – Né temerei d’ingannar me, né tampoco la fiducia dei miei lettori se dicesi, che nessuna contrada della Toscana si presta meglio di questa per stabilire in Massa Marittima una scuola di geologia e mineralogia teorico pratica, donde fare, dirò pure, di questa piccola città il Frielberg dell’Italia. Conciossiachè gli alunni dell’istituto da me divisato non avrebbero d’uopo di fare lunghe né troppo faticose peregrinazioni per esaminare, per esempio, nelle isole di rimpetto a Massa i monti granitici e serpentinosi coi potenti inesauribili filoni di ferro oligisto all’ Isola di Elba ; e in quanto al vicino continente, volgendosi dal lato di ponente, visitare nei monti Campigliesi e della Gherardesca la copiosa varietà di marmi lamellari bianchi e venati, le rocce euritiche con sfere di anfibolo, il carbonato di zinco, e i filoni di piombo e di ferro a Monte Silvestro e a Fucinaja, e per riconoscere fra la Torre S. Vincenzo e Donoratico i depositi immensi di rocce trachitiche. Così dalla parte sinistra del fiume Cornia a ponente di Massa i monti di aluminite a Montioni, e a Monterotondo; mentre a levante scirocco della città riuscirebbero facili quanto fruttose le escursioni mineralogiche nel
  •    pag. 49 di 81
    poggio di Montieri e all’ Accesa per visitare le cave di allume, quelle di vetriolo e di rame; per riconoscere le alterazioni del suolo intorno ai graniti di Gavorrano; e passando a settentrione della suddetta città gli alunni potrebbero studiare le rocce della Cornata di Gerfalco e il suo marmo gallo cereo ammonitico; mentre andando poco più lungi vedrebbero le calcedonie globulose a Monteruffoli, le zolfiere a Libbiano, le moje a Montegemoli e a S. Lorenzo di Cecina; quindi ritornando a levante di Massa, fra i monti donde si aprono per opposte vie le valli della Merse e della Bruna, incontrerebbero i cuniculi ostrutti delle abbandonate miniere di piombo argentifero, quelle di rame solforato e carbonato a Prata, alle Pozzoje , alle Capanne , a Cugnano ecc.; senza dire dei depositi carboniferi testé scoperti a piè di Monte Bamboli, e sotto Monte Massi; in una parola troverebbero per ogn’intorno terreni nettuniani plutonizzati e convertiti in schisto galestrino, in calcarea fetida e cavernosa, in marmo, in aluminite ecc.. Ma più che altro gioverebbe la stazione di Massa agli alunni dell’ideato istituto per contemplare il suolo donde emerge il singolarissimo fenomeno di quei laboratorj inesauribili e perenni di acido borico, a Monterotondo, alla Leccia, al Sasso, a Searazzano e a Lustigniano, tutti in Val di Cornia, mentre, nell’opposta Valle della Cacina lo stesso prodigio della natura più clamoroso e più esteso si affaccia a Castel Nuovo, a Monte Cerboli ecc.ecc.
    Né al divisato progetto osterebbero attualmente quelle cause devastatrici che, avendo gradatamente progredito in peggio, disertarono nel giro di 400 e più anni la popolazione di Massa a segno da rendere pestifero il suo clima e più ancora quello della subiacente pianura.
    Rispetto a ciò gioverà dire qualche parola dello stato attuale di cotesto clima, nonché dei provvedimenti fisici e sanitarj
  •    pag. 50 di 81
    che si vanno intraprendendo per lo miglioramento della limitrofa Maremma.

    Clima della città di Massa

    In quel tempo appunto che si tentava una via al risorgimento dal primo sovrano dell’attuale dinastia regnante, nella speranza di provvedere allo spopolamento della città e del territorio massetano, fu creduto buono espediente quello di mandarvi una colonia degli antichi sudditi di Lorena; ma questa non vi trovò sorte migliore di quella delle altre chiamate dal Bresciano e dal Friuli sotto il regno di Cosimo I. In guisa che fra i discendenti dei Lorenesi venuti a Massa nel 1743 oggi non si contano più che due famiglie ( Oner e Krismer ) tuttora esistenti nella stessa città.
    La infelice riuscita qui sopraccennati bastava essa solana scoraggiare chiunque in seguito avesse avuto desiderio di cedere alle allettative di premii che si concedevano, di case, di terre e di utensili che si offrivano quasi in dono per rischiare la propria esistenza in un clima insalubre e per un terzo dell’anno all’umana natura pestilenziale.
    Furono pertanto più efficaci, e riuscirono al desiderio intento le misure economiche da Leopoldo I preordinate a favore specialmente della popolazione di Massa Marittima e dei suoi castelli. Avvegnachè, oltre l’abolizione de’vecchi sistemi, tendenti ad arrestare e indietreggiare ogni sorta di operazione industriale ed agraria, oltre gli ajuti mercé tali provvedimenti forniti a quelle popolazioni languenti, esentandole da tasse gravose, e incoraggiandole mediante saggie franchigie, e facilitazioni di mezzi atti a convertire i semplici lavoratori di terre in possidenti di suolo, oltre queste ed altre simili disposizioni, Leopoldo I volle aggiungere un benefizio sommo, importantissimo, perché diretto a memorare una delle cause precipue che concorrevano alla malsania del clima di Massa; al ché riescì facendo sparire dalla superficie della pianura sottostante alcuni ristagni d’acque terrestri, tali come quelli del Pozzajone e della Ghirlanda, uno a settentrione e l’altro a levante della città, nel tempo stesso che fu dato un
  •    pag. 51 di 81
    più libero secolo verso ostro alle acque della Ronna e delle Venelle .
    Che se altre operazioni idrauliche di maggior lena e di gravissima spesa a benefizio della Maremma per ordine dello stesso Principe furono intraprese senza pertanto ottenere da quelle la riduzione desiderata, ciò avvenne perché quelle opere si rimasero incomplete, o perché riescirono inefficaci a cagione del sistema di bonificamento idraulico allora adottato. Il quale sistema agiva quasi in ragione inversa dell’altro cotanto felicemente ottenuto nella Val di Chiana, cioè colmando i luoghi palustri col mezzo delle alluvioni dei fiumi, sistema che per munificenza dell’Augusto nipote di Leopoldo I a una più efficace riduzione fisica delle massetane e grossetane Maremmane si và attualmente applicando.

    Clima della Maremma di Massa

    Lo stato fisico del bacino massetano, a partire dal promontorio di Populonia sino a quello della Troja, era andato fino ai giorni nostri deteriorando a danno delle genti che vi abitavano, stante che ai tentativi per raffrenarne la malsania si opponevano gli sforzi continui della natura. Imperocché la pianura littoranea di Massa, da piombino alla torre del Barbiere, veniva infesata dalla corruzione di due vasti paduli: a libeccio da quello di Piombino, a ostro dell’altro di Scarlino,in mezzo ai quali va attualmente fabbricandosi sotto il deserto castello di Valli il nuovo laborioso paese di Follonica.
    Già da qualche tempo l’esperienza in più luoghi ripetuta aveva dimostrato, che le putride esalazioni delle acque stagnanti lungo i littorali riescono in estate assai più micidiali all’uomo quante volte a tali ristagni si mescolano interpolatamente le acque del mare, o quelle eziandio salso minerali terrestri.
    Dissi, quando si mescolano interpolatamente le acque salse a quelle dolci stagnanti, sull’esempio che ne presentavano le Maremme di Massa e di Grosseto. Avvegnachè nel bacino grossetano esiste il vasto padule di Castiglione, ora fornite tremendo di malaria, un dì lago innocuo all’umana salute, quando, cioè, vi entravano liberamente
  •    pag. 52 di 81
    le acque del mare, siccome per la stessa ragione innocuo è tuttora lo stagno salso di Orbetello. – Così nel littorale massetano il malefico padule di Scarlino fino a chè fu golfo, e che servì di ansa al Portigliuione, o porto di Scabri, finché non si alzarono fra esso e il mare dei capezzali di rena che lo convertissero in un seno palustre mediante una diga, o tombolo, capace di far barriera alle acque terrestri, in guisa che queste, respinte dentro terra affogarono i campi coltivati, le fabbriche e le pubbliche strade; in una parola finché il padule di Scarlino fu liberamente dominato e battuto dalle onde marine, non poterono nei suoi contorni svilupparsi quei germi funesti che resero malefica negli ultimi 4 secoli decorsi cotesta spiaggia.
    Per ciò che riguarda il padule di Piombino abbiamo ragione di credere che, se egli esisteva fino dal principio del quinto secolo dell’Eva volgare, per altro non doveva essere né padule di acqua dolce, né così vasto, né cotanto micidiale ai viventi.
    Mi giovano a dimostrarlo le parole di un uomo consolare, allorché Rutilio Numaziano verso il 415, o 420 dell’Era volgare approdò costà in Falesia, ora porto vecchio di Piombino. Imperocché fino d’allora costà presso esisteva uno stagno marino, sulla cui ripa giaceva il paese di Falesia abitato da villici, i quali appunto nel giorno che vi capitò Rutilio festeggiavano Osiride, la divinità protettrice della germanizzazione dei campi.
    Che allora quello stagno fosse marino, mi sembra che lo dichiari il citato autore, chiamandolo Vado septo , vale a dirte un seno di mare poco profondo e chiuso da un capezzale o tombolo di arena.
    Egressi villam petimus, lutoque vagamur;
    Stagna placent septo deliciosa vado.
    ( Vedere gli Articoli PADULE DI PIOMBINO, e DI SCARLINO).
    Ma dopochè lo stagno di Falesia, ossia del
  •    pag. 53 di 81
    porto vecchio di Piombino, ha cessato di essere un lago salso marino, dopochè l’aumento progressivo dei tomboli ha formato una duplice e triplicata barriera alle acque fluenti della Cornia, e che queste furono astrette a spandersi intorno, e pigre a restarsi nella parte più depressa di quel littorale, a partire dal poggio all’Agnello sotto Populonia sino alla Corniaccia ; dopo tutto ciò la pianura di Piombino, di Suvereto e dei paesi che vi erano intorno, divenne fra il giugno e l’ottobre mieidiale.
    Per quanto non sia stato finora dai fisici dimostrato, se le perniciose esalazioni presso la riva del mare siano il resultato della putrefazione dei corpi animali, più che quella delle piante marcite; per quanto tuttora s’ignori, quale sia la natura delle esalazioni nocive, che tramandano nei mesi estivi quei serbatoj di corruzione; per quanto la scienza chimica non sia giunta ancora a far vedere quali decomposizioni e ricomposizioni accadano in tali atmosfere, e in quali tempi riescano alla specie umana maggiormente dannose, pure con tutto ciò, richiamando io alla memoria alcune poche osservazioni pubblicate 16 anni fà intorno al clima delle Maremme, (ANTOLOGIA DI FIRENZE, agosto 1823) mi sovviene di avere fino da quel tempo segnalato ai fisici, agli economisti e a cui sta a cuore il bonificamento delle italiane Maremme, la convenienza che vi sarebbe d’instituire più dirigenti e più estese indagini. Alle quali ricerche ne invitavano eziandio alcuni sperimenti intarpresi nel 1822 e 1823 da due medici francesi, Gaspard e Magendie, come quelli che mi parvero assai importanti per aprirci il cammino alla scoperta delle cause principali della malaria nei paesi che avvicinano le putrescenti paludi marittime.
    Avvegnachè dagli esperimenti fatti dai due medici testé nominati ne resulterebbe, che un’acqua imputridita e specialmente quella de’pesci (fra tutte le altre la più deleteria) quando che fia iniettatta anche in piccola dose nelle vene degli animali, in meno di due ore produce in questi de’sintomi analoghi a quelli del tifo e della febbre
  •    pag. 54 di 81
    gialla, e la morte dell’individuo sottoposto all’esperimento avviene ordinariamente dentro le 24 ore. All’autopsia del cadavere si riscontrarono evidenti tracce di un’ alterazione chimica nel sangue il quale essendo reso più fluido poté facilmente attraversare i diversi tessuti dei vasi e quindi accumularsi nello stomaco e negli intestini. – Al contrario la stessa acqua imputridita non produceva alcun effetto funesto all’animale economia, se, invece d’iniettarla nelle vene, s’introduceva nello stomaco degli animali anche in gran copia.
    In appendice al cenno relativo alle osservazioni preaccennate aggiungeva la seguente nota (pag. 162 del libro citato). – “Sarebbe utile non poco ai progressi della patologia che dotti e filantropi medici, addetti al servizio degli ospedali delle Maremme, si applicassero a verificare queste importanti osservazioni dei due medici francesi. Se ne otterrebbe forse il mezzo di scuoprire la natura e l’origine di quelle ostruzioni che gli uni considerano come effetto, gli altri come causa delle febbri maremmane.”
    Tutti i tentativi diretti a studiare gli effetti degli effluvj o miasmi delle materie putrefatte in coloro che debbono respirare, o che si trovano immersi in qualche putrida atmosfera, anno fatto conoscere ai sullodati sperimentatori, che la natura di cotesto fluido putrefatto, allora quando, introdotto nella trachea, non era stata modificata nelle prime vie da alcuno altro liquido, la morte ne era la conseguenza più o meno immediata, a seconda delle varie specie di animali: ma dai liquidi putridi iniettati nelle vene.
    Indagando Magendie da qual causa potessero dipendere tali differenze nella maniera di agire fra i vasi inalati e i polmoni, egli opinava, che le diverse condizioni atmosferiche e particolarmente la temperatura e lo stato igrometrico della medesima, dovessero avervi una singolarissima influenza. E come gli anatomici poco tempo innanzi poterono convincersi, che la cute esterna degli animali è tappezzata da numerosissime estremità di vasi inalanti, così non si saprebbe negare a questi (il cui tessuto non differisce da quello della superficie delle membrane mucose) un’assorbimento e forza inalante. Alla quale osservazione fornisce
  •    pag. 55 di 81
    una prova la propagazione per contatto delle malattie contagiose non febbrili, come le scabie, la rogna, ecc. Quindi più facilmente si comprende, perché in tempo caldo e asciutto, quando la cute è più contratta, appena si rende sensibile la forza de’vasi assorbenti, mentre questa è molto attiva tutte le volte che un’atmosfera calda e umida ammollisce, assottiglia e dilata la membrana che ricuopre la pelle, disponendola per tale maniera ad uno stato più favorevole di assorbimento. Infatti molti Maremmani possono attribuire in qualche modo la loro salvezza nell’estate, e specialmente nelle ore vespertine e mattutine maggiormente umide, alla premura che adoprano di non allontanarsi dai fuochi perpetui delle loro abitazioni.( Vedere l’articolo dell’ ANTOLOGIA qui sopra citato ) .
    Cotesti pochi cenni sul clima delle nostre Maremme potranno avere un maggiore sviluppo da quei medici coraggiosi e filantropi che dalla clemenza dell’Augusto Leopoldo II furono in quest’anno inviati in varj punti di quella contrada ad oggetto di studiare di concerto le malattie ivi dominanti fra il giugno e il novembre, le cause che le possono aver prodotte, e quali rimedii siano da proporsi più efficaci per vincerle, per impedirle, per ripararle.

    Stato agricola e industrialedel territorio Massetano

    Ho già detto, come, a proporzione che la pianura meridionale di Massa estendevasi dentro il lido, e che le arene trascinate fin là dalle acque terrestri venivano risospinte dai flutti marini lungo la spiaggia per fare argine ai fiumi, si formassero nei luoghi più depressi de’ristagni d’acqua perniciosi alla vita dell’uomo. Dondechè la popolazione marittima andò gradatamente a distruggersi per quei serbatoj d’infezione, e il suolo della più bella porzione di Toscana, quasi abbandonato a se stesso, trovossi quà e là ricoperto da puzzolenti marazzi, da giunchi palustri, da fragili canneti, cui facevano spinosa corona folle boscaglie di olivi e di viti inselvatiche fra roveti, fra marruche, fra scope, cisti e ginepri, mentre le piante di alto fusto propagavansi nei
  •    pag. 56 di 81
    sovrastanti poggi, già sede di popolazioni perdute.
    Contuttoché l’industria attuale siasi mossa per diradare una porzione di tali boscaglie, pure i cerri, i lecci, le sughere, gli albatri, le scope arboree e altre simili piante silvestri vegetano tuttora ad arbitrio nella più gran parte del territorio massetano, dove servono di nido a fieri quadrupedi, e a rettili immondj.
    Altronde una parte determinata di quelle foreste è riservata per al regia amministrazione delle officine metallurgiche esistenti in val di Pecora; le quali foreste vengono sottoposte a tagli regolari onde fornire costantemente la quantità di carbone necessaria ai forni fusorj e alle ferriere di Follonica, di Valpiana e dell’ Accesa , mentre il combustibile sovrabbondante si trasporta per mare all’esterno, ovvero in altri punti della Toscana.
    La massima parte delle selve sparse tuttora nel territorio massetano sono conosciute sotto il vocabolo dei distrutti castelli, attualmente designati col vocabolo di Bandite. – Tali sono per esempio le Bandite della Marsiliana, di Monte Bamboli, di Castiglion Bernardi, di Campetroso, di Monte S. Lorenzo, di Vignale dell’Accesa, del Castel di Pietra,di Cugnano e Rocchetta, di Perolla ecc. Coteste boscaglie essendo divenute di loro natura proprietà comunali, o di altre mani-morte, furono in gran parte per legge Leopoldina rilasciate ad enfiteusi perpetua a cittadini e contadini, ad oggetto di dissodare quel suolo per ridurlo a più confacente, più fruttifera e più sana cultura.
    Fra gli abitanti del territorio comunitativo di Massa, quelli che profittarono maggiormente di tali provvedimenti legislativi, furono i contadini e i possidenti di Monterotondo, per opera dei quali si videro inospiti selve e malsane boscaglie convertite in vigneti, in oliveti, in campi sativi con rotazione annua di seminagioni variate. Dondechè nei pressi , o contorni di Monterotondo, dove duecent’anni addietro non esistevano più di 11 poderi, se ne contano oggi 170 con case coloniche comodissime; e nei luoghi già destinati a mandre senza asilo, e al bestiame
  •    pag. 57 di 81
    vaccino indomito, o braido, vegetano ora pingui praterie, in mezzo alle quali sorgono frequenti capanne per uso di stalle; mentre le selve di castagni e le boscaglie sono conservate costà nei poggi più elevati e più remoti dall’abitato.
    Questa favorevole disposizione all’industria campestre degli abitatori di Monterotondo diede nell’occhio perfino al legislatore che aprì la via al miglioramento delle Maremme; in guisa che a onore del popolo di Monterotondo lo stesso Leopoldo I, nel motivare alcuni provvedimenti a favore di questo paese, faceva sentire con lettera del 30 settembre 1786 della segreteria di finanze le seguenti memorande parole:” Per dare agli abitanti di Monterotondo una dimostrazione del sovrano suo gradimento per la indefessa attenzione che hanno dimostrata, e dimostrano avere per la coltivazione dei loro terreni, ordina ecc. Infatti i prodotti agrarii di Monterotondo riescono superiori in bontà a confronto di tutti gli altri del territorio massetano; e sono anche più copiosi in proporziione di quelli che si ottengono dalle popolazioni di Prata, di Tatti e perfino dai pressi , o contorni dell’istessa città di Massa. Realmente il suolo di Prata e di Tatti è occupato tuttora da selve di castagni, da boschi e da pascoli, comecchè nei loro distretti siansii formati fra tutti e due i paesi da circa 85 poderi, quando nel 1640 non si contava costà più che un podere.
    Sebbene nei contorni di Massa l’agricoltura sia in progresso, con tuttociò il numero dei poderi con case coloniche non oltrepassa per ora i 114, dei quali poderi 26 esistevano nell’anno 1640.
    Pertanto se la popolazione agricola può dirsi nel territorio massetano aumentata, altrettanto e forse con maggiore slancio dovrà accadere rapporto all’industria manifatturiera, dopochè larghe e comode strade sono state aperte, onde agevolare per varie direzioni il trasporto delle produzioni sopra suolo in una contrada sparsa per ogni intorno di ricchezze minerali; dopo che si aumentarono i forni fusorj, le ferriere e i distendini a Follonica
  •    pag. 58 di 81
    e a Valpiana, nel qual ultimo luogo si è costruito anche un forno per la temperatura dell’acciajo; dopochè furono riattivate le fabbriche per l’Allume a Montioni, sebbene la fabbricazione artificiale di detto sale abbia portato un depreziamento sensibile a questa merce minerale; e finalmente dopo che tanto latamente e con profitto immenso vanno prosperando quelle per l’acido borico ai Lagoni di Monterotondo, ecc. ecc.: senza dire delle nuove compagnie metallurgiche che si accingono a riaprire nel territorio massetano le antiche miniere di piombino argentifero, di rame, ecc; e ciò nel tempo in cui stanno per organizzarsi altre società anonime per l’escavazione del combustibile fossile a Monte Bamboli, e a Monte Massi.
    In conseguenza di tutto ciò, la città di Massa nel tempo che anderà migliorando di condizione rapporto al clima potrà anche divenire centro di molte industrie, il magazzino mineralogico della Toscana, e uno dei più singolari mercati delle sue città mediterranee.

    Tentativi per riattivare gli scavi e l’industrie metallurgiche nel Massetano

    Allorché discorreva di sopra della storia di Massa Marittima, e delle sue miniere di rame e di argento ( Ramerie ed Argenterie ), le quali un di meritarono a questa città l’epiteto di Metallifera ,indicai le varie compre e le località dove furono coteste miniere; cioè all’ Accesa , alle Pozzaje, alla Rocchetta, a Cugnano ecc. Le quali miniere, sebbene da lunga mano abbandonate, hanno nuovamente oggidì richiamata l’attenzione dei geologi, dei mineralogisti, e degli speculatori.
    Primo fra gli scienziati moderni, che abbia con accuratezza esaminato la giacitura de’filoni metalliferi del Massetano, è senza dubbio il ch. Prof. pisano Paolo Savi, cui le scienze naturali e segnatamente la geologia devono moltissimo.
    Innanzi di dare alle stampe il presente articolo, io mi lusingava di vedere pubblicato nel Nuovo Giornale de’Letterati di Pisa il seguito delle memorie sulle Masse Ofiolitiche della Toscana e dei
  •    pag. 59 di 81
    filoni metalliferi che vi si racchiudono: della qual opera il professore prenominato ha già dato alle stampe varj capitoli. Ma non essendo ancora compiutamente comparso alla luce quell’importante lavoro, per gentilezza dello stesso autore mi è stato permesso di estrarre dal suo MS. il sunto delle osservazioni su tal rapporto da esso lui fatte nel territorio massetano e di poter annunziare in questo mio libro le sue idee in proposito de’ filoni metalliferi e del terreno carbonifero della stessa contrada. Così, mercé sua, i miei lettori saranno in grado di conoscere la qualità, la giacitura e le varie località dove attualmente si vanno tentando le escavazioni di quelle minerali ricchezze.
    “Si trovano (dice il Savi) i filoni metalliferi fra la città di Massa ed il Lago dell’Accesa in un terreno coperto da folte boscaglie, e che in molti luoghi appartiene ai terreni secondarii. Vi si riconoscono il verrucano , ed il calcare giurassico che al verrucano è sovrapposto;ma il terreno del nostro macigno schistoso-calcareo è quello che più generalmente vi abbonda, quantunque senza regolarità alcuna di strati, per essere questi in molti modi fratturati e sollevati. Quindi avviene di trovare in alcune località gli schisti del macigno e del verrucano ridotti in alumite (come ai Cavoni e nel Poggio Bindo presso le Capanne ) di vedere altrove il verrucano cangiato in steachisto (al Sodo ai Cavalli, e alla Serra ai Bottini ), mentre in altre località il calcare giurassico è convertito in calcare cavernoso (come per es. a Scabbiano).”
    “L’azione dei fuochi sotterranei e delle rocce che in stato fuso o di vapore si innalzarono dalle viscere della terra, furono la causa di queste alterazioni. – Percorrendo
  •    pag. 60 di 81
    il Massetano è facile riscontrare prove di quanto viene qui dal Prof. Savi asserito;giacché quasi ovunque, in mezzo alli strati do origine nettuniana, che costituiscono quei terreni, veggonsi delle injezioni metalliche, o di altre rocce di origine ignea, che attraversano in tutti i sensi i suddetti strati. I filoni più o meno grossi di ferro , il manganese , l’ anfibola che passa al grunstein (ancora questa in filoni) e finalmente il quarzo, sono i minerali che hanno tagliato le stratificazioni del macigno, o che s’ injettarono fra gli strati medesimi con l’associarsi ai varj metalli escavabili del Massetano, cioè, al piombo, all’ argento , al rame , allo zinco , e al ferro.
    “Nel Massetano, come in altri luoghi del Volterrano e del Campigliese, fino da remotissimi tempi furono fatti grandi lavori metallurgici;il che è provato dagli avansi delle escavazioni e delle fusioni spettanti a quelle epoche. Tralasciando di parlare delle più antiche escavazioni, delle quali scorgonsi gli avanzi nel Poggio alle Velette , situato a scirocco di Massa, l’autore cita quelli del crinale che da Scabbiano dirigesi verso il Poggio Bindo , denominato Serra ai Bottini appunto per la sorpendente quantità di bottini, o pozzi che ivi si trovano; sopra gli spurghi dei quali non si è per anche stabilita dopo tanti secoli la vegetazione.”
    “Circa quattrocento sono i pozzi conosciuti nella località preaccennata. L’ispezione dei frantumi di minerale ritrovati fra quei getti, o intorno ai pozzi, ha fatto conoscere che da quei cuniculi si dovettero estrarre minerali di rame e di argento.”
    “In sei luoghi diversi sono stati di recente intrapresi de’saggi di escavazioni. – La prima località appellasi le Capanne vecchie sul botro di Val Pozzoja. La sua miniera consiste in una roccia quarzoso-cuprifera in forma di grosso filone injettato nel
  •    pag. 61 di 81
    terreno schistoso del macigno;il quale è alterato in guisa che, dove cotesto terreno serve di muro, in qualche luogo vedesi convertito in pietra di allume, e dove ne forma il tetto trovasi indurito ed in varia guisa colorato.”
    “Cotesto filone è diretto da Nord Nord Ovest a Sud Sud Est, ed è inclinato circa 45 gradi all’Est. – Non essendo stato per anche traversato dai lavori che vi si cominciarono,non se ne conosce la grossezza, ma dagli scavi già eseguiti, e dalle esterne apparenze il professor Savi giudica, che debba la sua potenza oltrepassare le braccia 50; mentre la sua lunghezza già conosciuta non è minore di tre quarti di miglio.”
    “Questo esteso e singolar deposito metallifero è formato da un quarzo jalino lattiginoso , sparso per ogni intorno di cellule irregolari di variatissima grandezza, essendo disposto a grandi strati come se fosse il risultato di una incrostazione di acque dentro il largo spacco. – Fra le diverse sostanze ivi racchiuse la pirite di rame è quella che più vi abbonda.”
    “La seconda località chiamasi la Mandria del Lombardo , o il Bottino del Carpignone . –È una continuazione del filone quarzoso cuprifero delle Capanne , il quale traversa il Poggio Bindo nella direzione SudEst, e che di là inoltrandosi nei possessi della real Magona, ricomparisce alla Mandria del Lombardo , sotto il cui colle (propagine del Poggio Bindo ) scorre per il valloncello del Carpignone tributario del fiume Bruna. – Porta il vocabolo di Bottino del Carpignone una località posta sul colle medesimo, dove gli antichi scavarono un pozzo assai profondo.”
    “Fra gli abbandonati getti che attorniano la sua bocca vedesi una copiosa quantità di bella galena. Il filone di quarzo costà in molti luoghi è celluloso, ma in altri apparisce mammellonato, e formato da sfere concentriche di
  •    pag. 62 di 81
    cristalli un poco ametistini, oppure di sostanza calcedoniosa.”
    “In questa porzione di filone è stato trovato un bel deposito di galena mista a del rame piritoso giallo.
    “La terza località è nel podere chiamato Scabbiano , situato verso il piano di Massa, alle pendici del poggio di Serra Bottini , dove s’incontrano pure de’pozzi antichi. La parte superiore del poggio formante il tetto del filone, o massa quarzosa, spetta alla solita argilla schistosa, o galestro con spessi tratti di calcarea compatta. La parte inferiore, sulla quale il filone riposa, consiste in un calcare grigio cavernoso fetido, non stratificato. Il filone poi non è perfettamente parallelo agli strati calcarei o schistosi, benché abbia una inclinazione simile a quelli, emergendo all’Ovest; mentre la direzione è dal Nord al Sud. – La sua grossezza fu calcolata di braccia 40, ed è essenzialmente composto di quarzo cavernoso, le di cui cellule talora sono vuote, a luoghi ripiene di una terra ocracea, altrove di ossido di rame, o di rame carbonato color verde ed azzurro, e qualche volta anche tempestate di piriti marziali e cuprifere”.
    “Questa potente massa quarzosa riposa sopra un filone di ferro idrato ossidato di colore scuro nerastro spesso rivestito da ferro ocraceo giallo o rossastro. La roccia calcare sottoposta è molto più quella che ricuopre la massa quarzosa, apparisce attraversata da delle vene metallifere, nelle quali abbonda la galena argentifera , il deutossido di rame , il rame carbonato, il ferro idrato , il manganese ossidato , la blenda , e l’ antimonio solforato” .
    “Specialmente nel calcare soprapposto alla massa quarzosa fu trovato un ricco filone di galena argentifera misto all’ ossido ed al carbonato di rame ”.
    “La quarta località appellasi la miniera di Valcastrucci , nome di un fosso tributario del torrente
  •    pag. 63 di 81
    Noni , che è nei possessi della real Magona, due miglia circa a settentrione di Forni dell’Accesa, in un valloncello fiancheggiato da ripe scoscese formate di strati alternanti di argilla schistosa e di calcare compatto cenerognolo. Questi dirigonsi dall’Est all’Ovest, emergendo verso Sud con un’inclinazione dai 20 ai 35 gradi.
    “Nella parte inferiore di valcastrucci vedesi un filone di ferro idrato ossidato idrato; se si risale un poco il valloncello framezzo ai bianchi calcari e schistosi si scuoprono delle venoline di rame piritoso , accompagnate bene spesso da un grunstein verdastro tenacissimo in alcuni luoghi si converte in anfibolo radiato , facendo mostra di compenetrarsi nella roccia calcarea bigia, cui frattanto comunica un colore verdastro e una tenacità sua propria. Nell’interno della roccia plutoniana di cotesto grunstein , alla quale sovente si accoppia molto quarzo, vi sono alcuni piccoli ma frequentatissimi cristalli di galena con noccioli di un bellissimo rame piritoso ”.
    La quinta località esiste nel monte chiamato Brenna, fra il fosso di Valcastrucci e il torrente Noni , alla base meridionale dell’alto poggio alle Velette , la di cui ossatura spetta al solito terreno schistoso del macigno alternante con starti di calcare compatto ( pietra colombina ).
    Circa tre anni fa, essendo stati scoperti alcuni indizj di filoni metalliferi nella direzione dal SudEst al SudOvest con alcune vene di galena , furono scavati tre pozzi, mercé cui si manifestò un esteso filone della grossezza di mezzo braccio fino a un braccio. Consiste esso nel solito quarzo impegnato d’ ossido di rame e di rame carbonato verde ed azzurro, il quale in varj punti porta seco un abbondante dose di galena argentifera ”.
    “Finalmente la sesta ed ultima località è detta il Filone Giuggioli dal possessore
  •    pag. 64 di 81
    del luogo, da cui lo ha ora acquistato il Signor Luigi Porte . Esso fa parte ed è una continuazione di quello del poggio di Brenna , che si dirige dal lato NordOvest verso il fosso di Valcastrucci . Nei tempi passati vi furono fatti dei lavori, come è dimostrato dagli abbondanti scarichi esistenti intorno agli ostrutti pozzi. Consiste il filone nel solito quarzo celluloso, in cui si racchiude del rame ossidato nero, del rame carbonato, azzurro e verde montano, e più del rame piritoso . Vi si contiene ancora della galena disposta in venule, le quali si mostrano alla superficie dei vicini massi calcarei.
    Tutto questo è ciò che fu visto e che sarà per annunciare più distesamente il Professor Paolo Savi, relativamente ai filoni metalliferi del Massetano, e alla probabilità della connessione di questi con quelli racchiusi fra le masse ofiolitiche della Toscana.
    In quanto poi al terreno carbonifero del territorio in discorso, tanto dalla parte della Val di Cornia che della Val di Pecora e verso Val di Bruna, ecco le osservazioni e le idee che ne ha concepite il geologo prelodato.
    “Nella parte depressa di queste tre valli vide il Professor Savi estendersi un vasto mantello formato dai terreni che l’autore ha classato fra quelli terziarj ofiolitici ; ed è costà dove sono abbondanti i depositi di un Lignite , che in molti luoghi simula un aspetto mineralogico tale da assomigliarlo col vero Carbon fossile . Cotesto mantello però non è di egual superficie dapertutto, mentre a luoghi è solcato da numerosi botri, in altri è reso gibboso dalle colline. Esso è sovrapposto al terreno secondario delle parti montuose della Toscana; cioè al macigno ed all’ alberese; ed in varj siti alle masse serpentinose , dalle eruzioni delle quali sembra che tutta sia stata sconvolta cotesta contrada.
  •    pag. 65 di 81
    Frequenti sono in questi depositi i testacei fossili marini e di acqua dolce, e vi abbondano le impronte di piante di cotiledoni , segnatamente di foglie simili a quelle del castagno , del pioppo , del salcio . Gli strati sono formati da marne cenerine, e qualche volta ferrigne da roccie assomiglianti alla pietra serena , molto più tenera di quella fiesolana; e tale è la pietra di Perolla , di cui è formato il bel lastrico moderno della città di Massa. – Vi si trovano ancora banchi di arenaria più grossolana, e una specie di cudinga simile a quella che incontrasi in terreni corrispondenti nel territorio volterrano. In alcuni siti, per esempio presso Monte Massi si vedono de’banchi formati dalla riunione di ciottoletti serpentinosi”.
    “ Le località ove tali masse carbonifere si mostrano meglio che altrove, sono presso Monte Bampoli, nelle vicinanze del diruto castel di Pietra, sotto Monte Massi, e verso Rocca Tederighi.
    Chi desiderasse avere più esatte di questi terreni carboniferi, potrà consultare quanto già ne ha detto lo stesso Professor Savi nelle Due memorie geologiche sui terreni stratificati dipendenti, o annessi alle masse serpentinose, pubblicate nel Nuovo Giornale de’Letterati di Pisa, (anno 1837).
    Le conseguenze che il professore pisano deduce dai fatti qui sopra annunziati, sono le seguenti:
    1°. Che il combustibile fossile scoperto sotto Monte Massi, trovandosi fra mezzo strati soprapposti al calcare alberese e all’ arenaria macigno , e contenendo impronte di piante dicotiledoni , di quelle cioè proprie dalla vegetazione attuale, cotesto combustibile fossile, che appartiene a terreni terziarj ofiolitici , è un vero lignite;
    quantunque sia un lignite di buona qualità, è tale da essere certamente adatto ad un gran numero d’usi, non si può qualificare per carbon fossile.
    2°. Che la stratificazione di tal combustibile e delle rocce che lo racchiudono, cioè delle
  •    pag. 66 di 81
    pudinghe o ammassi consolidati di ghiaje, delle arenarie , delle mattajone , e delle argille , la stratificazione insomma di tutta quella formazione carbonosa, trovandosi non solo molto inclinata all’orizzonte, ma con inclinazioni variate ed interrotte, manifesta in tal modo di aver sofferto de’grandi sconvolgimenti e fratture dopo essersi formata e consolidata.
    3°. Che l’ingrossarsi, l’assottigliarsi e l’interruzione degli strati del combustibile fossile testé indicato, sono indizj tendenti a far credere che queste masse non siano molto estese e continuate, ma interrotte e divise.
    4°. Che siccome queste interruzioni si osservano anche nelle porzioni di terreno, le quali sembrano le meno tormentate; e siccome nelle masse visibili di carbone la sua stratificazione è irregolare, contorta e annodata è molto probabile che tal combustibile non sia colà depositato in estesi e continuati strati di egual grossezza, ma in strati interrotti e di potenza varia, e forse anche in tanti depositi separati, o in masse distinte.
    5°. Che dal vedere le masse anche le meno tormentate resultare da strati non paralleli fra loro, ma spessissimo contrastanti, si può arguire che quando si formarono i depositi dei loro materiali, il letto, su cui tali depositi andavano a posarsi, non era stabile e uniforme; sivvero qua sollevato e là abbassato, in guisa che il deposito tumultuario, dovè accadere nel mentre che le acque dei mari erano agitatissime e la terra sommossa per le eruzioni delle rocce plutoniane, le quali attualmente formano i varii poggi dei contorni di Massa Marittima.
    Tale ipotesi è avvalorata, fra gli altri fatti, dal trovarsi vicino, e addosso al Lignite dei luoghi sopraindicati, il Mattajone (o biancana del Volterrano) indurito quasi in pietra dall’azione del calore. – Vedere MONTE BAMBOLI e MONTE MASSI.

    Stabilimenti di Pubblica Beneficenza

    Rapporto ai pubblici stabilimente di beneficenza Massa Marittima conta un grandioso e ben provvisto
  •    pag. 67 di 81
    spedale, eretto invece di due o tre meschini spedaletti da Leopoldo I, aumentato di risorse e di commodi da Ferdinando III, e ora da Leopoldo II di ogni maniera migliorato.
    Tanto i malati dello spedale, come quelle della città di Massa, sono assistiti da due medici e da un chirurgo condotto. La comunità inoltre mantiene due altri medici a Monterotondo e a Prata. – Rispetto all’istruzione, nelle scuole del seminario si insegnano belle lettere, scienze fisiche e morali; tre altre scuole elementari sono aperte a spesa della comunità, due delle quali per le fanciulle e una per i maschi. Mancano per ora in Massa fiere annuali e mercati settimanali. – Una fiera di tre giorni è stata introdotta da pochi anni a Follonica, la quale a luogo sulla fine di aprile. Un’altra fiera di minor conto si tiene nel lunedì di Pentecoste alla Madonna del Frassine in Val di Cornia nel distretto comunitativo di Massa.
    L’ Album degli uomini celebri nativi di Massa Marittima può dirsi quasi intatto, quando si eccettui S. Bernardino da Siena, il quale sebbene di padre senese nacque da madre massese costà nel luogo dove i PP. Dell’Osservanza eressero un ospizio. Massa fu altresì patria al B. Felice Tancredi discepolo di Santa Caterina, e fra Antonio generale de’Francescani Minori Osservanti delegato del Pontefice Martino V a Costantinopoli, e poi vescovo di Massa, dove nel 1435 morì.
    Risiede in Massa oltre il suo vescovo un vicario regio di seconda classe, il quale nei rapporti di polizia dipende dal commissario Regio di Grosseto. Entra nella sua giurisdizione anche il territorio della potesteria di Prata, alla quale di corto fu aggregata la giurisdizione di Montieri, meno i popoli di Torniella. Di Rocca Tederighi, e di Scalvaja, passati al vicario Reale di Roccastrada in ordine al motuproprio del 2 agosto 1838, che soppresse la potesteria di Montieri.
    Esiste pure Massa Marittima una cancelleria comunitativa, la quale serva alla comunità di Massa, di
  •    pag. 68 di 81
    Roccastrada e di Gavorrano. Vi risiedono inoltre un ingegnere di Circondario e un ministro esattore del Registro. L’ufizio della conservazione dell’Ipoteche, e la Ruota civile e criminale sono in Grosseto.

    POPOLAZIONE della Comunità di MASSA MARITTIMA a tre epoche diverse innanzi la permuta delle Sezioni di PIETRA e del PIAN DI TIRLI con quelle di FOLLONICA e di MONTIONI, e dopo detta permuta nel 1839.
               
    - nome del luogo: Follonica e Valli, titolo della chiesa: S. Leopoldo (Pieve), diocesi cui appartiene: Massa Marittima, popolazione anno 1640 n° -, popolazione anno 1745 n° -, popolazione anno 1833 n° -, popolazione anno 1839 n° 105
    - nome del luogo: Frassine ( un dì Comunello di Gualdo e Campetroso ), titolo della chiesa: S. Maria (Rettoria), diocesi cui appartiene: Massa Marittima, popolazione anno 1640 n° -, popolazione anno 1745 n° -, popolazione anno 1833 n° 436, popolazione anno 1839 n° 451
    - nome del luogo: MASSA MARITTIMA, titolo della chiesa: S. Cerbone (Cattedrale), diocesi cui appartiene: Massa Marittima, popolazione anno 1640 n° 586 (con S. Pietro all’Orto a Massa Marittima), popolazione anno 1745 n° 194, popolazione anno 1833 n° 1767, popolazione anno 1839 n° 2066
    - nome del luogo: MASSA MARITTIMA, titolo della chiesa: S. Pietro all’Orto (Rettoria), diocesi cui appartiene: Massa Marittima, popolazione anno 1640 n° 586 (con S. Cerbone a Massa Marittima), popolazione anno 1745 n° 248, popolazione anno 1833 n° 715, popolazione anno 1839 n° 774
    - nome del luogo: Monterotondo, titolo della chiesa: S. Lorenzo (Prepositura) con gli annessi della Rocchetta e Cugnano, diocesi cui appartiene: Volterra, popolazione anno 1640 n° 547, popolazione anno 1745 n° 412,
  •    pag. 69 di 81
    popolazione anno 1833 n° 1319, popolazione anno 1839 n° 1437
    - nome del luogo: Perolla (già Comunità ), titolo della chiesa: annessa a Massa, diocesi cui appartiene: Massa Marittima, popolazione anno 1640 n° 391, popolazione anno 1745 n° -, popolazione anno 1833 n° -, popolazione anno 1839 n°-
    - nome del luogo: Prata, titolo della chiesa: S. Maria Assunta (Pieve), diocesi cui appartiene: Volterra, popolazione anno 1640 n° 581, popolazione anno 1745 n° 537, popolazione anno 1833 n° 1532, popolazione anno 1839 n° 1255
    - nome del luogo: Tatti, titolo della chiesa: S. Maria (Pieve), diocesi cui appartiene: Grosseto, popolazione anno 1640 n° 325, popolazione anno 1745 n° 143, popolazione anno 1833 n° 424, popolazione anno 1839 n° 468

    - Totale abitanti anno 1640 n° 2430
    - Totale abitanti anno 1745 n° 1534
    - Totale abitanti anno 1833 n° 6193
    - Totale abitanti anno 1839 n° 6756

    DIOCESI DI MASSA MARITTIMA – Sebbene non sia nota la prima istituzione della diocesi ecclesiastica di Populonia, pure essa può ragionevolmente annoverarsi fra le prime della Toscana marittima; sia perché la stessa chiesa fu tra quelle immediatamente soggette alla S. Sede, sia perché essa aveva i suoi vescovi sino dal quinto secolo dell’Era cristiana. Infatti Atello uno dei più antichi pontefici della diocesi populoniese assisteva al sinodo celebrato nell’anno 501 in Palmira sotto Papa Simmaco.
    Ma chi rese più santa e più celebre la chiesa populoniese fu S. Cerbone patrono della città di Massa e di tutta la diocesi di Populonia, il quale sedeva nella cattedra di Populonia sotto la prima invasione di Longobardi nella Toscana littoranea. – Vedere gli Articoli CORNINO, LUNI e
  •    pag. 70 di 81
    POPULONIA.
    Quali fossero i confini dell’antico distretto civile, e quindi della diocesi di Populonia, non abbiamo documenti tali che li possino fare ravvisare. Solamente è noto che il territorio continentale di cotesta città, sotto il governo dei duchi Longobardi restò talmente dilapidato e guasto che non solo rimase privo del suo vescovo, ma né tampoco vi restò un sacerdote che alla cura dell’anime sorvegliasse. In vista di ciò il Pontefice San Gregorio Magno scriveva a Balbino vescovo della vicina chiesa di Roselle, affinché ordinasse qualche prete per mandarlo pievano nella diocesi sua vicina, la quale, all’occasione della crudele invasione del duca Gumaritt, era rimasta senza un parroco onde poter somministrare i sacramenti del battesimo e della penitenza a chi nasceva e a chi moriva.
    Già agli articoli CORNINO, CORNIA fiume , BAGNI VETULONIENSI, GUALDO DEL RE, FRASSINE (MADONNA DEL), e LUCCA DUCATO, si disse, qualmente una gran parte del distretto populoniense, verso Val di Cornia fu occupato dai Longobardi e quindi aggregato rispetto al civile al governo ducale di Lucca, con il titolo di subdominio , o di giudicaria lucchese in Cornino . Quindi troviamo che i magnati lucchesi ed i loro vescovi acquistarono beni territoriali, case dominicali, giuspadronati di chiese e di castellucci nel contado populoniese, ecc.; e più che altrove nel territorio Cornino, giudicaria lucchese. Al che arroge, qualmente i re d’Italia, anche sotto la dinastia Carlovingia, consideravano il contado o subdominio Cornino come faciente parte dei beni della corona in Toscana. – I fatti nella cronaca Casaurense edita dal Muratori si riporta un diploma di Carlo Manno, dato in Pavia lì 16 ottobre dell’anno 877, col quale vennero confermati al monastero della SS. Trinità di Pescara negli Abruzzi non solo i luoghi stati ad esso donati dall’Imperatore Lodovico II suo antecessore, ma piacque a Carlo Manno di aggiungervi il dono del Gualdo regio situato sulla
  •    pag. 71 di 81
    Cornia insieme coi servi e ancille di una vicina villa e i mulini del Bagno del Re , le acque, i pascoli, ed ogni altro diritto attinenti alla corte del Gualdo medesimo. (R. ITAL.SCRIPT. T. II. P. II.).
    Fra i documenti che dar possono un qualche sebbene oscuro indizio del perimetro della diocesi populoniese, com’era nel secolo XI, può citarsi una bolla del Pontefice Gregorio VII, spedita dal Laterano lì 20 novembre 1075 a Guglielmo vescovo di Populonia, allorché ad istanza di questo prelato il Pontefice predetto, dopo aver confermato alla chiesa populoniense la sua dipendenza immediata dalla Sede apostolica insieme col territorio della sua diocesi, furono indicati alquanto disordinatamente i confini così; “A partire dal luogo di Alma (a levante di Populonia), e di là per mare all’isola dell’Elba e nello scoglio sopra il mare, e (andando verso ponente di Populonia sul littorale di Bibbona) ritornando nel continente, arrivava sino verso il luogo di Aslaito, donde passava dalla Sala del duca Allone (forse a Bolgari), e salendo sul poggio indirizzavasi al vico Montanino , poi a S. Pietro d’ Acquaviva , quindi a S. Giovanni (pieve antica fuori di Campiglia) e a Monteverdi , donde scendeva al Gualdo del Re nell’ Acqua calda del Bagno, (o del Lago zolfureo di Monterotondo). Finalmente s’inoltrava per nomi ignoti salendo un monte, finché avanzarvi verso Pietra Bianca e in luogo detto Elde presso la strada di Alma ; non eccettuato qualunque altro confine, o episcopale giurisdizione. – ( ARCH. DIPL. FIOR. Carte di Massa ).
    Nella suddetta bolla mancano però le isole della Pianosa e di Monte Cristo, le quali dovevano fino d’allora essere compreso nella diocesi populoniese, come lo sono ora in quella di Massa Marittima.
    Cotesta diocesi attualmente fronteggia dalla parte di
  •    pag. 72 di 81
    scirocco verso libeccio per circa 33 miglia toscane con il mare, dove s’inoltra fino al grado 27° e 40’ di longitudine. Volgendosi poi dal lato di terraferma il territorio ecclesiastico di Massa Marittima di faccia a levante confina con quello della diocesi di Grosseto, e per tutti gli altri lati, a partire dal distretto di Prata fino a Bibbona, è circondato dalla diocesi di Volterra.
    Non si conoscono tutte le pievi antiche della diocesi in discorso, stante che da gran tempo esse perirono insieme coi castelli e con le popolazioni, alle quali appartenevano; né io attualmente potrei ricordarmi di tutte le chiese sotto-matrici, rammentate nelle carte del medioevo. – Per modo di esempio dirò che la chiesa del distrutto castello di Perolla era parrocchia nel 1640; e che la pieve di San Gaudenzio nell’Isola di Pianosa esisté fino al secolo XVI. Della prima ne abbiamo la certezza nella statistica di quell’anno qui sopra riportata; della seconda ne fornisce la prova un breve del Pontefice Paolo III del 1 ottobre 1538, allorché investì un castellano del Castel S. Angelo della pieve dell’isola suddetta. – ( Vedere ISOLA DI PIANOSA ) A memoria della pieve di Val d’Aspra, che ha dato il nome a una porta della città di Massa voltata a scirocco, potrei citare un istrumento del 25 marzo 1125 fatto nel castello di Val d’aspra territorio populoniese, presente Sichelmo pievano della pieve di Val d’Aspra . – ( ARCH. DIPL. FIOR. Carte della Badia di Passignano ).
    In quanto alla parrocchia di S. Pietro di Acquaviva, situata fra Campiglia e Castagneto, innanzi che quella chiesa fosse ceduta coi suoi beni al monastero delle Domenicane di Pisa, doveva essa avere per pievani li stessi vescovi di Massa, siccome ce lo fa conoscere la bolla di Gregorio VII poco sopra indicata, nella quale si conferma al vescovo Guglielmo la chiesa di S. Pietro, in qua presides ; chiesa
  •    pag. 73 di 81
    che nomina dopo il vico Montanino (sui poggi della Gherardesca) e innanzi la pieve di S. Giovanni fuori di Campiglia.
    Che poi questa stessa chiesa di S. Pietro d’Acquaviva anche sul declinare del secolo XIII la tenessero con il titolo di prepositura i vescovi di Massa, lo attesta una carta appartenuta ai Frati Agostiniani di Siena, scritta il 7 marzo del 1285, ora nell’ Arch. Dipl. Fior.; nella quale di tratta di un’assoluzione dalla scomunica per parte di Bombello pievano di Campiglia a Bonaccorso della Mansione del Tempio , cappellano della prepositura di S. Pietro d’Acquaviva, per aver questi impegnato un calice senza licenza di Rolando vescovo di Massa e proposto di detta pieve.
    Della chiesa parrocchiale di S. Andrea al castello dell’Accesa si trovano memorie fra le carte di quel vescovado. Ed in questa residenza e da cotesta chiesa il vescovo Rolando di commissione del Pontefice Niccolò IV, ai 20 luglio 1292, fulminò la scomunica contro Gentile di Chiarissimo cittadino fiorentino, per avere questi ricusato di restituire alcuni beni ai Frati dell’ordine romitano di S. Agostino di Siena ( ARCH. DIPL. FIOR. Carte di S. Agostino di Siena ).
    Anche il castello, ora tenuta vescovile della Marsiliana, doveva contare la sua chiesa battesimale, tostochè un istrumento del 9 novembre anno 1247, riportato dal Cesaretti nella storia di Piombino (T. I. pag. 146 e segg.) fu celebrato in Massa nel palazzo del vescovo, al quale assisté fra gli altri testimoni un tal prete Filippo pievano della Marsiliana.
    Della pieve di Noni fra l’Accesa e Perolla, seppure questa non era la chiesa parrocchiale di Perolla, fa menzione un istrumento dell’Arch. Arciv. Di Pisa ( ERRATA : del 22 gennajo 1558) del 22 gennajo 1158, pubblicato dal Muratori. – Così nei registri vaticani di Cencio Camerario fu indicato il quantitativo della tassa che in quel tempo pagava alla S. Sede la pieve del castel
  •    pag. 74 di 81
    di Pietra.
    In quanto alla chiesa battesimale di Pastorale presso il Gualdo del Re , essa è frequenti volte rammentata nelle carte dell’Arch. Arciv. Lucch. nei secoli intorno al mille. – La pieve di Valli , della quale sembra indicarsi l’antica ubicazione la così detta Pievaccia , probabilmente era la chiesa stessa di S. Andrea di Valli rammentata in una sentenza data in Siena lì 9 marzo 1149 da Ranieri vescovo di quella città in questa parte delegato del Pontefice Eugenio III, a cagione di una lite tra i canonici di Massa e i Monaci della badia di Sestinga, che pretendevano il padronato della chiesa di S. Andrea del castel di Valli.( ARCH. DIPL. FIOR. Cart. Della città di Massa ). – Finalmente una carta pisana del 18 marzo 1295 indica un’altra pieve presso la Sassetta sotto l’invocazione di S. Cipriano.
    Più noti e di maggiore celebrità sono i monasteri della diocesi populoniese; giacché quello di S. Mimiliano all’Isola di Monte Cristo, e l’altro di S. Pietro a Palazzuolo presso Monteverdi contano, il primo la sua erezione nel quinto, e il secondo nell’ottavo secolo dell’E. V.
    Di data non meno antica di quest’ultimo doveva essere il già da gran tempo distrutto Monastero di S. Salvadore a Montioni di giuspadronato dei vescovi lucchesi; ai quali parimente apparteneva fino all’epoca longobardica l’oratorio di S. Regolo in Gualdo presso la chiesa della Madonna del Frassine, dove si conservarono per qualche tempo (sino alla fine del secolo VIII) le ossa di quel S. Martire Affricano maestro di S. Cerbone.
    Progredendo per ordine di antichità, viene il monastero de’SS. Giustiniano e Bartolommeo a Falesia, da lunga mano distrutto, il quale fu fondato nell’anno 1022 da sei figli del conte Tedice della Gherardesca. – Vedere ABBAZIA DI FALESIA .
    I conventi poi de’Frati Minori e delle Monache dell’ordine di S. Francesco stati eretti a
  •    pag. 75 di 81
    Massa, a Piombino, e a Scarlino, contano presso che tutti l’età di circa sei secoli; e verso la fine del secolo XIII vennero a Massa e a Suvereto i Frati dell’Ordine de’Romitani di S. Agostino.
    Ultimi furono i Frati detti de’Benfratelli, ossia di S. Giovanni di Dio, chiamati a Piombino all’assistenza degl’infermi di quell’ospedale.
    Non parlerò delle percettorie e spedaletti che sotto il titolo di S. Antonio abate a Bolgheri, a Campiglia e a Suvereto si tenevano dai canonici dell’ordine di S. Antonio a Vienna nel Delfinato, perché coteste percettorie sul principio del secolo XVI le si trovavano convertite in benefizj, o in commende concesse a persone familiari dei Pontefici.
    Un gran numero però delle case religiose qui sopra rammentate, o caddero in rovina, oppure furono soppresse nel giro de’60 anni ultimi passati: in guisa che attualmente non vi restano più che i Frati Minori Osservanti e le monache Clarisse dentro la città di Massa.
    Attualmente la Diocesi di Massa Marittima conta solamente 26 parrocchie, compresa quella maggiore della sua cattedrale, una cura militare a Portoferrajo, e una cappellania curata alla Marina di Rio. – Coteste 26 chiese sono sparse in undici territorii comunitativi, i quali tutti insieme occupano una superficie di circa 475 miglia toscane quadrate.

    Parrocchie della Diocesi di Massa Marittima e Comunità nelle quali sono comprese.

    In terraferma

    1. Nome della parrocchia: S. Cerbone (Cattedrale)
    Comunità nella quale è compresa:
    Massa Marittima
    2. Nome della parrocchia: S. Pietro all’Orto (Rettoria)
    Comunità nella quale è compresa:
    Massa Marittima
    3. Nome della parrocchia: S. Leopoldo a Follonica e Valli (Pieve)
    Comunità nella quale è compresa:
    Massa Marittima
    4. Nome della parrocchia: Madonna del Frassine (Rettoria)
    Comunità nella quale è
  •    pag. 76 di 81
    compresa:
    Massa Marittima
    5. Nome della parrocchia: S. Antonio a Piombino (Arcipretura)
    Comunità nella quale è compresa:
    Piombino
    6. Nome della parrocchia: S. Croce a Populoni (Cura)
    Comunità nella quale è compresa:
    Piombino
    7. Nome della parrocchia: S. Antonio a Ritorto (Cura)
    Comunità nella quale è compresa:
    Piombino
    8. Nome della parrocchia: S. Giusto a Suvereto (Arcipretura)
    Comunità nella quale è compresa:
    Suvereto
    9. Nome della parrocchia: S. Lorenzo a Campiglia (Prepositura)
    Comunità nella quale è compresa:
    Campiglia
    10. Nome della parrocchia: S. Andrea a Sassetta (Arcipretura)
    Comunità nella quale è compresa:
    Sassetta
    11. Nome della parrocchia: S. Andrea a Monteverdi (Pieve)
    Comunità nella quale è compresa:
    Monteverdi
    12. Nome della parrocchia: S. Lorenzo a Canneto (Pieve)
    Comunità nella quale è compresa:
    Monteverdi
    13. Nome della parrocchia: S. Lorenzo a Castagneto (Prepositura)
    Comunità nella quale è compresa:
    Gherardesca
    14. Nome della parrocchia: S. Bernardo a Castiglioncello (Pieve)
    Comunità nella quale è compresa:
    Gherardesca
    15. Nome della parrocchia: SS. Jacopo e Cristofano a Bolgheri (Pieve)
    Comunità nella quale è compresa:
    Gherardesca

    Nell’Isola dell’Elba

    16. Nome della parrocchia: Natività di Maria (Arcipretura)
    Comunità nella quale è compresa:
    Portoferrajo
    17. Nome della parrocchia: SS. Assunta de’Bianchi (Cura militare)
    Comunità nella quale è compresa:
  •    pag. 77 di 81
    Portoferrajo
    18. Nome della parrocchia: S. Jacopo a Lungone (Arcipretura)
    Comunità nella quale è compresa:
    Lungone
    19. Nome della parrocchia: SS. Annunziata a Capoliveri (Arcipretura)
    Comunità nella quale è compresa:
    Lungone
    20. Nome della parrocchia: S. Caterina a Marciana (Arcipretura)
    Comunità nella quale è compresa:
    Marciana
    21. Nome della parrocchia: S. Chiara alla Marina di Marciana (Rettoria)
    Comunità nella quale è compresa:
    Marciana
    22. Nome della parrocchia: S. Niccolò al Poggio
    Comunità nella quale è compresa: Marciana
    23. Nome della parrocchia: S. Ilario in Campo (Arcipretura)
    Comunità nella quale è compresa:
    Marciana
    24. Nome della parrocchia: S. Pietro alla Marina di Campo (Arcipretura)
    Comunità nella quale è compresa:
    Marciana
    25. Nome della parrocchia: SS. Jacopo e Quirico (Prepositura)
    Comunità nella quale è compresa:
    Rio
    26. Nome della parrocchia: SS. Rocco e Marco alla Marina di Rio (Cappellania curata)
    Comunità nella quale è compresa:
    Rio

    MASSA MARITTIMA, ecc. – Infine dove dice: Mancano in Massa fiere e mercati settimanali, si aggiunga, comecché la legge da qualche tempo abbia ristabilito questi ultimi per quanto riescano quasi sempre inoperosi per deficienza di concorrenti e di merci. Anche due fiere annue furono concesse nel 1838, una per il 20, 21 e 22 maggio, l'altra pel 10, 11 e 12 ottobre. In fine si corregga: il potestà di Prata con la notificazione del 22 aprile dell' anno 1843 è stato soppresso e la
  •    pag. 78 di 81
    sua giurisdizione civile riunita al vicariato R. di Massa, ripristinando l'altra potesteria di Montieri sottoposta pel criminale allo stesso vicario regio di Massa.
    Dove incomincia: Che però la Massa Veternense patria di Gallo Cesare fosse nella Toscana suburbicaria piuttosto che nella Toscana regale, e che probabilmente S. Mustiola nascesse nel contado di Tuscania, sì corregga e si aggiunga: qualmente Surio nel suo martirologio dopo avere indicato il martirio di S. Mu stiola e di S. Ireneo accaduto in civitate Tusciae, poco dopo si spiega meglio, allorché discorrendo del romano pretore spedito contro quella città, dove l'Imperatore Aureliano aveva risaputo che vi fioriva la religione di Cristo, ivi dichiara, che il pretore si recò da Roma a Chiusi Tusciae civitatem, dove condannò al martirio i SS. Ireneo e Mustiola, pochi giorni dopo aver fatto morire in Sutri, di dove egli passò, il martire S. Felice. Quindi ne consegue, che quest'ultimo essendo stato martirizzato innanzi di S. Ireneo e di S. Mustiola non poteva essere testimone né scrivere gli atti del loro martirio.
    La cancelleria Comunitativa di Massa abbraccia tre Comunità, cioè, di Massa, di Montieri e di Gavorrano. Il tribunale di Prima istanza è in Grosseto, e quello criminale di ultima istanza spetta alla Corte regia in Firenze.
    Nel 1833 la Comunità di Massa Marittima senza l'aggiunta di Valli e Follonica noverava 6193 Abitanti e nel 1845 con Valli e Follonica contava 7304 individui, come appresso:

    Frassine, AbitantiN.° 485
    Massa Marittima ( Cattedrale ), Abitanti N.°   2099
    MASSA MARITTIMA ( S. Pietro all’ Orto ) , Abitanti N.°     829
    Monterotondo, Abitanti N.°   1725
    Prata, Abitanti N.°    1321
    Tatti, Abitanti N.°   582
    Valli e Follonica, Abitanti
  •    pag. 79 di 81
    N.°
      263
    Totale Abitanti N.°   7304


    VESCOVATI DELLA TOSCANA. – Nella Toscana cisappennina della presente Opera contansi attualmente 22 Vescovati e quattro Arcivescovati; dieci dei quali Vescovati esistevano sino dalla prima età di Giovanni Villani. Tali sono le diocesi di Arezzo, di Chiusi, di Fiesole , di Roselle (Grosseto), di Luni (Sarzana) di Pistoja, di Populonia (Massa Marittima) di Soana, di Volterra e di Brugnato. – Spettano ai 12 Vescovati più moderni quelli di Cortona, di Montepulciano, di Pienza, di Montalcino, di Colle, di Prato, di Sansepolcro, di Sanminiato, di Pescia, di Pontremoli, di Livorno e di Massa Ducale. – Delle 22 diocesi tre sono rette dai vescovi delle diocesi vicine più antiche, come sarebbe il vescovo di Chiusi che regge la chiesa di Pienza; quello di Pistoja che è parimente vescovo di Prato, e l'altro di Luni Sarzana che ora è diocesane di Brugnato.
    Sono suffraganei dell'arcivescovo di Firenze i vescovi di Fiesole, di Pistoja e Prato, di Colle, di Sanminiato e di Sansepolcro. – L’arcivescovo e primate di Pisa è anche metropolitano delle diocesi di Livorno e di Pontremoli. – Sono suffraganei dell' arcivescovo di Siena quelli di Chiusi e Pienza, di Grosseto, di Massa Marittima e di Soana; e di corto fu dato per suffraganeo all' Arcivescovo di Lucca il vescovo di Massa Ducale; mentre quello
  •    pag. 80 di 81
    di Brugnato, innanzi l'unione della sua diocesi all'antica di Luni Sarzana, era suffraganeo dell'arcivescovo di Genova.
    Dipendono immediatamente dalla S. Sede i Vescovi di Arezzo, di Volterra, di Luni Sarzana , di Cortona, di Montalcino, di Montepulciano, e di Pescia. – Vedere l'Articolo ARCIVESCOVATI della Toscana Granducale.
    Entrano poi nella Romagna Granducale quattro diocesi dello Stato Pontificio, cioè, quelle di Bertinoro, ili Faenza, di Forlì e di Sarsina, l’ultima delle quali per l'amministrazione ecclesiastica è stata affidata di corto al vescovo di Bertinoro.

    ZECCHE DIVERSE della Toscana. – Le Zecche più antiche della Toscana sono quelle di Lucca, di Pisa e di Firenze. Le prime due incominciarono a coniare lire, soldi e denari di argento e di oro fino dai tempi Longobardi, quella però di Firenze fu posteriore allo stabilimento della sua repubblica. Ignazio Orsini, per lasciare di tanti altri scrittori, ha occupato un intiero libro per riportare i vari conj col nome de' zecchieri sotto la repubblica fiorentina, a partire dal 1252, epoca in cui Firenze cominciò a battere la buona moneta del fiorino d’ oro. Infatti debbesi ai Fiorentini la gloria di essere stati i primi a ristabilire in Italia il conio delle monete pure di oro abbandonato per lungo tempo dalle altre città. Di epoca quasi contemporanea, ma sul declinare del secolo XII sono le Zecche delle città di Siena, di Volterra e di Arezzo, cui succederono le lire Cortones.i Tratto con criterio delle prime il Sig. Giuseppe Porri in un bel Saggio sulla Zecca sanese pubblicato nel 1844; disertò sulle seconde il ch. Pagnini nella sua
  •   pag. 81 di 81
    Opera della Decima, e discorsero della terza il Cav. Guazzesi e di recente il Dott. Antonio Fabroni, mentre versò sulle monete di Cortona il cortonese Alticozzi in un capitolo della sua Lettera apologetica al libro dell’ antico Dominio del Vescovo di Areno in Cortona.
    Di breve durata fu la Zecca di Massa Marittima, e dubbie mi sembrano le monete attribuite alle città di Pistoja e di Chiusi.
    Le Zecche più recenti della Toscana sono quelle de' marchesi Malaspina di Fosdinovo e de' marchesi Cybo Malaspina di Massa di Carrara, la prima instituita o piuttosto ripristinata nel 1666, ed ora soppressa; la seconda aperta in Massa nel 1550, e tuttora esistente al pari di quelle di Lucca, di Firenze e di Pisa, l' ultima delle quali trovasi riunita alla Zecca di Firenze. Tutte le altre sono state da lunga mano inibite, oppure soppresse.
Warning: pg_close(): No PostgreSQL link opened yet in /home/macchi/repetti/includes/scrols/scheda_scroll_e_lng.php on line 120
Localizzazione
ID: 2653
N. scheda: 30460
Volume: 3; 5; 6S
Pagina: 138 - 172; 705, 838 - 839; 145
Riferimenti: 53410, 38750, 30461
Toponimo IGM: Massa Marittima
Comune: MASSA MARITTIMA
Provincia: GR
Quadrante IGM: 119-2
Coordinate (long., lat.)
Gauss Boaga: 1653874, 4768292
WGS 1984: 10.89023, 43.0533
UTM (32N): 653938, 4768467
Denominazione: Massa Marittima, Massa di Maremma, Massa Veternense, Massa Metallifera (S. Cerbone) - S. Pietro all'Orta - Vescovati della Toscana (Populonia, Massa Marittima) - Zecche Diverse (Massa Marittima) - Cave di Marmi
Popolo: S. Cerbone a Massa Marittima (con annesso Perolla)
Piviere: S. Cerbone a Massa Marittima (con annesso Perolla)
Comunità: Massa Marittima
Giurisdizione: Massa Marittima
Diocesi: Massa Marittima
Compartimento: Grosseto
Stato: Granducato di Toscana
  trova nel testo
 
  scarica scheda
  aggiungi note