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Grosseto - Vescovati della Toscana (Roselle, Grosseto)

 

(Grosseto)

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    GROSSETO ( Grossetum ) nella Valle inferiore dell’Ombrone senese. – Città forte, non grande, ma ben fabbricata e difesa da una rocca con sei bastioni intorno al giro esagono delle solide sue mura.
    La città di Grosseto giace quasi nel centro di una vasta ubertosa pianura, che ha da libeccio a scirocco la spiaggia del mare, a levante l’Ombrone, a ponente la fiumana della Bruna e il vasto padule di Castiglione della Pescaja, da grecale a maestro i poggi di Moscona, di Roselle, di Batignano, e di Monte Pescali, mentre nell’ultima linea ai alzano sopra gli altri i monti di Rocca Strada, di Sasso Forte e di Monte Massi. Il piano di Grosseto è 16 braccia più alto del livello del mare Mediterraneo, la cui riva è circa 6 miglia lontana. – Trovasi nel gr. 28º 47' di long., 42º 46' di latit., circa 25 miglia a scirocco di Massa Marittima; 28 miglia a settentrione di Orbetello; 30 a libeccio di Montalcino; e 52 miglia da Siena per la strada R. grossetana, equivalenti a un dipresso a 45 miglia fiorentine di 67,3008 a grado.
    Sottentrò alla distrutta città etrusca di Roselle, le cui rovine sono 5 miglia al suo settentrione‑grecale, e di la fu traslocata in Grosseto la sede episcopale. Dà il nome perciò a un vescovato; è capoluogo di uno dei cinque Compartimenti del Granducato, e conseguentemente sede di una Camera di soprintendenza comunitativa. – Vi risiede un commissario regio, un magistrato civico, un tribunale collegiale civile e criminale, un comandante militare della Provincia, un capitano comandante della piazza e del littorale. Vi si trova inoltre un ufizio del Registro, un conservatore delle Ipoteche, un ingegnere di Circondario, e la R. Amministrazione economico-idraulica per i bonificamenti della Maremma.
    Mentre un raggio di benigna stella scende sull’orizzonte grossetano ad alzare l’animo degli indigeni a grandi speranze di un propizio avvenire; mentre gli sguardi di tutti i buoni tranquillamente rivolgonsi verso cotesta contrada, nel tempo
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    che le menti dei dottrinanti, degli speculatori, dei curiosi sembrano voler squarciare, anzichè tentare di alzare a poco a poco la densa misteriosa veste, sotto la quale nascondonsi le opere della natura, cresce in proporzione l’ansietà di conoscere le storiche vicende di una città sorta nel medio evo in mezzo ad una valle che forma uno degli oggetti delle provide cure e delle generose magnificenze dell’Augusto Principe che attualmente regge i destini della Toscana.
    Si è da varii autori variamente appellata la capitale della grossetana provincia, designandola il più delle volte Grossetum , alcun altra fiata Crassetum, mentre taluni la denominarono Rosetum; però le scritture più vetuste e più genuine, le bolle dei pontefici Innocenzo II, del 1138, di Celestino II, del 1143, di Clemente III, del 1188, dichiaravano chiaramente essere il suo vero nome Grossetum . – A buon diritto pertanto il Cluverio nella sua Italia antiqua chiamò impudentissimo Fr. Annio viterbese, che il nome della città grossetana alterò in quello di Rosetum .
    La più vetusta notizia di Grosseto potrebbe risalire a un diploma di Ludovico Pio spedito nell’815, o piuttosto nell’830, a favore della badia di S. Antimo in Val d’Orcia, col quale le concesse una gran parte di Territorio posto fra i monti di Gavorrano e di Castiglion della Pescaja sino lungo il mare: deinde juxta litus maris pervenit ad locum ubi stagnus in mare mittit, et ex illo loco pervenit ad terram S. Laurentii (titolare della cattedrale Rosellana, ora di Grosseto). L’espressione pertanto di terra S. Laurentii potrebbe riferire piuttosto che alla chiesa di Grosseto, ai possessi che fra il lido del mare e lo stagno di Castiglione aveva la cattedrale di Roselle, pervenuti più tardi al capitolo di Grosseto o all’Opera della sua chiesa, e finalmente al magistrato dei Fossi. Non è perciò da far gran conto di tale espressione per
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    dare a Grosseto un’origine più remota di quella che realmente potrebbe avere.
    È certo peraltro che nel secolo decimo si nomina apertamente il castello e corte di Grosseto con una chiesa che fu di padronato di un marchese Lamberto nato da Ildebrando stato esso pure marchese, e che Cosimo della Rena presume essere stato figlio di altro marchese Lamberto e nipote di Adalberto il Ricco potentissimo marchese di Toscana. – è un istrumento stipulato li 18 aprile dell’anno 973 nel castello di Galiano presso il fiume Ombrone, col quale il prenominato marchese Lamberto per la vistosa somma di 10000 lire alienò al prete Ropprando figlio del fu Benedetto 45 corti da essolui possedute in Toscana e in Lombardia, compreso il monastero di S, Pietro a Monteverdi . Erano tra i castelli dal Marchese alienati Suvereto, e Fromentaria nel contado di Populonia, il castello di Radicofani, quelli di Cannule , di Monticello , di Manciano e di Campiano nei contadi di Chiusi e di Sovana, la corte e castelli in Alma, quelli di Scarlino , di Buriano , di Galiano e di Campagnatico nel contado di Roselle et curte Grosito cum castro et ecclesia ibidem consistente . – (Arch. Dipl. Fior. Carte della Badia Amiatina . – Ughelli in Episc. Volaterran. – Rena dei duchi e marchesi di Toscana ) .
    All’Articolo Galiano nella valle dell’Ombrone senese, facendo menzione dello stesso documento, aggiunsi,che nel 17 aprile del 989 la contessa Ermengarda, stando nel castello di Lattaja , dopo la morte del marchese Lamberto suo marito riacquistò dal prete Ropprando per la stessa somma di 10000 lire le 45 corti e castelli alienati. Tali possessi allodiali, essendo mancati ai due coniugi sopranominati i figli e forse gli eredi di famiglia, sembra
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    che restassero divisi fra i conti Aldobrandeschi, i conti Alberti, e i nipoti del Marchese Oberto I conte del S. Palazzo sotto i due primi Ottoni in Italia. – Vedere ROSELLE, SOVANA, SCARLINO, SUVERETO al Dizionario.
    Ma ritornando a Grosseto, il citato istrumeuto del 973 ci avvisa, che sino d’allora in cotesto luogo esisteva una chiesa di patronato del marchese Lamberto, riacquistata dalla contessa Ermengarda, la qual chiesa non deve confondersi con la plebana di S. Maria Assunta di Grosseto, la quale più tardi divenne cattedrale della più moderna diocesi di Roselle.
    Di questa stessa chiesa plebana, dell’epoca di sua consacrazione e dedica vien fatta distinta menzione in un privilegio concesso li 7 aprile del 1101 da Ildebrando vescovo di Roselle a Domenico abate del monastero di S. Maria sul Monte Alborense, col quale il vescovo rinunziò in vantaggio di quei monaci a tutte le decime diocesane. Tale rinunzia fu fatta in presenza di S. Bernardo degli Uberti cardinale, di Alberto preposto di Roselle e di Ranieri vicedomino: cioè, in loco quod vocatur Grossetum in Ecclesia S. Mariae virginis die dedicationis ejus tertio . – (Ughelli in Episc. Grosset ).
    Per altro la chiesa plebana di S. Maria esisteva in Grosseto anche un secolo innanzi, tostochè essa è rammentata in un istrumento appartenuto alla badia di S. Salvatore di Monte Amiata rogato li 7 febbrajo 1015, in Grosseto apud plebem S. Mariae.
    Nel 1138 Grosseto doveva essere salito a un certo grado di prosperità, di popolazione e di sicurezza ogni qualvolta si considera che dal Pont. Innocenzo II fu decorato del titolo di città, quando egli con bolla di detto anno ordinò, che in Grosseto fosse trasferita la sede episcopale di Roselle: stantechè, per asserzione dello stesso Gerarca, Rosellana ecclesia multorum praedonum in circuitu habitantium stimulis, et infestationibus agitatur, et populus ejusdem loci ad magnam desolationem atque paucitatem est redactus, communicato fratrum nostrorum consilio, dignitatem
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    episcopalis sedis in eadem urbe hactenus habitam in Grossetanam civitatem apostolica autoritate trasferimus, etc.
    Dalle quali espressioni si deduce che, se Roselle era a quel tempo desolata di abitatori ed esposta alle rapine dei ladri e malviventi di quei contorni, viceversa in Grosseto si stava più al sicuro: sicché non vi doveva mancare la popolazione necessaria alla sua difesa. Che però il numero de’suoi abitanti non fosse quale dovrebbe averlo una mediocre città, si deduce dalla bolla del Pont. Clemente III dei 12 aprile 1188, con la quale fu concesso al vescovo Gualtieri di Grosseto fra le altre cose la giurisdizione sulla metà di tutto Grosseto, consistente in 60 casalini e quattro chiese cioè: medietatem totius Grosseti, et sexaginta casalinos supra cum curte, et districtu suo, et toto Tumbolo, et ecclesiis, scilicet: ecclesia s. Petri, ecclesia s. Michaelis, ecclesia s. Andreae, ecclesia s. Georgi.
    La cattedrale di Grosseto aveva già nel 1143 i suoi Canonici, e così cinque anni dopo la traslazione del vescovado, nel tempo che sussisteva sempre un capitolo nella chiesa di Roselle. Lo che chiaro apparisce da una bolla tuttora inedita di Celestino II de’23 dicembre di detto anno, con la quale si ordina, che i beni della chiesa grossetana siano divisi per egual porzione fra i due capitoli, e che il clero di Roselle presti reverenza al capitolo di Grosseto come di maggior dignità. ( Archiv. vescovile di Grosseto ) .
    Dopo la metà del secolo XII s’incontrano fra le pergamene della badia di Montamiata molti istrumenti confacenti a dimostrare la Signoria che i conti Aldobrandeschi tennero in Grosseto.
    Dal 989 in poi, epoca della ricompra fatta dalla contessa Ermengarda vedora del marchese Lamberto delle 45 corti da esso alienate, Grosseto con i paesi di Campagnatico, di Lattaja, ( ERRATA : di Marciano) di Manciano, di Campiano, di Monticello, di Suvereto, di Scarlino, di Buriano, ed altri castelli delle Maremme toscane, si trovano
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    d’allora in poi sotto il dominio dei conti Aldobrandeschi, ovvero dei loro feudatarj.
    E qui di passo può aggiungersi che, in quanto al castello perduto di Campiano , trovansene fatta menzione in un placito celebrato nel contado di Sovana, del luglio 991 dal conte Uberto degli Aldobrandeschi a favore della badia Amiatina per alcuni beni posti in Campiano ed in Agello . – Vedere AGELLO DI SOVANA.
    Che infatti i conti Aldobrandeschi tenessero palazzo e residenza in Grosseto lo attestano molti istrumenti dei secoli posteriori al mille.
    Il primo di essi è quello del 7 febbrajo 1015 di già citato, col quale il conte Ildebrando figlio del fu C. Ridolfo, stando in Grosseto presso la pieve di S. Maria, per il merito di un anello d’oro promise a Winizone abate del mon. di S. Salvadore di Montamiata di non contendergli la metà del poggio e castello di Monte Nero . La stessa promessa per un egual regalo fu ripetuta nel 6 dic 1047 dal C. Ildebrando figlio del prenominato conte, il quale rinunziò alla stessa badia Amiatina con solo i suoi diritti sul castello di Monte Nero , ma ancora quelli sopra Monte Latrone.
    Infatti nel dic. del’1152, nel tempo che risiedeva nel suo castello di Grosseto, la contessa Gemma vedova del C. Uguccione assieme col figlio Ildebrandino Novello offrirono alla badia, di S. Salvadore sul Monte Amiata la metà, di tutti i possessi che Ardilaffo da Grosseto figlio del fu Guglielmo ebbe ad enfiteusi dalla casa Aldobrandesca. (Arch. Dipl. Fior. Carte della badia cit .)
    Quest’ultimo atto di cessione dei conti di Grosseto coincide a un dipresso con l’epoca segnalata dal Malavolti, e dagli atti delle Riformagioni della Repubblica senese relativamente al giuramento prestato in Siena nel mese di luglio del 1151 dai sindaci del Comune di Grosseto, allora quando i Grossetani promisero di mandare a loro spese
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    tre volte l’anno otto soldati in servigio di quella repubblica.
    Con tutto ciò Grosseto a quell’età dipendeva sempre dai conti di Sovana, siccome lo provano tutti i documenti superstiti dei secoli XII e XIII, tra i quali citerò il testamento del conte Ildebrandino figlio di altro conte Ildebrando, celebrsto li 22 novembre 1208 in Sovana nel palazzo de’canonici alla presenza di Viviano vescovo di quella diocesi. Fra le diverse disposizioni il testatore obbligava i suoi figli ed eredi a continuare il solito dono annuo all’Opera della canonica di Grosseto, finché non fosse terminata la fabbrica della chiesa maggiore. Confessava la dote di mille marche d’argento ricevuta dalla C. Adelaide sua moglie; alla qual donna assegnava un’annua pensione di altre mille marche, rilasciandole a cauzione il castello con le rendite di Selvena e tutti gli oggetti che il testatore aveva in Siena, fra i quali si specificano i vasi preziosi stati da esso impegnati in detta città. Volle di più che gli eredi rilasciassero alla medesima contessa Adelaide le rendite di Arcidosso e di Orbetello, finchè non le fosse restituita la dote, e inoltre l’usufrutto di tutto il bestiame pecorino di Garfagnana. Qualora poi i figli non tenessero la detta loro madre come signora, ordinava e voleva ch’essa avesse il libero possesso di Sovana, il vitto, vestiario e l’ abitazione oltre gli oggetti e le rendite sunnominate. Finalmente instituiva e nominava eredi universali i di lui figli, cioè: Ildebrandino, Bonifazio, Guglielmo, Tommaso, Gemma, Margherita, e Cristofano . (Arch. dello Spedale della Scala di Siena N.º 1056).
    Nel 19 settembre dell’ anno 1213 risedeva nel suo palazzo di Grosseto il conte Ildebrando figlio maggiore del dinasta già nominato, quando, alla presenza di Ranieri del fu Ugo di Valcortese, dei fratelli Pannocchia e Mangiante de’ conti Pannocchieschi, egli diede in feudo perpetuo con titolo di Viscontado a Manto del fu Guglielmo di Grosseto ed ai suoi eredi il castello e torre di Batignano con
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    il suo distretto, riservandosi la partecipazione dei frutti sulle miniere di argento che ivi esistessero, o che potessero rinvenirvisi. – Vedere BATIGNANO.
    Quanti e quali fossero i visconti feudatarii della casa Aldobrandesca signora di Grosseto ce lo dimostra un diploma dell’Imp. Federigo II, spedito nel mese di maggio del 1221 da Messina al suo fedele Ildebrando conte Palatino di Toscana . Al quale conte fra gli altri feudi confermò Civitatem sua Grosseti et universos cives ejusdem cum omnibus bonis suis, quae nunc possident et in antea possidebant etc.
    Una copia dello stesso privilegio fu trascritta, collazionata e autenticata da tre notari di Grosseto alla presenza di più testimoni, sotto il dì 24 aprile 1249, nella chiesa maggiore della stessa città. (Murat. Ant. M. Aevi T. I).
    In quel medesimo anno 1221 (a’dì 2 ottobre) i tre fratelli conti Palatini, Ildebrando, Bonifazio c Guglielmo, conchiusero un trattato di lega con la Rep. di Siena, obbligandosi verso di lei ad alcuni patti: fra i quali specificavasi la consegna da farsi alla Rep. senese dei castelli di Belforte e Radicondoli, e l’obbligo di far giurare lo stesso trattato a 2000 uomini delle città, terre e castella comprese nella giurisdizione Aldobrandesca, fra i quali paesi soggetti ai conti si annoveravano Grosseto, Magliano, Saturnia, Sovana, Pitigliano ec.(Malavolti, Istor. di Siena , e Arch. Dipl. Sen. Kaleffo dell’Assunta ).
    Il popolo di Grosseto comincia a comparire in un grado più decoroso di politica civiltà all’anno 1222, quando, nel dì 8 aprile nella chiesa di S. Michele di Grosseto in pubblica adunanza i conti Palatini Ildebrando e Bonifazio in nome proprio e dei conti Guglielmo e Ildebrandino giuniore loro fratelli, volendo remunerare i molti servigii ad essi ed ai conti antecessori prestati dagli uomini di Grosseto, concederono a questo Comune varii privilegi; ed esenzioni ( Kaleffo e Archivio citato )
    Dovendo attenerci all’asserzione dello storico poco sopra nominato, seguì nel 1224
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    un grande incendio di guerra, per effetto di che la città di Grosseto fu presa nell’agosto dello stesso anno ad onta che essa fosse stata valorosamente difesa dai suoi abitanti, e che vi si trovassero intorno a 3000 uomini capaci di portarle armi; comecchè dopo pochi giorni si fosse ribellata, e nuovamente dai Senesi repressa lì 8 settembre susseguente.
    Peraltro la Cronaca di Andrea Dei precisa il giorno della occupazione di Grosseto, dicendo: in quest’anno (1224) si prese Grosseto per battaglia il dì di S. Maria di settembre, e fuvvi preso Guido di Palagio loro potestà. Ciò giova eziandio a rettificare la data cronica di un antico libretto dell’archivio del Duomo di Siena, copiato da Uberto Benvoglienti e riportato dal Muratori in forma di nota sotto la Cronaca del Dei. (Rerum Italic. Script. T. XIV).
    II qual giornale segna per sbaglio 10 anni innanzi la presa di Grosseto, leggendosi ivi: Anno Domini 1214, VI Idus septembris capta est civitas Crasseti a Senensibus, muris per violentiam dirutis, et pro Majori parte combusta, et populus Senas ductus est captivus.
    Peraltro non si potrebbero conciliare i racconti del Malavolti sulla doppia conquista di Grosseto nel breve giro di un mese con i documenti coevi tuttora esistenti negli archivii senesi, e precipuamente con il trattato di pace stipulato sotto i dì 24, 29 agosto e I settembre 1224, in Siena e nel pian d’Orcia sulla Merse fra i conti Aldobrandeschi e la repubblica senese rapporto alla cessione di Grosseto.
    Infatti con atto pubblico rogato in Grosseto li 22 ottobre dell’anno 1224, gli uomini della stessa città, giurarono sottomissione al Comune di Siena, obbligandosi a pagare annualmente un tributo di lire 48 ed offrire 50 libbre di cera alla chiesa maggiore di Siena nel giorno di S. Maria Assunta. La quale sottomissione fu poi confermata in Siena li 27 dicembre 1224 da 23 deputati, e non già da 650 cittadini dei primarii di
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    Grosseto, come si trova Stampato nella storia del Malavolti. (Arch. Dipl. Sen. Kaleffo vecchio ).
    Anche il vcscovo di Grosseto nel 1228 inviò in Siena i suoi procuratori per sottoporre all’accomandigia di quella repubblica, con atto del 30 aprile, i suoi castelli d’Istia e di Roselle insieme con tutti i beni della mensa vescovilc di Grosseto, promettendole un annuo tributo di lire 25, e l’offerta di un cero di libbre 12 per la Madonna di agosto.
    Gli abitanti di Grosseto in quei tempi, al pari di molti individui della casa Aldobrandesca fedeli alla Repubblica di Siena, tenevano al partito ghibellino. Infatti nel novembre del 1242 risedeva in Grosseto Pandolfo da Fasianella governatore e capitano generale dell’Imp. Federico II in Toscana; dondechè nel dì 3 novembre del medesimo anno, stando nella chiesa maggiore di Grosseto, egli emanò una sentenza per una causa fra alcuni nobili ed il Comune di San Gimignano, mentre due anni innanzi nel giugno del 1240) lo stesso capitano generale di Federigo II stava all’assedio di Sovana presso il fiume Arminio (Fiora) e nel 1242 ai 17 giugno dai suoi accampamenti davanti al castello di Selvena nella valle di Albegna spedì un ordine di Federigo II dato in Faenza li 8 maggio del 1242, al vicario di Fucecchio. (Arch. Dipl. Fior. Carte delle Comunità di S. Gimignano, di Fucecchio e della Badia Amiatina ) .
    Nel febbrajo del 1243 lo stesso Imp. Federico II passò da Grosseto, di dove spedì un diploma a favore del Comune di Montepulciano, cui confermava gli antichi privilegii. – (Arch. cit. Carte della Com. di Montepulciano ).
    Nel 1245 di marzo trovo in Grosseto nella qualità di giudice, sotto gli ordini del medesimo vicario imperiale Pandolfo da Fasianella, un mess. Filippo da Brindisi, il quale nel 30 agosto dello stesso anno teneva il suo tribunale in Casole, sotto il medesimo vicario Pandolfo.
    I due documenti inediti testè
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    citati, di cui trovansi gli autentici fra le pergamene appartenute alla Badia Amiatina, giovano per avventura a rettificare un supposto vaticinio fatto da Guido Bonatti Forlivese, celebre astronomo di quella età, allorchè nella sua opera lasciò scritto, ch’essendo l’Imperatore Federigo in Grosseto, ed egli in Forlì, dalla combinazione dei pianeti conobbe che tramavasi congiura contro la vita dell’Imperatore, e che avendonelo egli avvertito, trovossi in fatti che Pandolfo da Fasanella , Teobaldo, Francesco e più altri de’suoi secretarii avevano contro di lui congiurato, senza che alcuno degli astrologi della sua corte ne avesse avuto sentore. – (Guidonis Bonatti, De Astronomia. Tractatus quintus. – (Tiraboschi, Stor. della Letter. Ital . T. IV. P. II. Lib. II.)
    Che l’astrologo Bonatti non facesse molto bene i suoi calcoli, o che l’incontro de’pianeti accadesse in altro tempo, e non già quando Federigo II passò da Grosseto e dalla sua Maremma, lo dimostrano altri documenti più positivi. Tale sarebbe quello di trovare Federigo nel giugno del 1243 non più a Grosseto ma a S. Germano nella Campania, e a Foggia nel settembre del 1245, vale a dire, poco innanzi che Pandolfo di Fasianella fosse scoperto e palesato traditore dell’impero
    Infatti ai 30 di agosto del 1245 la congiura da Fasianella non doveva essere ancor nota, tostochè egli cuopriva sempre l’importante carica di vicario imperiale, di capitan generale in Toscana; bensì ai 4 ottobre dello stesso anno le carte Amiatine ci scuoprono un Costantino di Sicilia vicario per Federigo II nel contado di Siena e nella diocesi di Chiusi.
    I Senesi in grazia della loro fedeltà verso la causa imperiale ottennero da Gualtieri vicario imperiale l’investitura della città di Grosseto e del suo territorio, in guisa che egli sotto li 27 gennajo dell’anno l250 ne diede l’investitura per la Repubblica a Ventrilio di Guido Ventrili da Pisa, il quale cuopriva in Siena la carica di potestà. In tale occasione gli uomini di Grosseto, e il
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    giorno dopo i visconti feudatarii dei conti Aldobrandeschi chiamati nella stessa città, insieme con i cittadini grossetani nella chiesa maggiore, davanti al potestà di Siena giurarono fedeltà e ubbidienza a quella Repubblica obbligandosi di far guerra insieme con essa ai conti Aldobrandeschi ribelli all’impero, e protestando di tenere ai comandi della Signoria di Siena tutte le castella del territorio grossetano, e quelle che i feudatarii possedevano nella contea Aldobrandesca. In tale circostanza i confini della Maremma grossetana furono designati fra i seguenti luoghi: Maritima vero intelligatur ad haec, a Massa usque ad Portilionem (cioè, dal lato di ponente, dal distretto di Massa fino alla Torre di Portiglione che trovasi fra bocca d’Alma e il pontone di Scarlino) et a Gessis de Sassoforte usque ad Fornoli, et a Civitella usquc ad Sassum (cioè, dalla parte di settentrione, fino al Sasso di Maremma sull’Ombrone) et per Montamiatam, ut vulgariter dicitur, usque Pitillianum, et, sicut trahit flumen Arminis usque ad mare (pel lato cioè di levante fino a ostro, mentre da ostro a ponente forma confine il mare).
    Nel tempo che le armi imperiali combattevano in Maremma le terre e i fedeli del conte Guglielmo degli Aldobrandeschi, e il di lui figlio Uberto conte di Campagnatico, seguaci entrambi del partito guelfo, il loro respettivo nipote e cugino conte lldebrandino fìglio del conte Bonifazio militava con gli Orvietani contro gl’Imperiali. A costui riescì, mediante i suoi procuratori, nel 17 maggio del 1251, di accordarsi a buoni patti con la Repubblica di Siena, promettendo di aderire alle antiche condizioni del 1221; ma ben presto, e più di una volta, tornò a mancare di fede. (Malavolti Stor. di Siena ).
    Appena fu morto Federigo II i Grossetani, anziché riconoscere l’autorità del re Manfredi, si staccarono dal suo governo e costituironsi a comune, siccome lo dà a conoscere un’istrumento della Badia Amiatina dei 12 dicembre 1258 fatto in Grosseto sotto il portico
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    dei Consoli
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    Sennonchè i reggitori del dominio senese con provvisione degli 8 gennajo e 2 febbrajo del 1259, deliberarono di raccogliere un esercito dalla città, dai sobborghi, dalle terre e castella del suo contado per mandarlo all’impresa di Grosseto sotto gli ordini del potestà. – Riconquistata nell’anno medesimo la capitale della Maremma, fu dato ordine di fabbricarvi il cassero e di tenervi guarnigione senese.
    Erano le cose della provincia grossetana in questo stato, quando i Fiorentini nella primavera del 1260 fecero una cavalcata fino alle porte di Siena, recando danno intorno al paese e stringendo d’assedio la stessa città.
    Allora i Senesi impegnarono il re Manfredi Napoli a mandare un maggior rinforzo di cavalleria tedesca sotto il comando del conte Giordano, gia suo vicario in Toscana, nel tempo che richiamarono le guarnigioni da Grosseto, e da altri luoghi della Maremma. Fu in tale emergente di nuovo aperta la via di pace al conte Ildebrandino del fu C. Bonifazio di S. Fiora a condizione di doveregli bandire dal suo stato alcuni vassalli ribelli all’impero, ai quali patti neppure questa fiata quel dinasta fermo si mantenne.
    Dopo pochi mesi accadde (settembre 1260) la famosa giornata di Montaperto, per effetto della quale il Comune di Siena ricuperò tutti i paesi stati già da qualche tempo tolti, o di recente tornati a ribellarsi ai senesi.
    Furono perciò rinviate genti d’arme a Grosseto, espulsi di la gli abitanti ribelli e tolti a quel Comune i fondi pubblici per incamerarli a quelli di Siena, o per assegnarli ai cittadini nuovi e fedeli al partito vincitore. Un documento inedito del 13 dicembre 1260 esistente fra le pergamene della badia Amiatina nell’Arch. Dipl. Fior . riporta un decreto dei Dispensatori delle terre del Comune di Grosseto eletti da quel potestà Jacopo di Benvenuto , col quale fu, donato un pezzo di terra ad un nuovo cittadino, grossetano per farne ciò che vuolesse . Quindi
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    nel 1262 rinnovossi la capitolazione fra le due città, obbligandosi i Grossetani ad accettare e ubbidire al potestà inviato da Siena, a militare in difesa della stessa repubblica, e tenere per nemici i nemici di lei, e altronde a favorire gli amici della medesima, accomunando ai cittadini senesi i privilegi di quelli di Grosseto.
    Nell’anno medesimo 1262 il più volte nominato conte Ildebrandino figlio di Bonifazio conte di S. Fiora dopo lunghe trattative mentre egli trovavasi al Bagno di Vignone li 31 d’ottobre, capitolò con i sindaci della Repubblica senese, e si obbligò non solamente a mantenere i patti e condizioni sottoscritte sino dal 17 maggio 1251, ma aderì eziandio a molti altri capitoli stati nella nuova trattativa aggiunti.
    La morte però del re Manfredi avendo sbigottiti i ghibellini allora dominanti in tutta la Toscana, l’opposto partito riprese tosto speranza di ricuperare la perdutà sua dignità. Allora la città di Grosseto ribellandosi dal governo aristocratico di Siena (anno 1266) si diede in potestà dei fuorusciti e dei nemici di quella repubblica; alla testa dei quali si era posto Pepone de’Visconti di Campiglia che poco dopo perdè con la vita Grosseto, riconquistato dalle armi senesi (Arch. Dipl. Sen. Bicherna ).
    Vennero frattanto a mancare alcuni dei conti Aldobrandeschi, per cui sotto gli ( ERRATA : 11 ottobre del l272) 11 dicembre del 1272, fu stipulata una divisione de’beni allodiali fra il C. Ildebrandino, chiamato il Rosso, figlio di Guglielmo conte di Sovana ed il C. Ildebrandino figlio di Bonifazio conte di S. Fiora.
    In vigore di tale contratto restarono indivisi, ed a comune fra le due branche Aldobrandesche i diritti sulla città di Grosseto, sopra Massa, Saturnia, e la miniera di mercurio di Selvena.
    Dopo la morte del C. Ildebrandino Rosso di Sovana, accaduta li 6 maggio del 1284, un nuovo istrumento di transazione fu celebrato li 6 agosto del 1286 nel castello di S. Fiora tra la contessa Margherita
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    figlia ed erede dell’estinto conte di Sovana, rappresentata dal conte Guido di Monforte suo marito, da una, ed i conti Ildebrandino Novello, Bonifazio, Umberto, Enrico Novello e Guido fratelli e figli del fu Ildebrandino conte palatino di S. Fiora, dall’altra parte. Quindi pochi anni dopo i prenominati 5 fratelli conti di S. Fiora insieme con la contessa Giovanna loro madre, per atto pubblico dei 2 agosto 1297, rogato in S. Fiora da Michele d’Jacopo medico e notaro, si fecero nuove divise fra loro per mezzo di polizze tirate a sorte. (Arch. Dipl. Fior. Carte della Comunità di Volterra ).
    In tutti i contratti di famiglia, posteriori all’atto di divisione del 1272, fra i conti Aldobrandeschi, non si rammenta più Grosseto, nè si mettono più in campo le ragioni che essi nei tempi trascorsi vi tennero direttamente, oppure mediante i loro Visconti, Lambardi, o Cattani.
    Infatti, previa una capitolazione stipulata in Siena nel novembre del 1277, i Grossetani si obbligarono di far pace e guerra a libera disposizione del Comune di Siena, e di esentare dalle pubbliche gravezze i cittadini senesi che venissero ad abitare nel loro territorio. (Arch. Dipl. Sen. Kaleffo dell’Assunta ).
    Dopo che Siena pertanto divenne libera dominatrice di Grosseto e del vasto suo territorio, potè pacificamente continuarsi la fabbrica della grandiosa sua cattedrale, alla quale impresa fu dato incominciamento sino dal principio del secolo XIII, siccome apparisce dal testamento del 1208 del conte Ildebrandino poco sopra rammentato. Pertanto dalle iscrizioni superstiti nella facciata esterna di quel Duomo si rileva, che l’architettura della stessa facciata fu opera del capo maestro Sozo Rustichini di Siena, incominciata nel 1293 a tempo del nobil uomo senese Filippo Malavolti vice-potestà di Grosseto, mentre la parte interna incrostata essa pure di marmo sino alla metà, sebbene ora barbaramente ricoperta d’intonaco, indica in altra lapide ivi murata l’anno 1295, allorchè il nobil uomo Mino de’Piccolomini era potestà di Grosseto.
    Più moderna è la torre per
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    uso di campanile, nella quale esiste un’iscriziane che dichiara essere stata fabbricata nel 1402 dal provido uomo Domenico di Francesco da Monte Merano operajo a vita dell’Opera di S. Maria di Grosseto.
    Finalmente il battistero e la sovrapposta lunetta di marmo rappresentante la SS. Annunziata furono scolpiti dall’artista Antonio Ghini da Siena, nell’anno 1474, al tempo dell’operajo Salvatore Lemi.
    Ma riprendendo il filo della storia, rammenterò come nel 1310, essendo insorto in Siena un tumulto fra i nobili e il popolo, molte antiche famiglie feudatarie dei conti Aldobrandeschi profittarono di tale circostanza per ribellarsi dal governo senese.
    Era tra questi Bino di Abbate del Malia visconte di Grosseto e di Batignano, il quale avendo cacciato il partito dominante, s’impossessò della città; e quantunque non vi si potesse lungamente mantenere in dominio, pure dopo due anni gli riescì d’impadronirsi di nuovo della medesima. – Avvegnachè la Signoria di Siena essendo continuamente in contrasto coi partiti di dentro e con i nemici di fuori, dovè per un qualche tempo lasciare Grosseto in balìa agli antichi feudatarii, e perfino riconoscerne in certo modo il dominio, mediante una trattativa di pace termata li 17 aprile 1317 fra la Repubblica senese e i conti di S. Fiora. (Malavolti storia di Siena Parte II).
    Si mantennero in tale stato gli affari politici di Grosseto fino al gennajo del 1334 (stile comune) quando si ebbe notizia della morte di Bino di mess. Abbate, già signore di Grosseto, che lasciò eredi due suoi figli Malìa ed Abbatino. Allora il magistrato de’Signori Nove inviò in Maremma una mano di gente d’armi capitanata da mess. Jacopo di Conte de’Gabbrielli da Gubbio loro potestà, la quale bentosto investì Grosseto, se ne impadronì, e mandò i figli del tiranno prigionieri a Siena.
    Non corsero però molti anni dacchè i CC. di S. Fiora, alleatisi con Castruccio signore di Lucca e con Guido Tarlati vescovo di Arezzo, rioccuparono varii paesi della Maremma, fra i
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    quali fuvvi il castello di Montemassi, dopo lungo assedio riconquistato dai Senesi, nell’agosto del 1328, coll’aiuto dei Fìorentini.
    Passò nello stesso anno di Maremma l’Imp. Lodovico il Bavaro con le sue truppe. E fu all’istanza dei conti di S. Fiora che lo stesso Imperatore con una parte dell’armata del re di Sicilia staccata da Talamone ai 15 settembre del 1328 si accampò davanti a Grosseto, cui, al dire dei cronisti contemporanei, diede più battaglie, ma non l’ebbe; cosicchè dopo quattro giorni il Bavaro con le sue genti, coll’antipapa e coi nuovi cardinali partì di là per Pisa senza alcun buon successo, (G. Villani, e Andrea Dei, Croniche fiorent. e senes. )
    Nel giorno 23 gennajo dell’1334 dal gran consiglio di Siena furono approvate varie proposizioni del concistoro dei Nove rapporto al dominio di Grosseto e del suo distretto, tra le quali fuvvi anche quella di dovere riformare i suoi statuti, e di accordare la facoltà al giudice di Grosseto di poter allontanarsi dalla sua residenza nei mesi di luglio, agosto e settembre, col lasciarvi un suo vicario. Di più essendo decretata una fortezza in questa stessa città, nel giorno 31 di marzo dello stesso anno fù posta la prima pietra. Tale edifizio per altro fu sospeso stante la fuga dei Malia prigionieri da Siena, e la nuova ribellione che per di loro intrigo fu accesa in Grosseto: per cagione della quale i Senesi, nel 1335, spedirono un esercito con il conte Marcovaldo de’CC. Guidi di Dovadola loro capitano di guerra sotto Grosseto. La quale città, essendo stata munita di ripari e ben difesa, sostenne un assedio, intanto che uno dei capi, Abbatino del Malìa, essendosi recato a Pisa a chieder soccorso a quel governo, raccolse una mano di armati a piedi e a cavallo, coi quali tornò a investire nei contorni di Grosseto l’oste senese che mise in fuga, ponendo a sacco e fuoco gli abbandonati accampamenti (23 nov. 1335).
    L’anno appresso
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    i Signori dove avendo rimandato altre masnade da Siena a Grosseto sotto il comando di Ugolino di Guido march. del Monte S. Maria, il ribelle Abbatino del Malìa insieme co’suoi nipoti venendo a buoni patti, ottennero una capitolazione, mercè la quale i ribelli doverono lasciare la città di Grosseto libera, e consegnare i prigioni stati fatti ai Senesi; e viceversa il governo di Siena promise di liberare i Malìa capi della rivolta da ogni bando e condannagione, e di restituirgli una somma di denaro che la Repubblica aveva riscosso da Simone Piccolomini debitore dei Malìa per la compra fatta del castello di Batignano.
    Ricuperato Grosseto, fu ripresa l’edificazione della rocca, dei suoi fossi e carbonaje. Al qual effetto venne demolito un casamento presso la Porta Cittadina di Grosseto, che il governo nel 1345 acquistò dalla moglie di Guelfo d’Jacopo de Lanfranchi di Pisa figlia di Petruccio Beringhieri di Grosseto. (Malavolti, Opera cit. e Arch. Dipl. di Siena, Kaleffo dell’ Assunta).
    La rocca predetta fino dal 1350 era in grado di servire di difesa, tostochè fu collocata nel cassero della medesima una lapida, nella quale si leggono tuttora queste parole: Al nome di Dio e di Madonna Santa Maria, Ano Dni MCCCXI. Si fece questo Kasaro, e si fecero tutte.....al tempo.…..ano e di Leonardo di Colo di Giovani di Gano cittadini di Siena e ufitiali sopra el deto Kasaro e mura eleti per lo Ckomune di Siena.
    Nella sommossa di Siena del 1355, molti popoli dello stesso dominio, seguirono l’esempio della capitale, fra i quali furonvi anche i Grossetani e fu allora che il popolo tentò di assalire e di occupare il cassero. Ma ben presto i rivoltosi inviarono a Siena un delegato a chiedere perdono; lo chè fu loro accordato dei XII a condizioni sempre più onerose, fra le quali fuvvi quella di ubbidire alle leggi e statuti senesi, e di rinunziare a tutti gl’indulti e privilegii imperiali.
    Da quell’epoca
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    in poi Grosseto si mantenne costantemente sotto la custodia e dominio senese, per ordine del quale fu rifatto nel 1420 lo statuto più conosciuto di cotesta città. Finalmente essa ebbe a soffrire nuove traversie dall’esercito napoletano del re Alfonso di Aragona, allorché nell’inverno del 1447 occupò Castiglion della Pescaja e quindi prese stanza fino all’estate in Grosseto e nel suo territorio.
    Ott’anni dopo, le campagne e i contorni di Grosseto ricevettero il guasto dalla compagnia di avventurieri condotta da Jacopo Piccinino a danno della Rep. senese; la quale, dopo di essere stata battuta nei confini della Maremma verso Castro e Toscanella, si fuggì alla volta di Castiglion della Pescaja sovvenuta del bisognevole dal re Alfonso. In conseguenza di che poco dopo essa occupò il castel di Colonna, e tentò d’impadronirsi della città di Grosseto per danneggiare viemaggiormente i paesi del dominio di Siena. Pacificato il re Alfonso coi Senesi, questi riottennero quanto era stato loro tolto dall’avventuriero capitano nelle Maremme di Grosseto e di Orbetello. Frattanto non cessarono le calamità dì questa provincia, la quale andava di mano in mano a diminuire sempre più di popolazione, di sicurezza pubblica, di produzione di suolo, e di salobrità di clima.
    Trovavasi Grosseto in posizione sì fatta allorquando armate di terra e di mare portarono 1’ultimo scempio nella già troppo trista contrada. La situazione politìca della Rep. di Siena era ormai divenuta vacillante per incostanza di governo, per complotti intestini e per gare politiche fra i gabinetti. Le conseguenze lacrimevoli di una lunga guerra preparata contro quella Rep. da Cosimo I, e sostenuta dalle armi imperiali, si risentirono anche a Grosseto. Infatti i Francesi alleati dei Senesi, dopo essere stati respinti dalla capitale, si ridussero per la maggior parte a Montalcino e nella Maremma grossetana, mentre Piero Strozzi attendeva a fortificare la piazza di Grosseto per avere copia e spingere di la provvisioni di vettovaglie, e per accorrere in qualunque luogo del littorale non saprei, dirò col Muratori, se
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    per difendere o piuttosto per devastare d’avvantaggio un troppo infelice paese.
    Si sostennero i Francesi a Grosseto fino all’anno 1559, epoca della conclusione della pace tra il re di Francia Enrico II e il re di Spagna Filippo II: dopo di che sottentrarono in Grosseto e nel suo distretto le armi e le leggi del nuovo duca di Siena.
    Cosimo I, tostochè poté divenire tranquillo padrone dello Stato senese e della sua maremma, pensò di giovare al commercio e all’agricoltura di tutta la provincia, coll’istituire nel 1560 a Grosseto una fiera annua per 10 giorni da incominciare il dì 15 e terminare il 25 di aprile. Inoltre provvide all’interna polizia della città e a quella del suo agro; ordinò l’escavazione di un fosso della lunghezza di 1500 braccia nella pianura di Montepescali, per raccogliere e dar corso alle acque stagnanti di diversi paludi.
    Lo stesso Granduca fece aggiungere alla città di Grosseto nuove fortificazioni; ma il cerchio esagono delle mura attuali con i suoi bastioni sono opere del Granduca Francesco I, terminate da Ferdinando I poco dopo il suo avvenimento al trono granducale.
    Fu questo terzo Granduca che provvide di acque salubri la città mediante la costruzione di sei pubbliche cisterne di acque piovane; che fondò in Grosseto uno spedale filiale di quello della Scala di Siena con una dote sufficiente a mantenere almeno 24 malati. Allo stesso fine di migliorare le condizioni fisiche del suolo mirava l’escavazione dei fossi principali della pianura grossetana. Fu il medesimo Ferdinando I quegli che ordino (sebbene per intrighi degli affittuarii i suoi ordini venissero maliziosamente modificati) la demolizione della pescaja di Castiglione, non curando lo scapito che andava a risentire il R. erario per l’inazione in cui restavano i mulini adiacenti al padule di Castiglione; e ciò nel tempo che si poneva opera alla circoscrizione, e prosciugamento di una parte del padule omonimo, non che all’arginatura del fiume Ombrone da Grosseto sino alla torre della Trappola.
    Affinchè
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    poi tutte le operazioni idrauliche fossero saggiamente dirette e costantemente ben mantenute, Ferdinando I stabilì in Grosseto un Ufizio, denominato dei Fossi , al cui provveditore con speciali istruzioni affidò la sorveglianza dei lavori già eseguiti, o da farsi, la manutensione di tutte le cisterne pubbliche, dei ponti, strade, argini ec.
    Coteste benefiche misure a favore di Grosseto e delle sue campagne furono mantenute in vigore e protette. da Cosimo II figlio e successore di Ferdinando I nel breve periodo del di lui governo. Imperocchè dal 1609 sino all’ultimo anno di sua vita (1621) il Granduca Cosimo II fece continuare l’escavazione di un canale navigante nella pianara grossetana, e di altro canale più d’appresso alla città per servizio dei mulini e dell’abbeveratojo; ridusse dalle lire 15 a lire 7 e 1/2 per moggio la gabella della tratta dei grani; fece edificare nuove case in Grosseto per comodo dei forestieri che andavano a stabilirsi in Maremma, e ordinò altri provvedimenti relativi alla pulizia municipale e alla riforma dell'Ufizio dei Fossi poco sopra enunciato.
    Frattanto che la rigenerazione della Maremma grossetana andava lentamente operandosi sotto il governo di Ferdinando I e di Cosirno II, bisogna altresì confessare, che cotesto periodo fu per quella provincia il più felice tra quelli del governo Mediceo. Avvegnachè dopo quell’epoca non solo troppo isolati furono i bonificamenti ordinati da Ferdinando II, da Cosimo III e da Gian Gastone per salvare la Maremma grossetana da una luttuosa caduta, ma si cessò di sorvegliare indefessamente all’ esatta manutensione delle operazioni idrauliche state anteriormente effettuate. – Che se talvolta alcuni provvedimenti da uu lato si temperarono, dall’altra parte vennero abrogate nella loro pienezza diverse leggi economiche, cui sostituironsi altre, le quali divennero potenti ostacoli alla desiderata riescita di una fisico-economica riduzione della nominata regione.
    In meno di un secolo, dalla morte cioè di Cosimo II fino al 1700, la popolazione di Grosseto decrebbe a segno che, se nel principio
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    del sec. XVII ascendeva a 3000 abitanti essa all’entrare del secolo XVIII non contava più che 700 anime. Così la sementa dell’agro grossetano dalle 1300 moggia di grano fu diminuita sino alle moggia 300. Per egual modo l’entrate dei pascoli nello stesso periodo di tempo dalle lire 101,177 si ridussero a lire 39,956.
    Dondechè l’abbandono, o la poca sorveglianza delle opere idrauliche, se non distrusse affatto, rese però quasi senza effetto tutto ciò che era stato fatto sotto il governo di Ferdinando I e di Cosimo II.
    Alla metà del secolo XVIII il fiume Ombrone senz’argini era aperto in cento lati, i canali e fossi di scolo dell’agro grossetano si erano interrati e ripieni, il padule di Castiglion della Pescaja spandeva a capriccio le sue acque nella circostante pianura, nè queste si scaricavano giammai alla debita profondità stante la soglia troppo alta delle sue bocchette.
    Era Grosseto con tutto il suo agro ridotto in uno stato lacrimevole allora quando l’Augusto Pietro Leopoldo I, appena salito sul trono della Toscana, rivolse il paterno suo animo verso la Maremma senese con volontà di migliorarne la trista situazione. – Nel tempo pertanto che uno dei più valenti matematici di quell’età per comando sovrano metteva alla prova un piano ragionato di, fisica riduzione della Provincia marittima senese, il magnanimo Principe ordinava un sistema di governo e di amministrazione economico-civile, che doveva dipendere immediatamente dalla sua sovrana autorità. Con la legge del 18 marzo 1766 la città di Grosseto fu dichiarata capoluogo di tutta la Provincia inferiore di Siena ; quindi con altro motu proprio del 10 dicembre dello stesso anno fu descritto e assegnato il perimetro delle subalterne giurisdizioni, suddividendo la stessa Provincia in otto giudicature.
    Frattanto si comandava l’arginatura del fiume Ombrone, il ricavamento dei canali di navigazione e degli scoli maestri per facilitare lo scarico alle acque che spagliavano nella pianura grossetana; si ricostruivano i già abbandonati acquedotti con altre operazioni idrauliche;
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    si rendeva più comodo e più sicuro l’accesso dello scalo di Castiglion della Pescaja; si aprivano nuove strade, si migliorava la sorte degli abitanti coll’abolire le servitù de’pascoli, si aumentava il numero dei proprietarii indigeni, nel tempo che si allettavano gli stranieri con ogni sorta di favori e col concedere loro a larghe condizioni la divisione dei latifondi di mani-morte. – Si promuoveva l’industria mercè privilgii ed esenzioni commerciali; si rimborsavano dal R. erario della quarta ed anche della terza parte della spesa i fondatori di nuove case. Finalmente alle famiglie avventizie che recavansi a stabilire nella Provincia inferiore senese si assegnavano a titolo di livello perpetuo tante porzioni dei terreni comunitativi divenuti salvatici, o infrigiditi, e divenuti di poca o niuna utilità.
    Di tale natura, tante e si generose furono le sovrane disposizioni a favore della Maremma grossetana dal Granduca Pietro Leopoldo I ordinate, oltre l’organizzazione di un, amministrazione economico-governativa, allorchè nel 1775 egli nominò una deputaziene composta di pubblicisti, economisti, matematici e periti agrarii, affinchè visitasse e riferisse sulla condizione economica e fisica della Maremma, sulle opere dal Sovrano ordinate. La deputazione dopo avere adempito l’onorevole commissione, nel luglio del 1776, abbassò al trono la sua relazione divisa in due parti; la prima delle quali riguardava le proposizioni economiche, e la seconda le proposizioni idrometriche, nella quale furono descritti i lavori idraulici in tutto o in parte effettuati.
    La fabbrica della cateratta costruita sulla ripa destra dell’Ombrone, per accogliere una porzione delle sue acque mediante il Fosso Navigante , fu rammentata la prima fra tutte le operazioni idrometriche, in quanto che riguardavasi come lavoro fondamentale, su cui si appoggiavano dal matematico Ximenes e dalla deputazione medesima tutte le altre opere relative alla riduzione della grossetana.
    Fra i lavori idraulici già compiuti nella pianura di Grosseto s’indicava il nuovo Fosso Navigante con i tre Regolatori , dai quali le acque che traboccavano dal Navigante si scaricavano
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    per il Canal di Rinfresco del padule di Castiglione. Erano pure fra le operazioni idrauliche già completate il Sostegno detto del Querciolo , la Cateratta grande del padule , l’edifizio del mulino di Grosseto , l’argine d'Ombrone , il rivuotamento della Molla , della Molletta , del Logo Bernardo, del fosso Martello, del fosso Tanaro e di altri minori canali di scolo, L’acquedotto di castiglione, la darsena di Grosseto , il piccolo Sostegno di San Giovanni ec.
    Restava ancora a compirsi, fra le operazioni idrometriche di quel sistema, il Canal intermedio (nella cui vece fu incominciato il nuovo fosso Navigante ) il Canal degli Abboccatoj , la colmata di S. Guglielmo e i lavori al porto di Castiglione .
    Relativamente al piano del bonificamento a quel tempo stabilito gioverà qui riportare le precise parole della relazione citata: “Dipende infatti (la massima operazione) dal ravvivamento delle acque del padule vastissimo di Castiglione, che è il cardine fondamentale di tutte le dispendiose operazioni idrometriche fino ad ora eseguite nella Provincia inferiore di Siena e che, a parere della deputazione era il solo bonificamento possibile del precitato padule. Giacchè noi siamo di sentimento ( parlano i deputati ) ch’esso padule non possa asciugarsi nè per essiccazione, nè per alluvione, o sivvero, nè col metodo delle colmate, ne col cavo de’nuovi fossi che l’attraversino; e che non possa neppure ridursi ad, uno stagno ripieno d’acqua salsa.
    Non è pertanto maravigliosa la circostanza che quasi tutti i matematici, i quali anche nel secolo prossimamente decorso sotto il governo dei medici sovrani hanno sottoposto all’esame il miglioramento delle Maremme, abbiano sempre proposta ed effettuata in alcuni tempi la presa d’un corso d’acque dal fiume Ombrone, mediante una steccaja
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    prossima alle Bucacce , una cateratta all’ Incile corrispondente, e mediante anco il fosso Barchetti , ch'era un manufatto canale escavato nella pianura contigua”.
    Tali espressioni pertanto dimostrano ad evidenza da quali principi fossero mossi i matematici che operarono nei due secoli ultimamente scorsi, tanto sotto il governo Mediceo, quanto sotto quello di Leopoldo I, rapporto alla fisica riduzione delle Maremme: cioé, col procurare di tenere meno frigida la pianura mediante la buona manutensione dei fossi di scolo, ma sopra ogn’altra cosa col rinfrescare in estate il malsano padule di Castiglione mediante il Fosso Navigante, e col tener chiuse le sue cateratte durante l’inverno, affinchè non vi s’introducessero le acque dell’Ombrone: e ciò fintanto che i respettivi influenti mantenevano il pelo delle acque del padule oltre i consueti determinati segni elevato.
    Mostravano quei periti di credere quasichè impossibile di colmare col torbido Ombrone il vasto padule che lo avvicina; ed in tale persuasione furono comandati ordini severi, affinchè al sopraggiunger di una qualche piena si abbassasse la cateratta del Fosso Navigante per impedire l’introduzione delle torbe nel padule di Castiglione: nè si permetteva che la cateratta si rialzasse se non dopo chiarificate le acque dello stesso fiume.
    Si agiva pertanto allora con un sistema diametralmente opposto a quello che si va attualmente praticando nelle toscane Maremme; sistema del quale si conoscono i felici risultamenti, sia per tutto ciò che si e acquistato col mezzo delle grandi colmate in Val di Chiana, sia per quello che si và acquistando nella Maremma, e specialmente per l’immensa quantità di terra che fu trasportato fra il 1833 e il 1837 dalle piene dell’Ombrone nel padule soprannominato, mercè le nuove opere idrauliche ordinate dall’Augusto Regnante Leopoldo II, nella ragionevole lusinga di poter finalmente ristabilire la natura fisica di cotesto suolo nei perduti suoi diritti.

    Lavori preordinati al bonificamento della Maremma grossetana dal Granduca LEOPOLDO II felicemente regnante.
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    Appena salito sul trono paterno ed avito Leopoldo II rivolse uno sguardo benefico verso la porzione più infelice e nel tempo stesso piu seducente e produttiva del Granducato. La prima operazione ordinata nel 1826 fu la costruzione di un solido ponte munito di cateratte mobili a traverso alla fiumara di Castiglion della Pescaja, ad oggetto d’impedire l’ingresso delle acque marine del canale di Castiglione e conseguentemente la loro miscela colle acque dolci del contiguo padule. Il buon successo di cotesta utilissima opera fu il segnale d’imprese assai maggiori, tostoché essa di poco precedè il magnanimo motuproprio del novembre 1828, col quale fu ordinata la fisica riduzione delle Maremme, nel tempo stesso che l’Augusto Sovrano affidava la direzione degli opportuni lavori ad una commissione economica idraulica, alla quale nel 1833 fu sostituito un Ufizio preseduto, per la parte idraulica, dal direttore del Corpo degl’ingegneri Cav. commendatore Alessandro Manetti, e, perciò che spetta alla parte economica, dal Cav. Giacomo Grandoni provveditore della Camera di Soprintendenza comunitativa di Grosseto.
    Colmazione del padule di Castiglione . – Questa vasta laguna, che fu sempre riguardata come causa precipua della malsania della valle grossetana, fu anche la prima ad esser presa di mira per distruggere con lei i suoi malefici miasmi. – Stato poco sopra accennato che nei tempi passati la scienza idrometrica aveva inutilmente tentato di pervenire al desiderato intento mediante il mantener fresco in estate il padule di Castiglione con le acque chiare dell’Ombrone; giacchè gl’idraulici allora consultati giudicarono quasi impossibile il poterlo bonificare per colmate. All’incontro col sistema attualmente praticato si vede progressivamente colmare e impicciolire il padule, nel tempo che si dà un più facile sbocco ai noi influenti naturali, e più che altro mercè l’apertura di due vasti canali artificiali, per i quali entrano nel palustre bacino le acque dell’Ombrone a depositare le loro torbe durante le piene.
    Uno degl’influenti naturali è la Sovata , la quale
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    fiumana insieme con i minori suoi tributarii che scendono nel padule di Castiglione dai poggi di Buriano, di Tirli e di Castiglione, fu la primà ad essere riordinata e inalveata (anno 1829) per la lunghezza di miglia 6 e 1/2 in circa.
    Il torrente Bruna che raccoglie tutte le acque che scendono dai monti di Prata e del distrutto castel di Pietra, venne esso pure nel 1829 incanalato, rettificato ed il suo alveo circoscritto di nuovo per la lunghezza di oltre cinque miglia. – Un eguale operazione fu eseguita nel torrente Fossa e nei suoi influenti, che portano nel padule medesimo le acque fluenti dai poggi di Roccastrada, di Sticciano, di Monte Lattaja e di Monte Pescali.
    Influenti artificiali . – Ad operazioni assai più grandiose fu dato principio nell’anno 1830 con l’escavazione del Primo Canale diversivo di Ombrone ; il quale fu aperto alle così dette Bucacce sulla ripa destra del fiume dirimpetto al Poggio Cavallo, in distanza di circa miglia toscane 2 e 1/4 a levante di Grosseto. Dopo essere stata rinforzata la ripa dell’Ombrone con un riparo a botti presso la cateratta del Ximenes , fu costruito all’apertura del nuovo canale un robusto dentello ed una steccaja obliqua alla corrente del fiume, in guisa tale che il dentello spinge nel canale il filone delle acque nei tempi di piene, mentre la steccaja obbliga ad introdurvisi le acque del fiume medesimo, allorchè sono esse al pelo ordinario.
    Questo Canal diversivo , che ha 5 miglia di lunghezza in una larghezza di 28 braccia all’orlo, e 14 alla base, giunge nel padute al punto denominato Lago Boccio , o Trogone di Barbanella . Esso è attraversato da tre solidi e bellissimi ponti di legno con pignoni di materiali, due dei quali situati sulle strade regie di Scansano, e di
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    Siena, e il terzo su quella provinciale di Massa, mentre due altri ponti nuovi di simile costruzione cavalcano i torrenti della Fossa e della Bruna. – Tutto questo lavoro, che potrebbe credersi un’opera di molti anni successivi ed il ritratto di lunghe e straordinarie imposizioni, fu per maraviglia ordinato, diretto ed eseguito senza imposizione di alcun pubblico aggravio nel breve periodo di centosessanta giorni, dall’inverno alla primavera dell’anno 1830, mercè di un forte volere, di una vigile sorveglianza, di operose braccia e di una ben diretta esecuzione.
    Nello stesso primo Canale diversivo presso la svolta di S. Martino è stata costruita una cateratta di presa d’acqua, la quale mette in moto le macine di un mulino edificato presso l’antico nel luogo chiamato il Ponticino di Grosseto, nel tempo che le stesse acque giovano a rinfrescare e lavare i canali, nei quali scolano le cloache con tutte le altre immondizie della città.
    Il secondo Canale di diversivo fu aperto alla cateratta Ximenes, circa due miglia sotto al primo diversivo, mediante un’altra steccaja obliqua, che obbliga le acque a dirigersi nel padule quasi per l’istesso andamento dell’antico Canal Navigante al luogo detto la Padulina di Castiglione, che trova alla distanza di circa miglia 3 e 2/3 dalla suddetta cateratta.
    I risultamenti delle colmate ottenute fino al mese di maggio dell’anno corrente 1837 sono vistosissimi, per non dire superiori ad ogni espettazione. Avvegnachè la superficie del padule di Castglione della Pescaja, compreso lo spazio delle gronde che occorreva colmare per costituire il terreno di nuovo acquisto adeguatamente pendente al mare, nell’anno 1829 si estendeva a 33 miglia quadre. Della qual superficie nel mese di maggio del 1837 fu riscontrato che oltre 14 miglia quadre emergevano quasi dalle acque, e che poco mancava per giungere al desiderato completo risanamento e fisica riduzione di quella stessa porzione di padule, onde poterla convertire in un suolo coltivabile
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    ed innocuo. – Vedere PADULE DI CASTIGLIONE.
    Oltre l’emissario antico del padule alla fiumara di Castiglione sono stati aperti nel 1833 due altri rami di sbocco; uno pei quali è contiguo al ponte delle cateratte mobili per il più facile scarico delle acque del padule chiarificate; L’altro emissario, denominato di S. Leopoldo , è stato scavato nel tombolo di Castiglioue fra la torre di S. Rocco e quella delle Marze . Esso è cavalcato da un solido ponte con porte a bilico e scatto, Attualmente in costruzione, il quale meccanismo ha per oggetto d’impedire la malefica promiscuità delle acque marine con le palustri, mentre quest’ultimo emissario, a riduzione completa del padule, dovrà servire di continuazione sino al mare dell’alveo della Bruna che ora spaglia le sue acque nel padule a dirimpetto.
    Bonificamento per essiccazione . – Il Lagacciuolo Bernardo , detto anche lago del vescovo per essere di pertinenza di quella mensa, è stato prosciugato totalmente col rettificare e approfondare il suo emissario (fosso Molla ), che va pur esso a perdersi nel padule maggiore di Castiglione dopo un cammino di circa 3 miglia da greco a libeccio. Tale operazione idraulica può dirsi il compimento di quella stata già incominciata dal Ximenes, mercè cui una gran parte del Lago Bernardo per essiccazione si bonificò.
    Per egual modo il padule dell’Alberese posto sulla sinistra dell’Ombrone, ma dentro i confini della comunità di Grosseto, e stato intieramente disseccato coll’apertura di opportuni scoli alle acque che ivi stagnavano.
    Io non parlerò delle altre opere idrauliche che per munificenza sovrana contemporaneamente a queste del territorio grossetano si eseguiscono nei minori paduli di Scarlino e di Piombino, e nel lago di Rimigliano.Ne starò neppure a noverare i molti lavori architettonici, non le varie strade regie e provinciali che si aprirono, o riordinarono, non i numerosi e marmorei ponti che s’innalzarono
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    per le Maremme, dovendo io qui limitarmi alle opere recentemente eseguite nella città e distretto grossetano. È d’uopo bensì di aggiungere, che per provvedere la capitale della Maremma di acque fresche e salubri, l’Augusto Regnante nel 1830 fece trasportare nella piazza maggiore di Grosseto una di quelle grandi macchine, con le quali si trivellano i così detti pozzi artesiani. L’opera sortì un tale effetto che, dopo un cotante lavoro di più mesi, la trivellazionè del suolo essendo penetrata alla profondità di circa 210 braccia, scaturirono di sotto a quell’immenso deposito antidiluviano e postdiluviano copiose acque potabili dolci e perenni, le quali salirono fino a otto braccia sotto il livello attuale di Grosseto.
    Due trombe circondate da un vago tempietto gotico lavorato col ferro fuso ai forni di Follonica indicano alle generazioni viventi e future uno dei tanti e sommi benefizii di Leopoldo II a favore della popolazione di Grosseto.
    Fra i provvedimenti importanti e contemporanei alle opere sopraccennate non devonsi omettere quelli relativi alla edificazione dei macelli lungi dalla città di Grosseto, il riordinamento e il lastrico delle strade interne, la costruzione più regolare e completa delle fogne, la riduzione ad ameno passeggio pubblico dei bastioni, che circondano la città, e le distese piantagioni di alberi che fiancheggiano e adombrano le pubbliche vie suburbane.
    Alle quali cose sono da aggiungere i miglioramenti ordinati ed eseguiti a spese della comunità di Grosseto e dei particolari, incoraggiti dall’esempio e dalle beneficenze del magnanimo Principe, il quale facilitò loro ogni mezzo d’industria con saggi provvedimenti per la ripartizione delle proprietà fondiarie, e col destinare Grosseto centro di un più vasto Compartimento, e sede di un Tribunale collegiale civile e criminale, quivi stabilito al principio dell’anno che corre 1837.
    Per l’istruziane della gioventù vi è un maestro comunitativo per le scuole elementari, un altro che insegna la lingua latina e le belle lettere. La Teologia morale vien dettata da un canonico della cattedrale. Si mantengono due alunni secolari nell’università
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    di Siena, e due altri nel seminario di quella città per il chiericato.
    La comunità di Grosseto mantiene un medico e un chirurgo condotti con l’obbligo di fare il servizio anche allo spedale.
    Fra gli ufizj pubblici di sopra accennati che risiedono in Grosseto debbo aggiungere quello di una cancelleria comunitativa, la quale abbraccia le comunità di Grosseto, di Castiglion della Pescaja, di Magliano e di Scansano . Altronde non esiste costà, come fu detto in principio, un comandante militare della Provincia, ma sibbene un comandante della piazza e del littorale, che e pure il Maggiore del terzo battaglione dei Cacciatori volontarii.
    La biografia di Grosseto in poche linee si chiude. – In santità può nominarsi il beato Andrea da Grosseto minore osservante; in dignità, Mons. Francesco Boldrini prelato alla Corte di Vienna; in arme Giuseppe Ariosti che militò sotto il principe Eugenio di Savoja, e fu generale della Casa d’Auslria; in lettere quell’Andrea da Grosseto che tradusse in Parigi in lingua italiana prima del 1280 i Trattali di Albertano da Brescia, un codice del quale conservasi nella biblioteca Magliabechiana di Firenze, in scienze fisiche potrebbe Grosseto vantare un suo benemerito medico in Gio. Antonio Pizzetti, che tenne cotesta città per sua seconda patria, se la Terra dell’Abbadia S. Sal vadore non lo rivendicasse come suo al pari dell’autore delle Antichità toscane , Pietro Paolo Pinzetti di lui fratello. finalmente in giurisprudenza, in politica, in erudizione sacra e profana supplisce per molti il nome di Giovanni Valeri, morto in Siena nel 1827, e il di cui sepolcro esisiste nel duomo di Grosseto.

    Movimento della popolazione della città di GROSSETO a tre epoche diverse, divisa per famiglie.

    ANNO 1640: Impuberi maschi -; femmine -; adulti maschi -, femmine -; coniugati dei due sessi -; ecclesiastici -; numero delle famiglie 238; totalità della popolazione 1340.
    ANNO 1745: Impuberi maschi 85; femmine 70; adulti maschi 68, femmine 100; coniugati
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    dei due sessi 270; ecclesiastici 55; numero delle famiglie 212; totalità della popolazione 648.
    ANNO 1833: Impuberi maschi 278; femmine 245; adulti maschi 684, femmine 257; coniugati dei due sessi 822; ecclesiastici 35; numero delle famiglie 452; totalità della popolazione 2321.

    DIOCESI DI GROSSETO. – Dalla etrusca città di Roselle nacque Grosseto, come da Fiesole ebbe vita e si elevò al rango di capitale Firenze. Ma se le reliquie di Roselle al pari di quelle di Fiesole furono dai re d’Italia donate ai loro vescovi, non può dirsi pertauto che eguale sia stata la loro sorte. Avvegnaché Fiesole si mantenne costantemente sede di una giurisdizione episcopale, nel tempo che Firenze cresceva d’importanza politica, civile ed ecclesiastica, quando Roselle era divenuta una macìa di sassi, e mentre Grosseto andava accorciando e restringendo ognora più il territorio e le giurisdizioni in essa trasfuse dalla sua vicina e un dì celebre città.
    Quando fosse inviato a Roselle il suo primo vescovo è tuttora ignoto, e forse niuno lo saprà mai; giacchè assai poche sono le città, delle quali possa dirsi l’epoca precisa e indubitata del loro primo Pastore; nè di Roselle si conosce il più antico di ( ERRATA: quel Rolando) quel Vitelliano che nell’anno 499 assistè al Sinodo romano tenuto dal Pont. Simmaco.
    Ho già avvertito altrove (Vol. II pag. 117) essere prevalsa l’opi nione, che nelle antiche diocesi la giurisdizione episcopale seguisse l’andamento della civile, e che comuni fossero i termini all’una e all’allra potestà. Contuttociò niuno potrebbe assicurare, se dal tempo dell’istituzione dei vescovati fino all’età in cui cominciano a comparire i documenti delle respettive diocesi, fossero accadute riforme territoriali per la parte civile, oppure per quella ecclesiastica.
    Nell’ipotesi pertanto che all’epoca de’Longobardi stassero sempre fermi i limiti della diocesi ecclesiastica di Roselle, non possiamo ricordarne altri fuori di quelli che dal lato di grecale avvicinavano la rosellana con la diocesi aretina, i quali confini dovevano incontrarsi sopra
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    l’imboccatura dell’Orcia nell’Om brone.Conciossiachè nella deposizione dei testimoni esaminati in Siena dell’anno 715 per ordine del re Luitprando relativamente a molte pievi del contado senese dipendenti dal vescovo di Arezzo, parmi di vedere in quell’esame, che si tratti anche del confine della diocesi aretina con quella rosellana ; al meno se si voglia concedere, che in quel rogito il notaro scrivesse per abbreviatura fines Rusanas invece di fines Rusellanas , e che l’amanuense dopo tre secoli trascrivendo quel deposto, interpetrasse fines Pisanas . Infatti nell’accennata procedura fra i testimoni esaminati fu un tale Fiorentino prete della pieve di S. Restituta in Val d’Orcia, il quale asserì che, quando mancava il vescovo in Arezzo egli prendeva il crisma da Siena o da Roselle. Quindi interrogato lo stesso vescovo rosellano Gaudioso, depose, che molte volte pregato dal vescovo aretino, egli aveva ordinato preti, consacrato altari e battisteri di quella diocesi; e per la stessa ragione di vicinanza fu pure interrogato, e sentito l’asserto di Fabrone chierico del confine Rosellano . – Che poi la diocesi aretina dalla parte di Val d’Orcia si estendesse usque in Sancto Angelo fine Pisana
    (leggo Rusana ) lo attestava un altro chierico, per nome Alerato, quando depose, che la diocesi di S. Donato si estendeva da quella parte al di là di Sancta Matre Ecclesia in Mensolas (che era l’antica pieve di Montalcino esistente un miglio a levante della città) usque in S. Angelo a Bollenis fines Pisana, (correggo fines Rusellanas ) et usque in S Maria in fundo Sexta . Conforme alla precedente fu la deposizione fatta davanti al regio Gastaldo da un terzo chierico, cioè da Romano nativo del castel Policiano.
    Donde conseguirebbe, che nel principio del secolo VIII la diocesi di Roselle probabilmente confinava verso S. Sigismondo ed
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    il Poggio alle Mura con la diocesi aretina, mediante la pieve esistente tuttora di S. Restituta e quella di S. Angelo a Bollenis , del qual ultimo plebanato faceva parte l’oratorio di S. Maria in fundo Sexta . – Vedere Angelo (S.) in Colle; Di costà passando alla sinistra del fiume Orcia doveva sottentrare a confine la diocesi di Chiusi, con la quale questa di Roselle dirigendosi a scirocco di conserva con la diocesi chiusina rimontavano insieme, verosimilmente per il torrente Ribusieri , sui poggi a maestro di Monte Labro; cioé, fra Monticello, giù della diocesi chiusina, e Cinigiano che fu della diocesi rosellense e poi della grossetana. Su quella montuosità terminando i confini colla diocesi di Chiusi, incominciavano quelli con la giurisdiziaue di Sovana con la quale la diocesi di Roselle scendendo di conserva per uno dei canali delle Melacce , e di la, dopo attraversati i torrenti del Trasubbie , inoltrandosi verso ostro fra Monte Po e Monte Orgiali, abbracciava quest’ultimo paese, come rileverò fra poco, per salire la giogana dei monti a ponente di Scansano. Di costà continuando il cammino verso libeccio per i poggi che separano la valle dell’Ombrone da quella dell’Albegna, passava verosimilmente per Montiano Vecchio , l’Alberese e l’Uccellina, tracciando a un dipresso gli attuali confini australi della comunità di Grosseto, per arrivare finalmente fra Colle lungo e Calafuria sulla riva del mare.
    Sebbene languido, pure forniscono un qualche lume atto a corroborare la sopra espressa congettura, prima di tutto la bolla del Pont. Pio II del 13 agosto 1462 relativa alla fondazione del vescovato di Montalcino, cui assegnò cinque pievi della diocesi di Grosseto, cioè, Camigliano, Argiano, Poggio alle Mura, Porrona e Cinigiano . In secondo luogo per ciò che riguarda la parte attualmente compresa nella diocesi di Sovana staccata in tempi ignoti dalla diocesi di Roselle, porge
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    un qualche indizio la bolla del Pont. Clemente III del 12 aprile 1188 a Gualfredo vescovo di Grosseto, alla cui giurisdizione confermò i diritti che la sua mensa aveva nel castello e distretto di Monte Orgiale e nel distretto di Monte Calvi .
    In quanto spetta alla chiesa e abbazia di Monte Calvi, che fosse essa realmente sotto la giurisdizione dei vescovi di Roselle, lo manifesta un privilegio concesso nel 1101 da Ildebrando vescovo Rosellano all’abate di quel monastero, in favore del quale rinunziò a tutte le decime diocesane. Ma più chiaramente lo dicono le lettere monitorie scritte nel 1121 dal Pont. Callisto II al vescovo rosellano, quando questo ricusava di mantenere le elargizioni e privilegi stati concessi a quei monaci rapporto alle decime e al diritto di sepoltura. (Ughelli, in Episc. Rosell. )
    Altronde difficilmente uno si persuaderà, che la diocesi di Sovana estendesse la sua giurisdizione sino presso le mura di Roselle, come avrebbe dovuto accadere se il corso dell’Ombrone avesse costantemente formato, nella guisa che ora vediamo, il limite fra le due diocesi; e ciò nel tempo che il distretto comunitativo di Grosseto s’innoltrava, come attualmente, sulla parte sinistra del medesimo fiume sino a quattro e cinque miglia lungi dall’attuale perimetro diocesano.
    In quanto ai confini della stessa diocesi con quella di Populonia, ossia di Massa Marittima, dalla parte di libeccio, furono segnalati dal Pont. Gregorio VII in una bolla spedita li 20 nov. 1075 a Guglielmo vescovo di Populonia. Dalla quale resulta, che il corso del fiume Alma serviva di limite fra le due diocesi; in guisa che dal mare rimontava i poggi a ponente di Grosseto per la strada d’Alma passando per Else, per Pietra Bianca (forse il diruto castel di Pietra) e per altri luoghi ora ignoti.
    Dal lato poi di maestro la diocesi di Roselle confinava e sempre confina l’attuale di Grosseto con quella Volterrana salendo
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    verso le sorgenti della Merse, fra i monti di Prata e quelli a settentrione di Boccheggiano, lungo la cui criniera dirigevasi verso levante nel vallone della Farma sino verso Petriolo, dal lato di settentrione dove anticamente sembra che entrasse a confine con la diocesi di Siena. L’ultima delle quali nei tempi posteriori dovè oltrepassare gli antichi suoi limiti, e penetrare nella vallecola del Lanzo sino a Paganico, giacché fra le altre chiese di quella vallecola l’abbazia dell’Ardenghesca, ora spettante alla diocesi di Siena, apparteneva a quella di Grosseto.
    Sotto il vescovo rosellano per nome Rolando, che alcuni hanno erroneamente creduto essere asceso (anno 1159) sulla cattedra pontificia col nome di Alessandro III, la sede da Roselle fu trasferita in Grosseto; comecchè per alcun tempo i vescovi Grossetani tenessero bene spesso la loro residenza nel vicino castello d’Ischia, o Istia sull’Ombrone, dove essi avevano un palazzo, le di cui rovine attestano tuttora una qualche magnificenza.
    Se si dovesse tener dietro a una tradizione inveterata, si direbbe che dopo la presa di Roselle fatta dai Saraceni il vescovo ed i canonici da Roselle andassero ad ufiziare nel contiguo colle, denominato la Canonica , il quale giace tra il Poggio di Moscona e la città di Grosseto. Lo che tanto più è da credere in quanto che ruderi frequenti in quei dintorni danno per loro stessi a pensare, che ivi fossero antiche abitazioni; siccome vi si sono visti sino al secolo scorso gli avanzi di una chiesa piuttosto grande costruita di pietre lavorate. Se non che il nome di Canonica , solito ad indicare un luogo dove fu una parrocchia plebana, dovrebbe più verosimilmente riferire alla distrutta pieve di Noscona, della quale esistono documenti per fino al secolo XIV.
    In prova di che citerò fra gli aliri un appello fatto li 8 luglio del 1331 davanti a Donusdeo vescovo di Siena da Fr. Agostino di Grosseto priore del convento degli Agostiniani
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    di Sestinga contro una lettera di Cenni pievano della Pieve di Moscona vicario d’Agnolo vescovo di Grosseto, con la quale si avvertiva la popolazione di Colonna, che i frati di Sestinga erano caduti nelle scomuniche fulminate dal Cardinal Giovanni del titolo di S. Teodoro Legato apostolico, per non aver quei Frati pagato alla mensa grossetana i soliti tributi. – (Arch. Dipl. Fior. Carte di S. Agostino di Siena ).
    Ecco frattanto una delle pievi state omesse nella bolla di Clemente III al vescovo di Grosseto, seppure il battistero di Moscona non fu eretto dopo il 1188. Checchè ne sia, nel secolo XII dovevano esistere varie di quelle cinque pievi rammentate nel 1462 dal Pont. Pio II, allorchè le staccò dalla diocesi grossetana per darle alla nuova di Montalcino. – Ne, tampoco la bolla del 1188 fa parola della pieve di S. Giovanni di Cajano, o Ancajano, che fu nella vallecola del Lanzo, la quale esistere doveva non molto lungi da Paganico, essendochè la chiesa parrocchiale di Monte Verdi sull’Ombrone era una delle sue filiali.
    Così la soppressa badia di S. Lorenzo dell’Ardenghesca sotto Civitella, quantunque dopo la metà del sec. XV sia stata compresa nella diocesi di Siena, apparteneva, come dissi poco sopra, a quella di Grosseto, dimostrandolo molti privilegi pontificii e altre membrane appartenute a quel cenobio.
    Non esiste attualmente nè in Grosseto nè in tutta la sua diocesi alcuna grancia, convento o badia, mentre non meno di 18 monasteri si contavano anticamente nella stessa giurisdizione. Tali erano:
    1 La Badia de’Benedettini, poi dei Canonici Regolari Leccetani di S. Lorenzo dell’Ardenghesca, soppressa nel 1790.
    2 La Badia de’Benedettini, poi dei Cistercensi di S. Maria dell’Alberese, all’Uccellina , da lunga mano diruta.
    3 Quella di Grosseto sotto il titolo di S. Fortunato dello stesso Ordine,ceduta ai Frati Minori vivente S. Francesco; ed il cui monastero venne in parte demolito al tempo della costruzione delle nuove mura
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    della città. Soppressa nel principio del secolo XIX.
    4 La Badiola di S. Pancrazio del Fango de’Benedettini, poi de’Guglielmiti, stata eretta in commenda dal Pont. Pio II per la famiglia Concini, quindi assegnata alla Religione di S. Stefano papa e martire. Nel 1717 sussisteva ancora colà una chiesa dedicata a S. Libertesca.
    5. Badia di S. Bartolommeo di Sestinga presso Colonna, prima de’Benedettini, poi degli Agostiniani Romitani. Soppressa sul declinare del secolo XVIII, quando era già stata abbandonata dai claustrali.
    6 Convento, o Eremo di S. Guglielmo fra Tirli e Castiglion della Pescaja; casa generalizia dei Guglielmiti. Diruto.
    7 Badia di Giugnano dei Cistercensi di S. Galgano, poi Eremo degli Agostiniani. Da lunga età diruta nel distretto di Rocca Strada. – Vedere Giugnano.
    8 Monastero dei Camaldolensi presso Montecucco. Diruto.
    9 Monastero di S. Stefano dell’Ordine Cistercense, presso il Castello del Sasso di Maremma, e Grancia di S. Bartolommeo a Galliano sotto Campagnatico. Entrambi da più secoli distrutti.
    10 Convento di Agostiniani a Tirli. Soppresso sul cadere del secolo XVIII.
    11 Convento di Agostiniani a Scarlino. Soppresso nel principio del secolo XIX.
    12 Convento di Agostiniani Eremiti sotto il titolo di S. Antonio in Val d’Aspra, nel popolo di Casale di Pari. Diruto.
    13. Convento di Agostiniani sotto il titolo di S Lucia sotto Batignano. Fu ridotto ad ospizio, allorchè dalla Graduchessa Cristina di Lorena venne eretto il seguente.
    14 Convento di S. Croce presso Batignano, prima abitato dagli Agostiniani, poi dai Minori Osservanti di S. Francesco. Soppresso nel principio del secolo XIX.
    15 Convento di Francescani minori Osservanti presso la porta di Castiglion della Pescaja. Da qualche tempo diruto.
    16 Convento di Osservanti detto la Nave , presso Mont’Orsajo. abbandonato nel 1751.
    17 Convento di Osservanti a Monte di Muro presso Scarlino. Diruto.
    18 Monastero di Benedettine in Grosseto, poi di Francescane. Totalmente demolito all’occasione che vennero rifabbricate le mura
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    di detta città sotto il Granduca Francesco I. Ne fu però costruito un altro in vicinanza dell’antico, che venne soppresso sul declinare del secolo XVIII.
    Non meno di 14 sarebbero le pievi della diocesi di Grosseto, delle quali si e perduta la memoria, e perfino di molte ignorasi la esatta ubicazione. – Sono di questo numero:
    Le Pievi di Rocca, di Alma, di Padule, di Bagnolo, di Civita, di Caminino, di Fornoli, di Martura, di Morrano, di Pugna, di Tobiano, di Lattaja, di Moscona e di Ancajano.
    Fra le parrocchie soppresse da più di un secolo sono la Pieve a Lattaja, e le cure di S. Andrea e di S. Lucia in Grosseto. – Di quella di S. Giorgio, che dava il nome a uno dei Terzi della città, non trovo più memorie dopo la metà del secolo XIV. Quella che diede il vocabolo al Terzo di S. Michele a Grosseto fu soppressa sotto il G. D. Leopoldo I. – Appartiene a quest’ultima epoca la soppressione della parrocchia di S. Maria a Campagnatico, di S. Marta a Colle Massari, di S. Leonardo a Belagajo, di S. Donato a Scarlino, di S. Stefano a Monte Pescali, e di S. Antonio alla Torre della Trappola.
    La diocesi attuale conta 26 parrocchie, 25 delle quali plebane, compresa la cattedrale di Grosseto. Quest’ultima aveva i suoi canonici fino dal 1143, siccome è stato da noi di sopra avvisato.
    Dodici Canonici, fra i quali il Preposto unica dignità del Capitolo e Pievano nato dell’antica chiesa matrice di Grosseto, nove Cappellani compreso il sagrestano, e sei chierici stipendiati dall’Opera formano attualmente il Clero della cattedrale di Grosseto.
    Il patrimonio dell’Opera di S. Ilaria di Grosseto, cui fu riunito quello della diruta chiesa di S. Lorenzo di Roselle, era una volta pinguissimo. Desso fruttava annualmente sopra 70000 lire toscane, giacchè quell’Opera possedeva di soli terreni circa 96000 stiora di suolo, di cui un quarto formava la bandita del Tombolo
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    fra l’Ombrone e la fiumara di Castiglione, il padule e la riva del mare. Cotesto latifondo fino dall’anno 1592 fu assegnato in dote all’Ufizio de’Fossi . – Per il restante l’Opera suddetta fu obbligata dalle leggi veglianti sulle mani-morte ad allivellare tutti i possessi immobili, dai quali ne ritrae una rendita di circa lire 11000.
    A tenore dello Statuto di Grosseto erano devolute all’Opera le sostanze di coloro che fossero mancati senza eredi legittimi.
    Fra i vescovi di Grosseto che meritano particolare menzione sono da contarsi:
    1º Fra Giacomo Tolomei Minore Conventuale, nunzio di Urbano VI e predicatore della Crociata contro l’antipapa Clemente VII. Il quale vescovo però implicatosi in una congiura contro la Repubblica senese, morì nascosto e ramingo dalla sua sede e dalla patria.
    2º Il Cardinale Antonio Casini, vescovo di Siena il quale teneva in amministrazione anche il vescovado di Grosseto.
    3º Il Cardinale Giuliano Cesarini di molta dottrina ed esperienza negli affari ecclesiastici, che specialmente si adoperò nel concilio Ecumenico di Firenze per l’unione delle due chiese; e che ottenne esso pure in commenda la diocesi di Grosseto.
    4º Il vescovo Claudio Borghese celebrato per erudizione dall’Arcivescovo di Siena Francesco Piccolomini suo maestro.

    COMUNITA’ DI GROSSETO – La superficie territoriale di questa Comunità occupa 118,956 quadr. agrarii, dai quali sono da detrarre 2,957 quadr. per strade, per corsi d’acque e canali. – Vi era nel 1833 una popolazione fissa di 2732 abit. corrispondente repartitamente a circa 19 individui per ogni miglio quadr. di suolo imponibile; compresi però nella stessa superficie anche i paduli, laghetti e paduline in attuale bonificamento.
    Il territorio comunitativo di Grosseto presenta la figura di un trapezio, uno dei quali da ostro a libeccio confina col mare, mentre gli altri tre trovansi a contatto con 5 comunità del Granducato.
    Dal lato volto a ponente-maestro tocca la comunità di Castiglion della Pescaja, a partire dietro alle case poste sulla sinistra
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    del porto; di dove, rimontando la fiumara, rasenta la gronda occidentale del padule di Castiglione sino allo sbocco in esso del torrente Bruna . Costà subentra la comunità di Roccastrada, con la quale l’altra di Grosseto piega da ponente a settentrione passando insieme per la colmata degli, Acquisti sotto Monte Pescali, finchè entrano nel torrente della Fossa, col quale nella direzione di grecale salgono sopra i poggi di Batignano. In cotesto angolo del terrilorio Comunitativo di Grosseto viene a confine la Comunità di Campagnatico, con la quale la prima voltando da settentrione a scirocco attraversa la strada che da Batignano guida a Montorsajo, quindi tagliando la strada R. senese, passa dietro il poggio Mortajo , lascia a ponente le rovine di Roselle, e scende per la vallecola delle Concie nel fiume Ombrone. Costà cessa la comunità di Campagnatico ed incomincia quella di Scansano, da primo mediante l’alveo tortuoso dell’Ombrone fino dirimpetto ad Istia, dove al sbocca il fosso Majano , che le due comunità rimontano di conservi alla sinistra dell’Ombrone per salire sul poggio di Cerralto. A cotesto punto cessa la comunità di Scansano, sottentrando quella di ( ERRATA: Maglia) Magliano, con la quale la nostra di Grosseto percorre nella direzione di grecale a libeccio il crine dei colli che separano la Valle dell’Ombrone da quella dell’Osa, passando a ponente di Montiano vecchio, e di là per il fosso Rispescia scendendo insieme nella pianara dell’Alberese, dove attraversano le vestigie dell’antica via Aurelia presso al bivio della strada R. Orbetellana con quella della Grancia. Costà finalmente, salendo il poggio dell’Uccellina, i territorii delle due opposte comunità rasentano quell’abbandonato cenobio, per scendere di là nell’opposta pendice fra Cala di Forno e Colle Lungo sino alla costa del mare. Da cotesto punto avviandosi dalla Bocca d’Ombrone, che e quattro miglia toscane al suo ponente, e di là sino al porto di Castiglion della
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    Pescaja che è altre 9 miglia a ponente-maestrale di detta foce, serve di confine il littorale toscano.
    Cinque strade regie, oltre quella intorno al pomerio di Grosseto, partono per 5 venti diversi dalla stessa città. A settentrione la R. senese ; a maestro quella per la Maremma di Massa , provvisoriamente tracciata per Monte Pescali; a ostro la strada R. Orbetellana ; a libeccio la strada di S. Rocco diretta alla marina, e a levante-grecale quella di Scansano .
    Dell’antica via Aurelia fu distrutto da pochi anni un residuo della solita sua massicciata lungo la macchia del Tombolo fra Castiglione, il padule e il fiume Ombrone, mentre poche tracce della medesima via consolare sussistono tuttora tra l’Alberese e Collecchio.
    Spettano alle comunitative rotabili la strada da Grosseto alla Grancia e a Montiano; quella che staccasi dalla R. Orbetellana per condurre lungo la ripa destra dell’Ombrone alla sua foce, e il tronco di strada che dalla stessa R. di S. Rocco lungo il Tombolo porta a Castiglion della pescaja.
    Fra i corsi d’acqua che entrano nella comunità di Grosseto, il maggiore e più copioso di acque ed il fiume Ombrone, il quale da primo rasenta, quindi attraversa la stessa comunità da grecale a libeccio. – Scende dal poggio di Batignano a settentrione di Grosseto il fosso Molletta ; e dai bagni di Roselle posti alle falde occidentali del poggio omonimo prende alimento il fosso della Molla , questo e quello tributarii del padule di Castiglione con altri fossi minori. Ivi presso parimente si scaricano, a maestro di Grosseto le acque del torrente Fossa ; poco più a ponente quelle della Bruna , e finalmente rasenta il suo confine occidentale l’alveo della Sovata.
    Più numerosi sono i fossi artificialmente aperti da due secoli e mezzo indietro sotto i nomignoli di fosso Martello, di fosso Navigante , fosso
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    Tunaro ec., molti dei quali divennero di poco, o di niuno effetto specialmente dopo che nell’anno 1830 fu aperto il primo canale diversivo, e tre anni dopo un secondo canale, quello al di sopra, e questo sotto alla città di Grosseto per ricevere nei tempi di piena le torbe dell’Ombrone e condurle in varia direzione a colmare il padule di Castiglione.
    Clima di Grosseto e della sua pianura . – È l’articolo più imbarazzante per chi volesse avventurarsi nell’investigazione delle cause sulla malsanìa di cotesta contrada: avvegnachè non vi è secolo, non vi è anno, non v'è quasi giorno che non si scrivano memorie, che non si facciano osservazioni, che non si pubblichino viaggi ed altre opere più o meno voluminose intorno al clima delle toscane Maremme. Pure ad onta di tutto ciò vi è ancora chi dubita, che la causa della malaria delle italiane Maremme si nasconda al pari del Cholera Morbus fra quei problemi di medicina fisica, cui non è dato ancora di poter risolvere.
    Il clima di Grosseto; al par di quello del suo vasto distretto, è generalmente temperato. Infatti dalle meteorologiche osservazioni instituite per il corso non interrotto di due anni da un dottissimo canonico grossetano, la di cui modestia m’inibisce di nominarlo, comecché molte ed importanti notizie a lui io debba, dalle osservazioni metereologiche, io diceva, può dedursi per resultato, che il termometro nell’inverno alla levata del sole in Grosseto segna due gradi più che quello dell’ osservatorio Ximeniano a Firenze, che a mezzo giorno è due gradi più alto, e che nell’estate il mercurio dell’istrumento medesimo resta inferiore di un grado almeno. – Lo stesso osservatore avvertì, che nelle mattinate d’aprile e di maggio a Grosseto il termometro dalla levata sino a tre ore di sole cresce di nove interi gradi, mentre di estate nelle ore meridiane resta inferiore di un grado ameno alla temperarura segnata da quello di Firenze.
    Il barometro a
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    Grosseto va ordinariamente d’accordo con il Ximeniano, delle Scuole Pie, oppure non ne differisce che di qualche decimo di linea.
    Le osservazioni igrometriche istituite in Grosseto dal prelodato canonico non abbracciano che lo spazio di un anno in circa; nel qual tempo due igrometri, uno fabbricato a Parigi e l’altro a Siena, non hanno segnato mai sotto il, grado 50º, mentre a Firenze l’indice dello stesso istrumento trovavasi sotto il gr. 30º– In generale l’igrometro a Grosseto di prima mattina è superiore a quello dell’osservatorio Ximeniano di 10 gr. almeno, e nelle ore meridiane lo vince di 20, di 30 e per fino di 35 gradi. Nell’estate del 1836 l’indice di quell’istrumento oltrepassò tutta la scala al di là del centigrado.
    Di non minore rilievo potrebbero essere le osservazioni igrometriche in una contrada cotanto maligna in estate al sorgere e tramontar del sole, se le analisi dei vapori della sera e del mattino potessero arrivare a scuoprire ai chimici ed ai fisici i principj sceptici e deleterii che restano per un certo spazio sospesi negli strati inferiori della maremmana atmosfera.
    È un fatto meritevole di esser convalidato da altri esempii consimili quello recentemente osservato dal dott. Bartoli, medico già da 18 anni in Grosseto, cioè, che gli abitanti dei piani superiori delle case più elevate nella suddetta città sembrano meno soggetti degli altri alle malattie endemiche del paese.
    Un’altra testimonianza viene offerta dalla maggior longevità nelle colonne, tostochè nel ventennio ultimo decorso vi sono stati due esempii poco comuni anche nei paesi più sani; avendo una donna vissuto 97 anni in Grosseto, e un’altra 102 anni in Buriano, paese il più screditato fra quelli che avvicinano il padule di Castiglione. – Erano quelle femmine vedove entrambe, ne uscirono giammai dall’agro Grossetano. Inoltre non è diflicile di trovare costà donne che abbiano avuto quattro, cinque e talvolta anche sette mariti, ma e ben difficile trovare uomini che si siano ammogliati più di due volte.
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    /> L'età media dei Grossetani fu computata dal Ximenes anni 19 e 1/2; mentre di soli 19 anni la valutò il dottor Gio. Antonio Pizzetti medico di un merito distinto, il quale esercitò con plauso la sua professione per anni 40 a Grosseto.
    Tutte le osservazioni sulla statistica medica di cotesta comunità tendono a dimostrare; 1º che si ammalano più maschi che femmine, più campagnuoli che cittadini, più adulti che impuberi; 2º che le malattie predominanti sono infiammatorie e gastriche, ma specialmente sull’avvicinarsi dell’autunno febbri periodiche
    di ogni tipo e carattere. Tali malattie endemiche sogliono essere in generale più frequenti negli anni, nei quali i calori estivi sono preceduti da invernata umida e rigida, precipuamente nei luoghi dove scarseggiano o mancano acque buone e potabili, e dove la nettezza delle strade, delle abitazioni e degli individui suole maggiormente trascurarsi.
    Acque stagnanti del territorio grossetano . – Il territorio della pianura di Grosseto fu più o meno sparso di acque lacustri e palustri, con tutto che sempre libero corresse al mare il fiume maggiore del contado senese; ma non sempre egualmente vasti, egualmente perniciosi all’umana economia furono i laghi e i paduli di questa stessa contrada. – Non è questo luogo opportuno per indagare, se il padule di Castiglion della Pescaja nei tempi antichi fosse stagno marino, o piuttosto una fiumana che spagliava le sue acque nella pianura a ponente di Grosseto, siccome lo farebbe congetturare il doppio nome di Amnis, e di Lacus Praelius o Prilis che gli fu dato. Dirò bensì che esso da gran tempo si rese uno dei più vasti fomiti d’infezione della Maremma grossetana, sia per la fermentazione putrida delle materie organiche che morivano nel suo bacino, sia per la miscela alle acque palustri delle saline e minerali che vi fluivano dai poggi di Moscona e di Batignano, sia finalmente per il suo letto coperto di torba o di cuora, cui trovasi sottoposto
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    un deposito conchigliare marino, che molti fisici sogliono riguardare come una delle cause della malaria maremmana.
    Sul qual proposito gioverà ch’io qua rammenti al lettore quanto dissi 14 anni addietro, allorchè furono pubblicate nell’Antologia di Firenze (agosto 1823) alcune mie osservazioni intorno al clima delle Maremme.
    “Se l’infezione dei paesi deve in gran parte ripetersi dall’impadulamento di acque, nelle quali infradiciano materie organiche, e dal concorso reciproco delle acque salse e termali con le palustri, e fuori di dubbio che, ad onta di certe anomalie le quali in ragion del clima cader possono in alcuni siti, il maggiore alimento dell’aria cattiva delle Maremme si nasconde nelle materie putride d'uno snodo coperto di frequenti ristagni e di salmastre lagune, donde nelle calde stagioni esalano pestilenziali vapori che poi, abbandonati a se stessi, ricadono sulla terra al levare e tramontar del sole.            
    Se inoltre si rifletta che un numero delle malattie contagiose o ha la sua sede, o maggiormente infierisce nelle regioni marittime, facilmente si scenderà nell’opinione di coloro i quali accordano una non piccola influenza ai venti che hanno lambito la superficie del mare prima d’attraversare terreni palustri ed immondi. Pertanto, come l’esperienza ne insegna, tali essere i venti salubri o nocivi quali sono i luoghi per dov’essi passano, ne conseguita, che un medesimo vento secondo la posizione dei paesi potrà avere diverse ed anche opposte qualità.”
    Quindi riescono perniciosissimi all’agro grossetano ed alla stessa città i venti di austro e di libeccio, questo perché dopo attraversato il mare lambisce e trascina verso Grosseto i vapori che nella calda stagione emanano dalla superficie palustre ed immonda dal padule di Castiglione; mentre quelli che vengono dal lato d’austro concorrono ad aggravarne i perniciosi effetti mediante il loro passaggio dal palustre lido di Talamone innanzi di penetrare per la gola dell’Alberese, la mescolanza dell’atmosfera marittima a quella terrestre impregnata di putride ed insalubri esalazioni. Infatti alcuni valenti medici nell’investigare le cause, per le quali
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    il contagio della febbre gialla suol limitarsi lungo le spiagge del mare, ne trovarono la cagione precipua nel miscuglio delle due atmofere, marittima e terrestre.
    Ad onta di tuttociò, nè queste nè altre consimili osservazioni potranno uscire dalla sfera dell’ipotesi se non allora quando sottentreranno in loro soccorso prove piu evidenti, e fatti meno contrastabili.
    Indole salmastrosa del suolo grossetano. – A rendere le paludi grossetane più malefiche potrebbe concorrere la natura
    del circostante suolo salmastro, non meno che i rifiuti delle acque salino termali che alle stagnanti finora si unirono.
    Tali sono, rapporto alla natura del suolo, quelle vaste piazzate di terreno sterile e coperto di efflorescenza salina, di cui si vedono le tracce perfino dentro i fossi delle fortificazioni di Grosseto, e principalmente nei bassi fondi della padulina fra il Tombolo di Castiglione e il suo padule.
    Non è pertanto difficile a detrarre da tutto ciò, come, e perchè il padule di Castiglione divenisse fetente e causa di malaria, specialmenie quando all’umidità del suolo si aggiungeva il calor solare. Il cratere che serve di bacino al padule ed alla pianura grossetana trovasi, come dissi, coperto di spoglie vegetabili (torba e cuora) e di sostanze marine, le quali allorchè sono profondamente ricoperte dalle acque conservansi quasi inalterate per l’azione del sale da cui il terreno è inzuppato, o per alcun altra di quelle cagioni che devono ritardare ed impedire la putrefazione, e renderne almeno gli effetti insensibili. Fra gli ostacoli alla putrescibilità primeggia la colonna d’acqua che ricuopre in interno quel terreno, mentre nell’estate la loro alterazione e putrescenza è dovuta all’alternante concorso dell’umidità e del calore estivo.
    È un fatto tristamente provato in luoghi di aria sanissima sul lido del mare, e specialmente nei porti, quello di vedere comparire in un clima di natura sua innocuo i piu micidiali effetti col solo esporre a contatto dell’aria una gran quantità di alga e altri prodotti organici rigettati dalle onde sul lido,
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    ossia delle materie limacciose scavate al fondo del mare, sulle quali le pioggie ed il sole abbiano stabilito una viva fermentazione, le di cui esalazioni sono capaci a spopolare e render malsane le più ridenti contrade.
    Una solenne conferma di ciò fu data sette anni fà dal March. Cosimo Ridolfi, allorchè nella pubblica adunanza dei 16 giugno 1830 all’accademia dei Georgofili descrisse i resultati chimici da esso ottenuti coll’analisi della terra depositata nel palude di Castiglione della Pescaja. La qual terra di natura argillosa e di salso sapore, era colorata leggermente in grigio‑ceruleo simile al mattajone dei terreni terziarii marini delle Valli dell’Elsa, dell’Era, dell’Arbia e dell’Ombrone, mentre esposta al contatto con l’aria nel disseccarsi soleva cuoprirsi d’una erborescenza salina. – Analizzata da lui diede di resultato per ogni libbra di terra denari 4 e gr. 8 di sal marino, piu grani 9 di sostanza vegeto‑animale eminentemente putrescibile. La qual ultima sostanza esposta all’evaporazione esalò, da principio un odore particolare disgustoso e ammoniacale, di poi grato e somigliantissimo a quello del brodo. Potè l’analizzatore accertarsi, che una densa soluzione in acqua della nominata sostanza vegeto-animale, non separata dai sali che accompagnano la terra, conservavasi in vaso appropriato senza corrompersi, e senza esalare cattivo odore; mentre separata dai sali, la stessa sostanza organica prontamente allegandosi cadeva tutta in preda di una decisa putrefazione.
    Chi sà dire frattanto, se a quest’ultima causa non sia da attribuirsi la malaria che sì respira in estate nel profondo vallone della Farma intorno ai bagni di Petriolo, a quelli di Macereto sul fiume Merse , alle terme di S. Filippo e di Vignone poste lungo il Formone e il fiume Orcia?– Senza aver dopo di rammentare altri paesi, bastano questi soli per far credere che la malattia maremmana non è circoscritta unicamente a luoghi vicini al mare e alle paludi, tosto che quelli testè citati, quantunque esenti da palustri ristagni, quantunque lontani dal lido e difesi
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    da venti marini mercè di un’alta barriera di poggi, ad onta di ciò, a Petriolo , a Macereto , S. Filippo, al Bagno a Vignone vi si acquista in estate al pari, e forse più facilmente che in Maremma, quella malattia che conoscevasi nell’agro romano sino dai tempi di Plauto col nome di morbo solstiziale ; quello stesso morbo, per il quale Tibullo avvertiva i suoi amici di non recarsi negli ardori dei mesi canicolari in Etruria a fare uso di quei bagni; (Tibull. Lib. III. Eleg . 5.) quel morbo, pel quale 150 anni dopo di Tibullo ne avvisava Plinio giuniore, che l’aria del littorale etrusco ( dal Tevere a Luni ) era grave e malsana. ( Epistol. Lib . v. Epist. 6).
    Contuttociò il clima maremmano fu migliore di oggidì, siccome furono i sopra nominati luoghi più abitati e assai più frequentati nella calda stagione da personaggi cospicui.
    Non è mia intenzione di aggiungere ipotesi ad ipotesi, e molto meno di filosofare su delle cause incerte, come quelle che po tessero aver contribuito a rendere sempre più micidiale la sofferta alterazione del suolo o dell’atmosfera delle già accennate contrade io credo bensì opportuno avvertire, che anche nelle Maremme l’infezione dell’aere sembra che di secolo in secolo abbia progredito in peggio al segno dà non ritrovarsi oggi quasi che poche o punte reliquie di varie castella, città, terre, rocche, pievi, monasteri, che colà esistevano tanto nel primo come nel medioevo, dei quali luoghi la storia moderna non ci ha conservato appena appena che i nomi.
    Il saper che innanzi il mille frequentavasi Roselle non solamente nei tempi estivi, ma che nel mese di agosto ivi si celebrava la festa maggiore della diocesi, la quale cadeva, come ognun sa, nel giorno di S. Lorenzo, titolare dell’antica cattedrale; il trovare in Roselle di settembre (anno 892) l’imperatore Guido con la sua corte; il vedere
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    per le Maremme di Grosseto e di Sovana gli eserciti di Federigo II (dal 1240 al 1245) nei tempi estivi accamparsi, ora davanti le mura di Sovana, ora intorno a Selvena, là dove oggidì non si passerebbe impunemente una notte d’estate; il sentire assediata fra l’agosto e il settembre (anno 1224) da poderosa oste senese la città di Grosseto, sotto alla quale nel 1328 nella prima metà di settembre stette a bivacco 4 giorni con le sue genti l’Imp. Lodovico il Bavaro; questi, e tanti altri fatti che qui tralascio, mi sembrano argomenti valevoli a dimostrare, che fra il nono ed il decimoquarto secolo i mali della Maremma non fossero cotanto maligni e perniciosi all’umana economia, siccome lo divennero sempre più nei tempi posteriori.
    Quantunque pero la costituzione geoponica ed atmosferica del littorale toscana sia andata deteriorando, ad onta che a tutto rigore manchino argomenti confacenti a dimostrare che, prima del dominio romano l’aria delle nostre Maremme fosse di rara bontà, contuttociò non dobbiamo spaventarci dei funesti pronostici fatti da chi troppo facilmente credulo nei poeti, creò i suoi vaticinii sopra argomenti tutt’altro che positivi. – ( Vedere la mia memoria intorno al clima delle Maremme nell Antologia di Firenze del 1823 ) .
    Se vi fu cangiamento di livello nel mare?–
    Nonostante che sia questo un quesito da mettere in campo piuttosto all’Articolo Littorale Toscano, pure mìi si richiamano qui specialmente alcune conclusiani emerse da un celebre architetto (il Car. Antonio Niccolini) dal quale nell’anno l829 fu pubblicato in Napoli un Rapporto sulle acque che invadono il pavimento dell’antico edifizio, detto il Tempio di Giove Serapide a Pozzuoli.
    Al testè nominato Niccolini parve di avere davanti agli occhi dei fatti incontrastabili per dedurre, che 4 diverse fasi siano accadute nel mare dopo l’edificazione del Tempio di Pozzuoli fasi (dic'egli) che potrebbero influire sulle rilevanti operazioni che in varie parti si praticano per lo miglioramento d’alcune Maremme, le quali
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    forse resistono alle benefiche cure dei respettivi governi per l’ostacolo medesimo del rialzamento del mare.
    Lascio da parte le speciose idee sopra una nuova teoria della terra messe in campo pochi mesi dopo dallo stesso autore ad oggetto di spiegare le cause di alcuni straordinarii accidenti fisici accaduti in un luogo, che Strabone a buon diritto appellava il Foro di Vulcano , e Plinio i Campi di Flegra . Per conseguenza non dovrebbe recar maraviglia se, per due volte avvallò il seno Bajano, vale a dire nel 1198, epoca dell’eruzione della Solfatara di Pozuoli , e uel 1538, epoca della comparsa del Monte nuovo, allorchè sparì la maggior parte del pescoso Lago Lucrino , quando porzione delle sue acque si arrestarono nell’avvallato terreno che circondava le tre superstiti e già semi‑sepolte colonne del tempio di Serapide a Pozzuoli . Tuttociò armonizzerebbe con la storia fisica di quella vulcanica contrada: ma che tali fenomeni siano stati comuni a tutti i littorali del Mediterraneo e dell’Oceano, questo è quello che non resiste a una giusta critica, e che sta in contradizione dei fatti segnalati dai geografi, dai portalani, e dagl’istorici di tutta Europa.
    Sebbene in varii tempi e in diversi luoghi molti naturalisti abbiano istituito sul lembo delle coste osservazioni periodiche ad oggetto di rischiarare un punto di geografia fisica importantissimo per ciò che spetta al ritiramento o avanzamento dei mari, ciò non ostante quelle eseguite finora nei diversi bacini dell’Europa non hanno fornito risultamenti che possano dirsi fra loro corrispondenti e concordi.
    È altresi vero che le indagini fatte intorno al mare Mediterraneo, e nella parte superiore dell’Adriatico, potrebbero servire di appoggio all’opinione di quelli che sostengono il rialzamento piuttosto che l’abbassamento del mare; ma è altrettanto vero che anche all’epoca attuale esistono delle cause tendenti ad accrescere progressivamente la spiaggia del littorale toscano, ch’è di sua natura inclinatissimo all’orizzonte, massimamente nelle grandi pianure e in vicinanza alla
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    foce dei fiumi. Basterà di dare un’occhiata al periplo dell’Italia antica per convincersi che la porzione delle Maremme toscane più vicina al lido fu già un fondo di mare, stato aggiunto al continente della penisola in un’epoca che la geologia suole appellare recentissima, perchè è l’opera naturale, costante, progressiva dell’abbassamento dei monti, e delle materie che le acque correnti seco trascinano col rialzare la sottostante pianura, ed eccrescere la spiaggia a furia di tomboli o dune parallele fra loro, e così respingendo sempre più lungi le acque del mare.
    In quanto agl’interrimenti recentissimi del littorale di Grosseto ne abbiamo fra le altre una prova evidentissima alta foce dell’Ombrone, il di cui fiume a memoria di uomini fu visto protrarsi circa mezzo miglio dentro le onde.
    Ma che il livello del mare toscano dall’E. V. in poi abbia sofferto una sensibile alterazione, questo è quello che non trovasi concorde al vero, e che non stà in armonia con la topografia fisica, nè con le vicende istoriche della Toscana littoranea.
    Se si tiene per dimostrato che, ai tempi di Cicerone e di Tito Livio il fiume Ombrone ed il lago Prelio , ossia di Castilione, fossero accessibili ai navigli che vi penetravano dalla parte del mare, bisogna egualmente accordare che il livello di quest’ultimo fu poco diverso, se non più elevato, di quello che oggi apparisce. Avvegnachè, se attualmente da Grosseto alla foce d’Ombrone contasi una pendenza di circa br. 2 e 1/2 per migl., se il corso dell’emissario alla fiumara di Castiglione fu riscontrato rapido anzi che pigro, sarebbe difficile cosa oggidì senza il soccorso di mezzi meccanici ai bastimenti il poter sormontare le stesse foci. Questi soli due fatti piuttosto che favorire starebbero a scapito del preteso rialzamento del mare, qualora non si riflettesse che gl’interrimenti della spiaggia sono comuni al rialzamento della pianura che l’avvicina. – Ognuno di noi infatti potrebbe riscontrare tuttora esser tale, siccome lo fu 4
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    secoli indietro, cioè sparso di piccoli scogli a fior d’acqua, il giro esteriore del promontorio Argentaro, intorno al quale nell’ anno 420 costeggiò descrivendolo Rutilio Numaziano. Ognuno può ritrovare lo stagno salso d’Orbetello tale quale fu visitato 18 e più secoli indietro dal geografo Strabone. Che se fosse giammai avvenuto da quell’epoca in poi alcuna fasi sensibile nel livello del mare Mediterraneo, sarebbe indubitatamente succeduto, nei casi di depressione di livello, il prosciugamento dello stagno di Orbetello, come quello che è di fondo bassissimo; mentre nel caso contrario, supponendo che il livello del mare si alzasse più di quello che lo è, o più di quello che lo fu dalla fondazione del paese di Subcosa, lo stesso luogo (corrispondente alla città di Orbetello) sarebbe rimasto in gran parte sommerso dalle onde.
    Nulla dirò dei paesi littoranei situati a ponente della provincia grossetana, dovendone io far parola ai loro respettivi articoli; solamente avvertirò qui, che anche all’età nostra sull’ingresso del piccolo porto di Vada sussistono due secche a fior d’acqua che servono a quello scalo di dubbioso ingresso, nella stessa guisa che ce lo dipinse il poeta Rutilio, allorchè vi approdò con la sua feluca.
    Dopo questi pochi esempi, cui si potrebbero aggiungere varii altri da vedersi all’Articolo Littorale Toscano, sarà forza encludere, che il mare Mediterraneo dall’Era cristiana in poi non ha variato sensibilmente di livello, e che in conseguenza non deve avere meno che per via indiretta influito, nè può da esso dedursi alcuna cosa sulla deteriorata condizione fisica delle Maremme; intendo dire a cagione delle dune, o tomboli stati respinti dalle onde tempestose lungo il littorale, e la di cui barriera bene spesso impedisce il libero scolo delle acque piovane che ivi si arrestano, e spesse fiate con le acque dei flutti marini si promiscuano a danno evidente della umana economia nei tempi estivi.
    Le antiche saline esistite presso la bocca di Ombrone, e quelle situate fra la torre delle Mazze
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    e la fiumara di Castiglione, sono state, prima quelle, poi queste, abbandonate, sul riflesso che le Moje volterrane, e le saline di Porto Ferrajo Somministrano tanto sal gemma e sal marino da supplire ai bisogni interni e da soddisfare al commercio esterno della Toscana. – Vedere MOJE VOLTERRANE.
    Esistono bensì, e furono nel 1823 in miglior forma riedificate dal Granduca Ferdinando III le terme Rosellane a piè del poggio occidentale di Moscona, 3 miglia circa a settentrione di Grosseto.
    Fra i molti più elevati della comunità di Grosseto uno è quello dell’Uccellina, la cui elevatezza calcolata dalla cima del campanile di quell’abbandonato cenobio fu riscontrata dal ch. astronomo prof. Inghirami in quel punto a 564 braccia sopra il livello del mare.
    Il territorio dì questa comunità è formato di quattro antichi comuni, distinti coi nomi dei loro capoluoghi: cioè, Grosseto, Batignano, Istia, già Ischia e Roselle, Grancia con l’Alberese .
    Il distretto della Grancia ed Alberese posto dalla parte sinistra dell’Ombrone, e il più deserto d’abitatori: avvegnachè i lavoranti di quelle tenute, o sono avventizii, o vengono a pernottare in Grosseto. – Il Poggio Cavallo , quelli di Monte Calvi , dell’ Alberese e dell’ Uccellina situati tutti a levante del fiume Ombrone, sono coperti nella maggior parte da una calcarea semigranosa attraversata da frequenti filoni di ferro e di manganese, che comunicano a quella roccia un aspetto di marmo venato di tinta ora grigia ora cupa ed ora persichina. Sono della formazione medesima i poggi della Canonica , di Moscona e di Roselle situati alla destra del fiume, ma la roccia calcarea di questi ultimi trovasi più latamente squarciata e quindi ripiena da filoni di spato calcareo cristallino. Esistono in cotesti poggi, specialmente sulle pendici occidentali, dei potenti banchi di breccia calcareo‑silicea composta di ciottoli e ghiaja di alberese e di pietra cornea agglutinati da
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    un cemento siliceo e talvolta non ancora bene collegato, in guisa che scavati si prestano utilmentente per rifioritura alla massicciata delle pubbliche strade.
    Tali sono quei banchi che incontransi lungo la strada R. senese sui monti di Batignano e di Mont’Orsajo. La struttura di essi consiste in una roccia calcarea ora compatta, ora cavernosa, alla quale subentra, nelle pendici inferiori, un travertino poroso (calcarea concrezionata), la cui formazione per un gran tratto propagasi dal poggio di Roselle verso la pianura grossetana.
    In quanto spetta alla formazione geognostica del suolo di Grosseto un bel monumento è stato di recente somministrato alla scienza dalla trivellazione del pozzo artesiano eseguita nella piazza del Duomo; Imperocchè sino alla profondità di 40 braccia inferiormente al livello del suolo fu trapanato un terreno di deposito consistente in una marna argillosa. Sotto le 40 braccia fino alle 98 di profondità s’incontrarono ghiaie e ciottoli di calcarea grigio‑nerastra con larghe vene di spato di natura consimile a quelli che incontrasi nelle pendici occidentali dei poggi che circoscrivono la valle a settentrione di Grosseto. Dalle braccia 98 sino alla profondità di 130 la trivellazione non estrasse da quel profondo letto altro che una pretta argilla plastica scevra di conchiglie, mentre al di sotto di quel potente banco argilloso cominciò a scuoprirsi una marna ricca di conchiglie microscopiche; la quale marna continuò a comparire sino alla scaturigine dell’acqua viva, che emerse alle 210 braccia sotto il livello di Grosseto.
    L’agricoltura grossetana come quella di tutta la sua Maremma è specialmente limitata alla coltivazione della cascola rossa, o grano mazzocchio rosso ( Triticum aestivum, spica erecta, subfusca ), della vena, dell’orzo, e delle altre biade.
    Il grano rende per l’ordinario nei terreni della pianura, anche senza le cure di una diligente cultura, del sette e dell’otto per uno di seme, ma nelle terre concimate, cioè nelle mandrie , nelle cetine , o grascete , non è straordinaria la
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    rendita del 12 sino al 18 per uno. I prodotti però della vena e dell’orzo sono proporzionatamente più copiosi di quelli del grano.
    Eccone due esempii di fatto tratti da due epoche diverse.

    Confronto approssimativo della SEMENTA e della RACCOLTA di granaglie nella Comunità di Grosseto a due epoche diverse.

    Anno 1792

    - nome del luogo: Grosseto e Grancia
    GRANO seminato, Staja 7,853
    GRANO raccolto, Staja 82,620
    VENA e BIADE seminate, Staja 2,464
    VENA e BIADE raccolte, Staja 21,836
    - nome del luogo: Batignano
    GRANO seminato, Staja 2,259
    GRANO raccolto, Staja 15,911
    VENA e BIADE seminate, Staja 602
    VENA e BIADE raccolte, Staja 3,416
    - nome del luogo: Istia e suo agro
    GRANO seminato, Staja 1,685
    GRANO raccolto, Staja 12,288
    VENA e BIADE seminate, Staja 870
    VENA e BIADE raccolte, Staja 3,688
    - Totale GRANO seminato, Staja 11,797
    - Totale GRANO raccolto, Staja 110,819
    - Totale VENA e BIADE seminate, Staja 3,936
    - Totale VENA e BIADE raccolte, Staja 28,740

    Anno 1824

    - nome del luogo: Grosseto e Grancia
    GRANO seminato, Staja 11,736
    GRANO raccolto, Staja 97,726
    VENA e BIADE seminate, Staja 4,224
    VENA e BIADE raccolte, Staja 41,324
    - nome del luogo: Batignano
    GRANO seminato, Staja 766
    GRANO raccolto, Staja 7,368
    VENA e BIADE seminate, Staja 480
    VENA e BIADE raccolte, Staja 4,104
    - nome del luogo: Istia e suo agro
    GRANO seminato, Staja 912
    GRANO raccolto, Staja
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    11,256
    VENA e BIADE seminate, Staja 280
    VENA e BIADE raccolte, Staja 3,168
    - Totale GRANO seminato, Staja 13,414
    - Totale GRANO raccolto, Staja 116,350
    - Totale VENA e BIADE seminate, Staja 4,984
    - Totale VENA e BIADE raccolte, Staja 48,596

    Quante volte per altro si rivolga l’occhio all’estensione dei sopraccitati territorii, alla quantità del terreno che potrebbe sottoporsi a cultura, al sistema delle terre ricche ivi si pratica in guisa tale che, mentre una parte è seminata, un’egual porzione si prepara per la sementa dell’anno successivo, e la terza porzione, dalla quale si ottenne l’ultima raccolta, si lascia in riposo, ognuno a prima vista si accorge, che lo stato attuale dell’agricoltura grossetana trovasi anzi che nò in un deciso languore.
    In quanto alla coltivazione degli altri generi frumentarii, dei legumi e delle piante filamentose, essa può considerarsi di poca o di niuna entità.
    Il granturco si semina in così piccola quantità da non bastare al consumo che ne fanno le persone mercenarie avventizie, le quali scendono nella Maremma grossetana per occuparsi nei lavori della campagna, e nel taglio delle boscaglie.
    Sfortunatamente un tale languore non solo apparisce nella sementa del grano, ma ancora nella coltivazione delle piante di alto fusto, e soprattutto delle più utili e più ricche, quali sarebbero gli ulivi e le viti, comecchè la quantità degli ulivi salvatici e delle viti gigantesche, che in Maremma si veggono, indichino essere cotesto il loro suolo prediletto.
    Si trovano e vero nell’agro grossetano, e specialmente nei poggi di Batignano, e d’Istia ulivi domestici che offrono una sollecita e prospera vegetazione; ma sono lasciati quasi dirò in preda a loro stessi senza potarli, nè zapparli, né concimarli, nè ripulirli al piede, e bene spesso abbandonati in un terreno sodo destinato alla sola pastura.
    Cotesti ulivi domestici dell’agro d’Istia e di Grosseto nell’anno 1824
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    non resero che staja 35 di olio, e quelli di Batignano staja 575.
    Veggonsi pure costà diversi vigneti di varia estensione. Sono generalmente viti basse, piantate, piuttosto che in costa, in pianura ed a fogna aperta. Contuttociò la loro coltivazione riesce costosissima ai proprietarii, dovendo far lavorare la vigna da gente avventizia e per la massima parte poco capace. Quindi consegue che la coltura della vite riesce limitata e meschina, sia per la quantità, come per la qualità del prodotto; nè questo bastar può a supplire al consumo delle respettive benchè scarse popolazioni.
    Infatti la raccolta approssimativa del vino nel suddetto anno 1824
    nell’agro di Grosseto fu di Barili 1166,
    nel distretto di Batignano fu di Barili 330,
    a Istia e suoi contorni fu di Barili 318,
    Totale Barili 1814

    Cotesto vino è per lo più spiritoso, non ingrato al gusto, ma alquanto salmastroso, grave allo stomaco e poco o punto ricercato in commercio.
    La pastorizia forma sicuramente uno dei principali articoli dell’industria agraria, e può riguardarsi la prima risorsa economica ed il più importante fra i prodotti del territorio comunitativo di Grosseto, sia per lo smercio delle lane, dei formaggi e delle pelli, come ancora per la vendita dei vitelli, dei majali, degli agnelli e dei molti capi di bestiame vaccino, cavallino, ec.
    Nel 1824 il bestiame da frutto e da lavoro in tutto il territorio suddetto ammontava approssimativamente a 15,918 capi di bestie non comprese le bufaline.
    Esso fu calcolato ripartitamente nei seguenti capi:

    Nel distretto di Grosseto

    Bestiame Bovino, N° 679                            
    Bestiame Vaccino, N° 2607
    Bestiame Cavallino, N° 1042
    Bestiame Pecorino, N° 7120
    Bestiame Caprino, N° 809
    Bestiame Porcino, N° 155
    Totale N° 12,412

    Nel distretto di Batignano

    Bestiame Bovino, N° 47
    Bestiame Vaccino, N° 69
    Bestiame
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    Cavallino, N° 83
    Bestiame Pecorino, N° 107
    Bestiame Caprino, N° 8
    Bestiame Porcino, N° 48
    Totale N° 362

    Nel distretto d’Istia

    Bestiame Bovino, N° 79
    Bestiame Vaccino, N° 191
    Bestiame Cavallino, N° 124
    Bestiame Pecorino, N° 1900
    Bestiame Caprino, N° 800
    Bestiame Porcino, N° 50
    Totale N° 3,144
     
    Totale del Bestiame     Capi N° 15,918

    lI bestiame grosso, vaccino e cavallino, per inveterato uso nell’attuale montatura dell’azienda agraria maremmana, suol tenarsi migrante, indomito, talvolta feroce e quasi salvatico, sotto la denominazione di bestiame braido è lasciato in balia di sè stesso, in mezzo a vaste tenute, a sterpeti, a macchie, o bandite, di notte come di giorno esposte all’intemperie delle stagioni.Vero è che, dietro le disposizioni economico governative state recentemente emanate, i maggiori possidenti sono stati obbligati a chiudere di più solide difese le loro bandita, ingiungendo ai guardiani delle mandrie una sorveglianza più esatta. Ciò non ostante l’uso di tenere il bestiame grosso nelle stalle e di difenderlo dalle intemperie, il bisogno di migliorare le razze cavalline e la qualità dei pascoli non è sentito ancora quanto basta, sicchè in pochi luoghi e da pochissimi proprietarii trovasi praticato in guisa da veder migliorare e rendere più proficuo cotesto importantissimo articolo d’industria maremmana.
    Parlando del commercio che, mediante la produzione del regno animale, ha luogo nel territorio grossetano, non devesi ommettere quello che ivi si ottiene coi mezzi della pesca e della caccia.
    Nelle selve di Batignano, d’Istia, della Grancia e dell’Alberese trovano asilo e copioso pascolo, fra i quadrupedi salvatici, i cinghiali, i caprioli, le lepri, il tasso, la volpe, la martora, l’istrice e il lupo; mentre fra i volatili abbondano le starne, le quaglie, le beccaccie, gli astori, i colombacci, le tortore, le pernici, gli storni, i tordi, i merli, e tutti i piccoli volatili spettanti alla classe dei passeri.
    Nei luoghi palustri
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    e bassi allignavano in quantità le anatre, le pavoncelle, le oche, i pivieri, i beccaccini, i cigni, ec.
    Il padule di Castiglione della Pescaja soleva essere copioso di pesci, consistenti in anguille, lucci, tinche, gavonchi e testuggini di acqua dolce. Tali specie di pesce nei tempi andati erano nella estiva stagione malsane e cattive: dacchè però il nominato padule trovasi circoscritto in più angusto spazio, e questo attraversato e alimentato da acque fresche e correnti, i suoi pesci sono delicati, salubri e di eccellente sapore. Anche i fossi della pianura grossetana abbondano di quei vermi (le sanguisughe) la cui raccolta costituisce, specialmente da 40 anni a questa parte, un articolo di produzione naturale, benchè indifferente all’interesse degl’indigeni, i quali lasciano a benefizio degli avventurieri una simile raccolta.
    Nel mare, a Cala di Forno , si pescano nella stagione del passo le acciughe, e da Cala di Forno a Castiglione della Pescaja grandissima quantità di pesci di varia qualità in tutte le stagioni.
    Oltrechè i boschi sono, come dissi, il vivajo, la mandria, l’ovile e il serbatojo degli animali da frutto domestici e salvatici, essi forniscono molte piante di alto fusto nei cerri, lecci, farnie, ischie e soprattutto nelle sughere, il di cui taglio irregolare e continuo somministra molto legname da costruzione, moltissimo vien ridotto in doganlle, in carbone, e in cataste da ardere, o convertito in potassa, oltre una prodigiosa quantità di scorza che staccasi dalle sughere; tutti questi prodotti boschivi hanno procurato e procurano un annuo lucro alla Maremma in generale ed anche alla comunità di Grosseto, cui appartiene la vasta pineta del tombolo posta fra il padule di Castiglione e il littorale. Da quest’ultima macchia, oltre il legname ed i pascoli, suole ritrarsi un qualche frutto dalla vendita per incanto dei pinocchi. Ma il lucro dei boschi in generale e specialmente nella maremma grossetana anderà sempre decrescendo, non tanto per la diminuzione del suo
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    legname, quanto ancora per la minor pastura che resterà ai bestiami, seppure non si cercherà di supplirvi con l’introduzione delle praterie artificiali, le quali presto o tardi dovranno divenire la più vantaggiosa e la più confacente coltura all’economia agraria del paese, ed alle circostanze economiche dell’Europa.
    Fra gli oggetti d’industria manifatturiera la comunità di Grosseto conta varie fornaci da calcina e da mattoni; più una di terraglie in Grosseto. Vi è da pochi anni una fabbrica di lastre di vetro a Batignano, la quale può dirsi la prima di tal genere che sia stata aperta in Toscana. – Vedere BATIGNANO.
    La vendita delle grasce che compariscono nel commercio suol praticarsi nella piazza di Grosseto, da dove per mezzo del porto di Castiglione, o per lo scalo della bocca di Ombrone, o della torre di S. Rocco, s’inviano per mare a Livorno, all’isola di Elba, a quella del Giglio, in Corsica, a Genova e altrove.
    Uno dei mezzi più efficaci e più utili a promuovere il commercio della Maremma grossetana fu quello senza dubbio di migliorare le strade che già esistevano, e di aprirne altre tutte ampie e rotabili.
    Al principio del presente articolo si sono già accennate le strade maestre che in sei diverse direzioni partono da Grosseto. Alla fine dell’articolo si possono vedere quali e quante strade regie e provinciali, senza rammentare le comunittive, esistono attualmente, e tutte rotabili, nel Compartimento grossetano. Resta solo a compirsi, e non anderà guari, che il colmato padule di Castiglione permetterà che passi sul nuovo suolo rialzato e risanato un tronco della strada regia maremmana, che da Grosseto verrà diretto per il littorale di Massa senza il bisogno di passare, come ora, per Monte Pescali. Mancano, ch’io sappia, a Grosseto fiere annuali e mercati settimanali.

    POPOLAZIONE della Comunità di GROSSETO a tre epoche diverse.

    - nome del luogo: Alberese (a), titolo della chiesa: S. Robano (Cappellania), diocesi
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    cui appartiene: Sovana, abitanti anno 1640 n° -, abitanti anno 1745 n° -, abitanti anno 1833 n° -
    - nome del luogo: Batignano, titolo della chiesa: S. Martino (Pieve), diocesi cui appartiene: Grosseto, abitanti anno 1640 n° 442, abitanti anno 1745 n° 167, abitanti anno 1833 n° 295
    - nome del luogo: Grancia, titolo della chiesa: S. Maria (Pieve), diocesi cui appartiene: Sovana, abitanti anno 1640 n° -, abitanti anno 1745 n° 21, abitanti anno 1833 n° 10
    - nome del luogo: GROSSETO, titolo della chiesa: S. Lorenzo in S. Maria (Cattedrale), diocesi cui appartiene: Grosseto, abitanti anno 1640 n° 1340, abitanti anno 1745 n° 648, abitanti anno 1833 n° 2321
    - nome del luogo: Istia d’Ombrone, titolo della chiesa: S. Salvatore (Pieve), diocesi cui appartiene: Grosseto, abitanti anno 1640 n° 137, abitanti anno 1745 n° 48, abitanti anno 1833 n° 107
    - Totale abitanti anno 1640 n° 1919
    - Totale abitanti anno 1745 n° 884
    - Totale abitanti anno 1833 n° 2732

    (a) La cappellania dell’Alberese fa parte della parrocchia di Monteano.

    COMPARTIMENTO DI GROSSETO. – Allorchè li 27 gennajo 1250 (a nativitate ) Gualtieri, già delegato di Federigo II, per commissione e in nome di Manfredi re di Sicilia diede il possesso di Grosseto al potestà di Siena e al sindaco dello stesso Comune, fu circoscritta la Provincia grossetana dentro i limiti poco sopra (pag. 529 e 530) designati.
    In seguito la Provincia marittima senese abbracciò un perimetro più esteso dalla parte di settentrione e di ponente, dopo la conquista di Massa e del suo territorio. Finalmente il Granduca Pietro Leopoldo I, con
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    suo motuproprio del 10 novembre 1765, nel desiderio di migliorare la sorte delle toscane Maremme, divise in due provincie l’antico Stato senese; quindi con altro motuproprio dei 18 marzo 1766 vi ordinò un governo economico, e giudiziario col farne centro la città di Grosseto, i di cui magistrati volle che fossero immediatamente e unicamente dipendenti dalla sovrana sua autorità.
    Fu allora che ai 4 capitanati di Grosseto, di Massa, di Sovana e di Arcidosso, approvati con rescritto del granduca Cosimo III sotto i 10 gennajo 1691 (a nativitate ); furono aggiunti i territorii delle ex.contee di Scansano, Pitigliano, Sorano, Castellottieri, S. Giovanni delle Contee, e di S. Fiora con più l’ex‑marchesato di Castiglione della Pescaja e dell’isola del Giglio.
    Nel 1808, essendo stati restituiti al dominio toscano i RR. Presidii, fu aggiunto alla provincia grossetana e al suo governo il vicariato di Orbetello.
    Finalmente con motuproprio del 27 giugno 1814 la stessa provincia ricevè una nuova organizzazione economica, quando Grosseto fu destinata sede ad una Camera di soprintendenza comunitativa del Granducato composta allora di 18 comunità, e aumentata a tutto il 1836 di altre cinque che vennero staccate dal Compartimento Pisano.
    In conseguenza di ciò il Comprtimento grossetano, non compresa la comunità dell’Isola del Giglio, in Terraferma nel 1836 contava 22 comunità in una superficie territoriale di 1,408,804 quadri agrarii, pari a miglia toscane 1754, dove esistevano 71,894 abit., a proporzione cioè di 41 individui per ogni miglio quadro. – Vedere GRANDUCATO DI TOSCANA.

    PROSPETTO delle Comunità del Compartimento di GROSSETO distribuito per Cancellerie secondo le ultime Riforme del 1836, ma con la statistica dell’anno consueto 1833 e la superficie territoriale rettificata.

    - CAPOLUOGO della Cancelleria Comunicativa:
    GROSSETO Cancelleria comunicativa e Ing. , valle in cui è compreso il capoluogo della Comunità: Valle inferiore dell’Ombrone senese, superficie territoriale in quadrati: 118956,68, popolazione della Comunità: 2438
    Comunità annesse:
    Castiglion della Pescaja, valle in cui
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    è compreso il capoluogo della Comunità: Valle inferiore dell’Ombrone senese, superficie territoriale in quadrati: 60138,01, popolazione della Comunità: 1473;
    Magliano, valle in cui è compreso il capoluogo della Comunità: Valle d’Albegna, superficie territoriale in quadrati: 73101,22, popolazione della Comunità: 1082;
    Scansano, valle in cui è compreso il capoluogo della Comunità: Valle dell’Albegna, superficie territoriale in quadrati: 80171,27, popolazione della Comunità: 3141.
    -CAPOLUOGO della Cancelleria Comunicativa:
    MASSA MARITTIMA Cancelliere e Ingegnere , valle in cui è compreso il capoluogo della Comunità: Valle di Pecora, superficie territoriale in quadrati: 129280,16, popolazione della Comunità: 6193
    Comunità annesse:
    Gavorrano, valle in cui è compreso il capoluogo della Comunità: Valle di Alma, superficie territoriale in quadrati: 70816,43, popolazione della Comunità: 2374.
    -CAPOLUOGO della Cancelleria Comunicativa:
    CAMPIGLIA Cancelliere e Ingegnere , valle in cui è compreso il capoluogo della Comunità: Valle di Cornia, superficie territoriale in quadrati: 33582,12, popolazione della Comunità: 2141
    Comunità annesse:
    Piombino, valle in cui è compreso il capoluogo della Comunità: Valle di Cornia, superficie territoriale in quadrati: 40680,01, popolazione della Comunità: 1443;
    Suvereto, valle in cui è compreso il capoluogo della Comunità: Valle di Cornia, superficie territoriale in quadrati: 27080,29, popolazione della Comunità: 755;
    Monteverdi, valle in cui è compreso il capoluogo della Comunità: Valle di Cornia, superficie territoriale in quadrati: 28421,47, popolazione della Comunità: 768;
    Sassetta, valle in cui è compreso il capoluogo della Comunità: Valle di Cornia, superficie territoriale in quadrati: 7672,24, popolazione della Comunità: 689.
    -CAPOLUOGO della Cancelleria Comunicativa:
    ROCCASTRADA Cancelleria comunicativa , valle in cui è compreso il capoluogo della Comunità: Valle inferiore dell’Ombrone senese, superficie territoriale in quadrati: 101317,66, popolazione della Comunità: 4080
    Comunità annesse:
    Campagnatico, valle in cui è compreso il capoluogo della Comunità: Valle inferiore dell’Ombrone senese, superficie territoriale in quadrati: 103589,22, popolazione della Comunità: 3136.
    -CAPOLUOGO della Cancelleria Comunicativa:
    ARCIDOSSO Cancelliere e Ingegnere , valle in cui è compreso il capoluogo della Comunità: Valle dell’Orcia, superficie territoriale in quadrati: 27168,77, popolazione della
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    Comunità: 4365
    Comunità annesse:
    Castel del Piano, valle in cui è compreso il capoluogo della Comunità: Valle dell’Orcia, superficie territoriale in quadrati: 22071,71, popolazione della Comunità: 4587;
    Cinigiano, valle in cui è compreso il capoluogo della Comunità: Valle inferiore dell’Ombrone senese, superficie territoriale in quadrati: 59433,84, popolazione della Comunità: 3658;
    Roccalbegna, valle in cui è compreso il capoluogo della Comunità: Valle dell’Albegna, superficie territoriale in quadrati: 48460,21, popolazione della Comunità: 3216;
    Santa Fiora (R), valle in cui è compreso il capoluogo della Comunità: Valle di Fiora, superficie territoriale in quadrati: 42534,16, popolazione della Comunità: 4397.
    -CAPOLUOGO della Cancelleria Comunicativa:
    PITIGLIANO Cancelliere e Ingegnere , valle in cui è compreso il capoluogo della Comunità: Valle di Fiora, superficie territoriale in quadrati: 29902,23, popolazione della Comunità: 3193
    Comunità annesse:
    Manciano, valle in cui è compreso il capoluogo della Comunità: Val di Fiora e Albegna, superficie territoriale in quadrati: 142757,71, popolazione della Comunità: 2575;
    Sorano, valle in cui è compreso il capoluogo della Comunità: Valle di Fiora, superficie territoriale in quadrati: 67490,60, popolazione della Comunità: 3851.
    -CAPOLUOGO della Cancelleria Comunicativa:
    ORBETELLO Cancelleria (A), valle in cui è compreso il capoluogo della Comunità: Valle dell’Albegna, superficie territoriale in quadrati: 94178,52, popolazione della Comunità: 4823.
    -CAPOLUOGO della Cancelleria Comunicativa:
    GIGLIO, valle in cui è compreso il capoluogo della Comunità: Isola, superficie territoriale in quadrati: -, popolazione della Comunità: 1502.
    -Totale superficie territoriale in quadrati: 1408804,53
    -Totale popolazione delle Comunità, abitanti n° 65880

    N. B. La lettera (A) indica residenza di un Ingegnere ajuto, e la lettera (B) residenza di un secondo Cancelliere.

    STRADE REGIE E PROVINCIALI CHE ATTRAVERSANO IL COMPARTIMENTO DI GROSSETO

    Strada Regie spettanti al compartimento di Grosseto

     1. Strada R. postale Senese . Dalla porta nuova di Grosseto passando per Batignano, Paganico e Fercole conduce a Petriolo,
    dove continua nel Compartimento
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    senese sino a Siena.
    2. Strada R. Maremmana , o continuazione della via Emilia . Dal confine del Compartimento pisano passando per Gavorrano, e provvisoriamente per Monte Pescali entra in Grosseto.
    3. Strada R. di S. Rocco . Dalla porta vecchia della città di Grosseto alla torre di S. Rocco sul littorale.
    4. Strada R. Orbetellana . Fuori della porta vecchia di Grosseto staccasi dalla R. che gira attorno alle mura della città per dirigersi alla barca dell’Alberese dove si passa l’Ombrone, e di là per l’Osa e quindi per l’Albegna che varca, il primo presso la torre di Talamonaccio, l’altro alla torre delle Saline, e va ad Orbetello.
    5. Strada R. da Grosseto a Scansano . Staccasi dalla strada R. intorno alle mura fuori della porta vecchia di Grosseto, si dirige per Istia, dove si passa in barca l’Ombrone, e di là conduce a Scansano.
    6. Strada R. del Sostegno . Si dirama da quella di S. Rocco e va alla fabbrica del mulino del Sostegno, lungo l’antico Fosso Navigante.
    7. Strada R. fuori delle Mura. Gira intorno ai bastioni della città di Grosseto.

    Strade provinciali che attraversano il Compartimento grossetano

    1. Strada di Massa, o del Cerro Bucato . Dal confine del Compartimento di Pisa in luogo detto il Cerro Bucato giunge a Grosseto, passando per Massa Marittima e Monte Pescali.
    2. Strada Massetana . Dal confine del Compartimento di Siena in comunità di Montieri giunge a Massa.
    3. Strada di Montalcino . Dal confine del Compartimento di Siena presso l’Ombrone si unisce alla strada R. Senese in vicinanza dell’osteria dei Cannicci.
    4. Strada di Castel del Piano . Dal confine del Compartimento di Siena in comunità di Castiglion d’Orcia conduce a Castel del Piano.
    5. Strada da Sorano a
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    Scansano
    . Da Sorano arriva a Scansano passando per Pitigliano e Manciano.
    6. Strada dei Cannicci o di Castel del Piano . Dalla strada R. Senese presso l’osteria dei Cannicci giunge a Castel del Piano passando presso Monte Giovi.
    7. Strada dal Ponte di Rigo a Sorano . Dal confine del Compartimento di Siena al torrente di Siele presso la Sforzesca, passando per S. Giovanni delle Contee, Castell’Ottieri e S. Valentino fino a Sorano.

    GROSSETO nella Valle inferiore dell’Ombrone sanese ecc. – Si aggiunga. – La memoria più antica fra quelle finora conosciute di cotesta città, si trova in una pergamena nell’803 dell’ Archivio Arcivescovile di Lucca. È un contratto d’enfiteusi di varj beni spettanti ad una chiesa, ossia oratorio di S. Giorgio situato in Grosseto che fu padronato di quella mensa, consistente in un atto di locazione dell’agosto dell’anno 803, col quale il vescovo Jacopo di Lucca concedè a livello ad Ildebrando figlio dell’abate Ilprando per se e i suoi eredi la chiesa di S. Giorgio in Grosseto con tutti i suoi beni. Era quell’ Ildebrando che possedeva altri effetti in Galliano presso Campagnatico; quello stesso che fu l’autore della potente famiglia de’Conti Aldobrandeschi di Maremma. – Vedere l’APPENDICE seguente, dove sarà pure citato un nuovo atto d’enfiteusi di beni posti nel distretto di Soana, e rilasciati per istrumento del 22 settembre 809 dallo stesso vescovo Jacopo al chierico Alberto , poi prete, che fu figlio dello stesso abate Ilprando e conseguentemente fratello del prenominato Ildebrando , il quale ultimo nell’822 possedeva in Lucca ai giudizi come misso imperiale.
    All’Articolo GROSSETO, quando si rammenta all’anno 1101 un Ildebrando allora vescovo di Roselle , si aggiunga, che quell’Ildebrando innanzi di essere stato innalzato a quella cattedra
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    fu canonico della chiesa di S. Martino di Lucca, sdiccome apparisce da una lettera scritta li 14 ottobre dello stesso anno 1101 dal Pontefice Pasquale II a Rangerio vescovo di quest’ultima città. – (MEMORIE LUCCHESI Volume IV Parte II. )
    Poi dove si ricorda una bolla concessa nel 12 aprile del 1188 dal Pontefice Clemente III al vescovo di Grosseto Gualtieri , deve dire Gualfredo . Così all’Articolo DIOCESI DI GROSSETO ( Volume II. pagina 539 ) rammentandosi il più antico vescovo fra i conosciuti di Roselle, invece di Rolando fu stampato Vitelliano , siccome va ricordato (ivi a pagina 542) fra i vescovi più distinti, quel Gherardo che nel gennajo del 1060 assistè il Pontefice Niccolò II in Firenze ed in Mosciano alla consacrazione di due altari nella chiesa di S. Andrea. Nè devesi passare sotto silenzio il vescovo Dodone rammentato più specialmente da una lettera del Pontefice Gregorio VII alle due marchesane Beatrice e Matilda, cui raccomandava la decisione di una vertenza ch’esisteva fra un conte Ugolino ed il detto vescovo di Roselle.
    Rispetto al paragrafo impegnoso del Clima di Grosseto e della sua pianura invierò il lettore all’Articolo LITTORALE TOSCANO nel SUPPLEMENTO ed a quello di MAREMME, non che a due importanti scritture testè sulla Statistica medica delle Maremme Toscane fra gli anni 1842, e 1844 dal medico Ispettore di quella Commissione sanitaria, Dott. Antonio Salvagnoli Marchetti .
    Così rispetto al Compartimento e sue variazioni giudiciarie, economiche, ecc. si rinvia il lettore all’Articolo TOSCANA GRANDUCALE del DIZIONARIO  e del SUPPLEMENTO.
    Nell’anno 1833 la Comunità di Grosseto contava una popolazione indigena di 1732 Abitanti e nel 1845 ne aveva 2952, come appresso:

    Batignano, Abitanti N.° 365
    Grancia, Abitanti N.°   15
    GROSSETO, Abitanti N.°   2315
    Istia
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    d’Ombrone, Abitanti N.°   180

    Annessi

    Montiano ( per l’Alberese ); da Magliano, Abitanti N.°   77
    TOTALE Abitanti N.° 2952


    VESCOVATI DELLA TOSCANA. – Nella Toscana cisappennina della presente Opera contansi attualmente 22 Vescovati e quattro Arcivescovati; dieci dei quali Vescovati esistevano sino dalla prima età di Giovanni Villani. Tali sono le diocesi di Arezzo, di Chiusi, di Fiesole , di Roselle (Grosseto), di Luni (Sarzana) di Pistoja, di Populonia (Massa Marittima) di Soana, di Volterra e di Brugnato. – Spettano ai 12 Vescovati più moderni quelli di Cortona, di Montepulciano, di Pienza, di Montalcino, di Colle, di Prato, di Sansepolcro, di Sanminiato, di Pescia, di Pontremoli, di Livorno e di Massa Ducale. – Delle 22 diocesi tre sono rette dai vescovi delle diocesi vicine più antiche, come sarebbe il vescovo di Chiusi che regge la chiesa di Pienza; quello di Pistoja che è parimente vescovo di Prato, e l'altro di Luni Sarzana che ora è diocesane di Brugnato.
    Sono suffraganei dell'arcivescovo di Firenze i vescovi di Fiesole, di Pistoja e Prato, di Colle, di Sanminiato e di Sansepolcro. – L' arcivescovo e primate di Pisa è anche metropolitano delle diocesi di Livorno e di Pontremoli. – Sono suffraganei dell' arcivescovo di Siena quelli di Chiusi e Pienza, di Grosseto, di Massa Marittima
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    e di Soana; e di corto fu dato per suffraganeo all' Arcivescovo di Lucca il vescovo di Massa Ducale; mentre quello di Brugnato, innanzi l'unione della sua diocesi all'antica di Luni Sarzana, era suffraganeo dell'arcivescovo di Genova.
    Dipendono immediatamente dalla S. Sede i Vescovi di Arezzo, di Volterra, di Luni Sarzana , di Cortona, di Montalcino, di Montepulciano, e di Pescia. – Vedere l'Articolo ARCIVESCOVATI della Toscana Granducale.
    Entrano poi nella Romagna Granducale quattro diocesi dello Stato Pontificio, cioè, quelle di Bertinoro, ili Faenza, di Forlì e di Sarsina, l’ultima delle quali per l'amministrazione ecclesiastica è stata affidata di corto al vescovo di Bertinoro.
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Localizzazione
ID: 2280
N. scheda: 25960
Volume: 2; 5; 6S
Pagina: 525 - 555; 705; 116 - 117
Riferimenti:
Toponimo IGM: Grosseto
Comune: GROSSETO
Provincia: GR
Quadrante IGM: 128-3
Coordinate (long., lat.)
Gauss Boaga: 1672999, 4736478
WGS 1984: 11.1151, 42.76288
UTM (32N): 673062, 4736652
Denominazione: Grosseto - Vescovati della Toscana (Roselle, Grosseto)
Popolo: S. Lorenzo in S. Maria a Grosseto
Piviere: S. Lorenzo in S. Maria a Grosseto
Comunità: Grosseto
Giurisdizione: Grosseto
Diocesi: Grosseto
Compartimento: Grosseto
Stato: Granducato di Toscana
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