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Dizionario Geografico Fisico
e Storico della Toscana

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Gavorrano

 

(Gavorrano)

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    GAVORRANO (Gavorranum) nella Maremma fra Massa e Grosseto. – Terra, già castello con avanzi di mura ed una rocca, capoluogo di comunità, residenza di un podestà con antica pieve (S. Giuliano, già S. Cosimo o Gusmè) nella Diocesi e Compartimento di Grosseto.
    È situata sopra un poggio appartenente alla giogana che separa la vallecola della Pecora da quella della Bruna, a cavaliere della strada Regia maremmana che le passa sotto dal lato che guarda settentrione, in una posizione più elevata 458 braccia del livello del mare Mediterraneo.
    Trovasi nel gr. 28° 34’ 2’’ di longitudine, 42° 54’ 4’’ di latitudine; circa 18 miglia toscane a maestr. di Grosseto, 13 miglia toscane a ostro di Massa; 3 miglia toscane a grecale di Scarlino, e 6 miglia toscane dallo sbocco del suo padule nel mare toscano.
    Per quanto siasi detto, che costà verso Gavorrano doveva trovarsi l’antica mansione di
    Maniliana, ossia Manliana, per ragione che essa vedesi segnata nella tavola Teodosiana fra Populonia e la Bruna, con tutto ciò sino al secolo XII la storia di Gavorrano resta sepolta fra le distruzioni di tante terre e castelli che quasi invano il curioso andrebbe ora cercando per le toscane Maremme; nè Gavorrano si rinviene prima dell’epoca, in cui alcune famiglie secolari o monastiche, feudatarie dell’imperio o dei vescovi, poterono dominare senza grande ostacolo in mezzo ad orride selve, a deserti campi, e a poche capanne di poveri vassalli.
    I primi dinasti di Gavorrano si mostrano nei conti Alberti di Mangona, almeno finchè non si scuoprano documenti più vetusti di un privilegio dato in Pavia il dì 14 agosto 1164, col quale Federigo I restituì al giovinetto conte Alberto in feudo le terre e giurisdizioni appartenute al C. Alberto di lui avo; annoverando, come
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    luoghi feudali i castelli di Cornia, di Scarlino e di Gavorrano tra quelli che il conte Alberto seniore possedeva nella maremma di Massa e Populonia.
    Al diploma regio testè accennato succede per ordine di data cronologica una bolla del Pont. Clemente III, spedita nel 1188 a Gualfredo vescovo di Grosseto, al quale, fra le chiese plebane spettanti alla sua diocesi, fu confermata quella di Govorrano con le cappelle, sostanze, giurisdizioni e tributi che sino d’allora alcuni Visdomini di Massa le pagavano.
    Il conte Rainaldo, uno dei figli del conte Alberto di Mangona stato privilegiato da Federigo I, mediante divisione dei beni paterni, fatti li 16 febbrajo 1208, ebbe di parte i feudi della Maremma, e conseguentemente i castelli di Elci, di Gavorrano, di Scarlino e di Monte Rotondo, nell’ultimo dei quali il C. Rainaldo teneva precipuamente la sua residenza.
    Alla morte del C. Rainaldo subentrarono nei di lui diritti feudali i conti Pannocchieschi di Elci, di Travale e del castel della Pietra, comecchè gli abitanti di Gavorrano si reggessero allora a comune.
    Stà a provare l’indipendenza degli uomini di Gavorrano la deliberazione presa nel 1278 dal Comune di Volterra, quando rimise a libero arbitrio dell’università di Gavorrano l’elezione del podestà che doveva nell’anno susseguente entrare in uffizio in detta città. Infatti con partito comunitativo del 26 ottobre 1278 i Gavorranesi, adempiendo all’onorevole incarico, nominarono podestà di Volterra il nobil uomo
    Nello, ossia Paganello del fu Inghiramo de’Pannocchieschi signore del castello della Pietra. Egli era quel Nello marito della Pia, alla quale l’Alighieri mise in bocca le misteriose parole:

    Siena mi fe’, disfecemi Maremma;
    Salsi colui che’ nnanellata pria,
    Disposando, m’avea con la sua gemma.

    Quel Nello, che maritò una sua figlia per nome Fresca al C. Manovello de’Pannocchieschi
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    d’Elci, e che, per atto pubblico del 20 gennajo anno 1300 rinunziò alla sua parte di Gavorrano, di Gerfalco, di Travale e di Fosini al fratello suo Mangiante. (ARCH. DIPL. SEN. Carte della città di Massa).
    Ma alle fazioni di partito, che più acerbe e crudeli si resero nel secolo XIV, i Pannocchieschi per la maggior parte Ghibellini, insieme con i loro fedeli e vassalli commisero ogni sorta di ruberie, di omicidii e di incendii a danno dei Massetani, mentre questi dal canto loro facevano rappresaglie di uomini, di bestiame e di generi delle terre de’Pannocchieschi.
    Con lettera, scritta li 27 settembre del 1320 al capitano e priori della città di Massa, Carlo duca di Calabria, e vicario in Toscana per il di lui padre Roberto re di Napoli, faceva loro intendere, che per la morte di Manovello e de’suoi fratelli conti d’Elci il castello di Gavorrano toccava ad altri Pannocchieschi, fra i quali a Gabbriello e Niccoluccio figli di Dino de’Pannocchieschi di Castiglion Bernardi, a Ugo e Neri, detto Scarpa, figlio di Mangiante: che i medesimi feudatari, essendo stati costretti dal Comune di Massa ad abbandonare il suddetto castello di Gavorrano dovevano essere restituiti al possesso.
    Ho di già avvertito, che il conte Manovello d’Elci aveva per moglie una figlia di Nello d’Inghiramo della Pietra.
    Ciò non ostante i Massetani non perderono di vista la depressione dei Pannocchieschi, onde togliere loro ogni specie di dominio sulle castella del distretto di Massa, o ad esso limitrofe.
    A tale scopo tendevano le convenzioni stabilite nel 30 settembre del 1327 fra il Comune di Massa e quello di Gavorrano con i seguenti capitoli: 1°. che il podestà di Gavorrano fosse nominato dai governatori di Massa con obbligo di giudicare secondo li statuti del luogo, eccettuati alcuni delitti, per i quali era d’uopo ricorrere al foro
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    di Massa; 2°. Che i prodotti del paese non dovessero pagare dazio per entrare nel territorio di Massa; 3°. Che, volendo i Massetani fare acquisto dai Pannocchieschi della rocca, case, terreni e fitti che i conti possedevano in Gavorrano, non fossero aumentati i canoni e le pensioni ai Gavorranesi; 4°. Che questi ultimi avrebbe consegnato alle milizie Massetane il loro castello; 5°. Finalmente, che essi sarebbero considerati come cittadini di Massa, e che terrebbero per amici gli amici di questo Comune, e viceversa. (ARCH. DIPL. SEN. loc. cit.)
    Un anno dopo stabilite tali convenzioni, i governatori della città di Massa, mediante un loro sindaco, per contratto del 2 novembre 1328, acquistarono dal nobil uomo Mino di Cione de’Malavolti di Siena la metà del castello e giurisdizione della Pietra, con la porzione de’castelli e territorii di Gavorrano e Gerfalco, stati poco tempo innanzi al Malavolti alienati dai fratelli Nello e Nerio di Mangiante Pannocchieschi. – Per convalidare il prenominato acquisto, i reggitori di Massa sei giorni dopo (8 novembre 1328) ottennero l’adesione e conferma dai Pannocchieschi sopraccennati, all’occassione della vendita da essi fatta allo stesso Comune, per il prezzo di 6000 fiorini, degli antiche diritti sopra i castelli di Gavorrano e Gerfalco, oltre quelli che potessero pretendere sui castelli di Perolla, Accesa e Monte Pozzali. – Dondechè dei preliminari della pace conclusa in Montopoli li 12 agosto 1329 fra i diversi popoli della Toscana, guelfi e ghibellini, sino al dì 30 luglio precedente fu disteso un articolo speciale destinato a convalidare l’acquisto di Gavorrano al Comune di Massa. (loc. cit.).
    Ma in quell’anno istesso i Senesi, avendo accolto sotto la loro accomandigia e cittadinanza i conti di Elci, di Giuncarico, di Castiglion Bernardi ed altri signori della consorteria Pannocchieschi, si riaccesero ben presto cagioni più serie di discordia fra i Comuni di Siena
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    e di Massa. Quest’ultimo, collegandosi allora con i Pisani, fra i patti convenuti nel trattato del 3 giugno 1331, non tralasciò quello relativo al castello e giurisdizione che pretendeva sopra Gavorrano.
    Allora i Senesi corsero ad oste sopra il contado di Massa, e in poco tempo, benchè i Pisani avessero inviato gente in ajuto dei loro alleati, si impadronirono di Gavorrano, di Perolla, di Colonna, e di Monterotondo; per modo che i Gavorranesi dovettero risolversi, nel dì 8 dicembre 1331, d’inviare un loro sindaco a Siena per sottomettersi nuovamente a questa Repubblica.
    Quindi fu facile ai Malavolti di potere rivendicare i loro diritti sopra Gavorrano, comecchè di buona o di mala voglia pochi anni innanzi li avessero a favore Massa alienati.
    Infatti all’epoca della sedizione del 1390, per cui i Senesi si posero sotto la tutela e protezione di Giovanni Galeazzo duca di Milano, i Malavolti, ai quali in tal frangente era stato decapitato un onorato individuo (mess. Niccolò) allontanandosi dalla patria, si ritirarono in campagna alle loro castella. Era la testa di tutta la famiglia Orlando Malavolti, il quale in nome suo e dei nipoti Donusdeo e Bartolommeo, nel 2 febbrajo 1390, capitolando con i Dieci di Balia della Rep. fior. fu accettato dai Fiorentini in accomandigia con tutte le sue castella, fra le quali Gavorrano, Pietra, Ravi, Tatti e Alma (MALAVOLTI,
    Ist. di Siena P. II).
    All’occasione però dell’invasione dell’esercito napoletano condotto dal re Alfonso d’Aragona nelle maremme di Piombino, di Massa e di Grosseto, anche il castello di Gavorrano, verso l’anno 1450, fu militarmente occupato. Ma i nipoti di mess. Orlando Malavolti facendo vive le loro ragioni con il patrocinio del Pont. Pio II e dei suoi congiunti di casa Piccolomini, nel 1460 poterono riavere dal re di Napoli il castello e giurisdizione di Gavorrano. Sennonchè poco
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    appresso la Rep. senese obbligò i Gavorranesi alla recognizione degli antichi capitoli di sottomissione, siccome infatti nel 1464 furono essi rinnovati e giurati.
    Quindi nell’anno susseguente i nipoti e pronipoti di Orlando Malavolti, mediante istrumenti rogati li 6 di febbrajo e li 19 maggio 1465, rinunziarono per il prezzo di fiorini 5000 da lire 4 l’uno, ad ogni ragione di possesso sopra Gavorrano in favore della stessa Repubblica. (ARCH. DIPL. SEN.
    Kaleffo dell’Assunta).
    Dal 1465 in poi i Gavorranesi seguitarono la sorta del governo di Siena anche dopo che questa Rep. restò incorporata allo
    Stato vecchio del dominio fiorentino. – Vedere SIENA.
    Dalla popolazione di Gavorrano indicata nel sottostante quadro si rileva, che essa, fra il 1640 e il1745, fu quasi stazionaria ma che andò progredendo dopo i miglioramenti sopravvenuti in cotesta Maremma mercè le benefiche cure dall’Augusta dinastia felicemente regnante nel Granducato di Toscana.

    MOVIMENTO della popolazione della Terra di GAVORRANO a tre epoche diverse, divisa per famiglie.

    ANNO 1640: Impuberi maschi -; femmine -; adulti maschi -, femmine -; coniugati dei due sessi -; ecclesiastici -; numero delle famiglie 72; totalità della popolazione 276.
    ANNO 1745: Impuberi maschi 44; femmine 56; adulti maschi 38, femmine 64; coniugati dei due sessi 88; ecclesiastici 7; numero delle famiglie 82; totalità della popolazione 295.
    ANNO 1833: Impuberi maschi 131; femmine 118; adulti maschi 68, femmine 79; coniugati dei due sessi 198; ecclesiastici 4; numero delle famiglie 120; totalità della popolazione 598.

    Comunità di Gavorrano. – Il terrtorio comunitativo di Gavorrano, dopo la soppressione della comunità di Scarlino, si estende sopra una superficie irregolare di 66934 quadr. dei quali 882 sono presi da strade e da corsi di acque. – Vi si trovava nel 1833 una popolazione di 3104 abit. a ragione di quasi 37 persone per ogni miglio toscano
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    quadr. di suolo imponibile.
    Confina con 5 comunità del Granducato. – Ha dal lato di libeccio il littorale, lungo il quale la comunità di Gavorrano si estende dalla bocca di Alma sino sopra Follonica; partendo cioè da ostro a settentrione dalla torre delle Civette rasenta il seno di
    Portiglione e il puntone di Scarlino, donde, curvando la spiaggia nella direzione da settentrione a maestro, passa davanti allo scalo di Follonica per sino alla foce del borro Salivoli. Quà trova la Comunità di Piombino, e di conserva con essa, scostandosi dal mare, percorre nella direzione di settentrione i poggi che separano la valle della Pecora da quella della Cornia per arrivare sino alla franata torre di Montioni vecchio. Oltrepassato cotesto poggio trova la Comunità di Suvereto, con la quale cambiando direzione da settentrione a levante entra nel fosso dell’Acqua nera, e di là nella strada detta della Dogana, dove cessa la Comunità di Suvereto e sottentra a confine quella di Massa marittima. Con quest’ultima attraversa lo stradone di Valpiana e quindi i poggi che sono fra il lago dell’Accesa, il diruto castel della Pietra e la strada Regia maremmana sino al Poggio Pinzuto. Quivi, dopo aver fatto un angolo rientrante e poscia sporgente, piega verso levante per andare incontro alla fiumana Bruna. Mediante l’alveo della Bruna fronteggia dal lato di levante con la Comunità di Roccastrada, sino a che davanti al Vado Renoso lascia fuori la Bruna per volgersi a scirocco. Da questo lato trova la Comunità di Castiglione della Pescaja, con la quale il territorio di Gavorrano si tocca mediante l’alveo del torrente Rigo rimontandolo di conserva fra il poggio di Caldana e quello di Tirli, quindi
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    varcando quest’ultimo per entrare nel fiumicello Alma, in quello che costituisce il maggior corpo d’acque correnti nel territorio di Gavorrano, e con esso ritorna al mare.
    Fra le strade rotabili la sola R. maremmana (già Emilia di Scauro) attraversa nella sua maggiore lunghezza la comunità di Gavorrano, entrando a ponente nel suo territorio presso Valli di Follonica sino al torrente
    Rigo, dove cessa la Comunità dopo il tragitto di 12 miglia toscane. – Contansi pure fra le vie rotabili lo stradone che da Follonica porta per Valpiana a Massa e la via che dal padule di Scarlino sale al castello dello stesso nome.
    La parte più montuosa del territorio in discorso spetta a una diramazione dei poggi che stendendosi da settentrione a libeccio a destra della
    Bruna passando tra Ravi e Gavorrano, fra Scarlino e Monte di Muro sino al littorale di Pian d’Alma, mentre rasentano verso ponente-libeccio il corso della stessa fiumana, già confine del contado e della diocesi di Roselle con quella di Populonia. – Un’altra più umile catena di poggi gira dietro a quelli sui quali risiede la città di Massa, la quale minor giogana, dirigendosi da levante a libeccio sino a Montioni, separa le acque della Pecora da quelle della Cornia, e la comunità di Gavorrano dal territorio di Suvereto e di Piombino.
    Variatissimi di formazione, d’indole e di struttura sono i terreni che costituiscono la crosta apparente del suolo comunitativo di Gavorrano.
    Fu Giorgio Santi il primo fra i naturalisti a segnalare nella catena dei poggi che separano la vallecola dell’
    Alma da quella della Bruna un fatto geologico importantissimo, quando disse di aver trovato nei monticelli a levante e a scirocco di Gavorrano rupi di granito frapposte a scogliere di una pietra tufacea vulcanica (specie di
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    trachite); sembrandogli questa formata di terra feldspatosa con dei grossi cristalli striati ed opachi di feldspato bianco, bene spesso colorati specialmente di rossigno, con altri ammassi di quarzo e piccoli cristalli di mica. Fu pure lo stesso naturalista che disse, di avere ravvisato un’analogia fra coteste rocce e quelle che aveva visitato sul Mont’Amiata.
    Ma di un’importanza assai maggiore, e più al giorno con gli avanzamenti della scienza geologica, sono le osservazioni fatte nel 1835 dal ch. prof. pisano Paolo Savi nella contrada in discorso; contrada che egli indicò come una delle più confacenti fra quelle della Toscana per dimostrare le
    alterazioni plutoniane sofferte dalle rocce calcareo-compatte (alberese) mercè l’emersione, o in grazia di un qualche terreno cristallino e massiccio che l’avvicina. – Quindi io non potrei meglio servire allo scopo se non col riportare le parole di questo scienziato.
    “Nel gruppo di monti che separa la provincia
    Scarlinese (ossia la vallecola dell’Alma) dalla Grossetana, trovasi dalla parte settentrionale, precisamente ove siede la Terra di Gavorrano, una massa granitica che sembra essere stata la causa al sollevamento de’circonvicini poggi e della connversione di quel calcare compatto in marmo salino che in abbondanza s’incontra nelle vicinanze. – Se dal Puntone di Scarlino, rasentando lo Stagna omonimo si piega verso Gavorrano, i monti lungo i quali si cammina vedonsi essere per la maggior parte formati di strati di macigno più o meno compatto, di grana varia per la grossezza, che alterna con schisti argillosi e con strati di alberese. Il piccolo paese di Scarlino sta sopra un monte composto da questi medesimi materiali; ed un’eguale struttura presso a poco s’incontra sino quasi alla base del poggio di Gavorrano. Ma nelle vicinanze di quest’ultimo, particolarmente avviandosi alla suddetta Terra per
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    la strada che con l’Emilia si unisce, trovansi il macigno ed i suoi schisti convertiti in un galestro molto siliceo, la cui alterazione o plutonizzazione è tanto maggiore quanto più si accosta al poggio, e quanto più su di questo si ascende. Ma poco al di sopra del livello della pianura compariscono degli strati calcarei più o meno contorti, coloriti e venati, che poi divengono in qualche luogo cavernosi, ed in qualche altro ancor fetidi; cosicchè giunti quasi al termine della salita, ogni segno di stratificazione sparisce, ed il calcare, al pari del galestro, risucesi ad un calcare cavernoso grigio cenere, fetido, poroso e sfacelato in guisa da sembrare a prima vista un tufo. Questa è la roccia che dal lato meridionale sta a contatto della massa granitica. – Presso una torre diruta, che rimane un tiro di fucile fuori di Gavorrano, dal lato di libeccio ossia di Scarlino, vedesi in quella emergere un grosso filone feldspato-calcareo di colore carneo grigiastro.”
    “Il paese di Gavorrano è posato dal lato occidentale sul terreno
    calcareo, e dal lato orientale sopra un granito similissimo a quello dell’Isola dell’Elba, cioè di colore grigiastro, di grana piuttosto minuta, abbondante in grossi cristalli di feldspato, contenente scarsi cristalli di turmalina nera, per lo più riuniti a ventri gemmati.”
    “Lasciato Gavorrano, se si prosegue la via verso il paese di Ravi e Caldana, continua il terreno granitico per circa un miglio fino cioè al punto, dove la strada Regia, dopo essersi diretta verso mezzo giorno, bruscamente rivolta a levante. La roccia
    calcareo feldspatica ricomparisce da questo lato, e subentra immediatamente al granito. Essa continua quasi sempre della stessa natura promiscuata per lo spazio di un
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    tiro di fucile; dopo di che diviene gradatamente più ricca di frammenti calcarei, e questi, accrescendosi gradatamente di volume, fanno cangiare la roccia di aspetto, e finisce per convertirsi in una calcarea saccaroide oppure cavernosa, delle cui due varietà apparisce costituita la porzione dei monti situati a levante di Gavorrano.”
    “Partendo da quel posto fino al di là di Ravi, il terreno che si percorre è tutto calcareo; però formato, ora da una roccia candida e granosa, ora brecciata, ora grigio-cavernosa e fetida, sempre bensì massiccia e senza nessun indizio di stratificazione. – Press’a poco è della stessa natura il monte di Ravi, al pari di quelli che incontransi da questo paesetto fino a Caldana. Il monte e le vicinanze consistono in una calcarea salino-brecciata, la quale a proporzione che si avvicina verso Caldana riempiesi di vene spatose; e la calcarea mostrandosi gradatamente meno salina, acquista un color rossastro che aumenta sempre più d’intensità, mentre dalla tinta di fior di pesco passa al color mattone, ed arriva sino a quello della vinaccia. – La cava del bel marmo persichino rimane dal lato di grecale del castello di Caldana. In questa qualità di pietra trovansi sepolti i resti di grosse conchiglie ammonitiche. – A scirocco di Caldana cessa il terreno calcareo e ricomparisce il macigno con l’argilla schistosa in strati emergenti da scirocco a maestro. – Avanti però di giungere al castello, in un poggetto che gli è di faccia, trovansi degli strati schistosi alterati, e consolidati mercè la silicizzazione, ed in maniera tale da esser convertiti in un vero diaspro.” – (NUOVO GIORNALE DE’LETTERATI DI PISA, N° 78).
    Alle falde dei poggi situati a settentrione di Gavorrano, in lontananza poco più d’un miglio da questa Terra scaturiscono diverse sorgenti di acqua termale acidula e leggermente ferruginosa di mezzo ad una calcarea stratiforme
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    alquanto granosa e sparsa di filoni di spato candido. È questo bagno rammentato dell’antico statuto parziale di Gavorrano. – Vedere BAGNO DI GAVORRANO.
    Se poi si contemplano i poggi di Montioni, che chiudono dal lato di maestro la comunità di Gavorrano, nella massima parte consistono in calcarea-argillosa stratiforme compatta, color bianco latte, sparsa a luoghi di venature metalliche che tingono la roccia in rosso o in giallastro. Cotesta pietra si converte bene spesso in un’argillolite friabile, disposta a strati interrotti e frammentarii, ora verticali, ora trasversali e ondulati e quasi sempre alternati o racchiusi in una creta argillosa. La stessa roccia in gran parte viene alterata e decomposta dalle emanazioni acide solforose o dai solfuri metallici; i quali ultimi in forma di vene insinuansi nella roccia cangiata in allumite. – È questa una delle località della valle di Cornia atta a somministrare i materiali per la confenzione dell’allume; ed è costà, a Montioni vecchio, dove si fabbricava l’allume in tempi molto anteriori a quelli delle famigerate allumiere della Tolfa. – Vedere MONTIONI.
    Di epoca assai più moderna, e di natura molto diversa dalle rocce dei monti qui sopra descritti, è il terreno avventizio che ricuopre il Pian d’Alma, la palustre pianura d’attorno allo Stagno di Scarlino, e quella della spiaggia di Follonica. Avvegnachè esso è il resultato dello sfacelo progressivo dei poggi che fanno ala e corona alle vallecole dell’
    Alma, della Pecora e della Ronna, le di cui acque costantemente trascinano seco le rocce sfaldate e cadute a piè de’poggi che lambiscono; cosicchè stritolate in minuti frammenti vengono spinte in mare ed alle traversie lungo la spiaggia alternativamente risospinte a far argine ai fiumi.
    Quindi avvenne che per il rallentato sbocco delle fiumane dell’
    Alma e della
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    Pecora, si formano, progressivamente crescendo, i paduletti di Pian d’Alma, e quello più vasto di Scarlino. Ma questi ed altri simili ristagni di acque lungo il littorale toscano, per le provide cure dell’Augusto Principe, cui stà sommamente a cuore il miglior ben essere possibile dei suoi sudditi, vanno a sparire gradatamente dalle toscane maremme, e sono arra sicura per veder migliorare in ogni rapporto le condizioni fisiche di cotesta contrada, la cui atmosfera restò per molti secoli viziata dalle nocive esalazioni di simili marazzi e lagune.
    Chiamasi
    Puntone di Scarlino una palanca posta attraverso al canale di comunicazione fra il mare e lo stagno, mentre di qua dal Puntone avvi la palizzata per ritenere i pesci che vi entrano dal mare. Dietro il promontorio o capo meridionale del palustre lido di Scarlino trovasi una piccola cala presso la torre di Portilione, col quale nome ci si rammenta un porto, e forse quello stesso di Scapri designato dagli antichi Itinerarii.
    L’Augusto LEOPOLDO II intento a beneficare ogni parte dei suoi felicissimi Stati, nella fiducia di ridurre all’antica condizione fisica le maremme del Granducato, ha rivolto le sue cure anco al littorale massetano.
    Quindi per separare la maligna promiscuità delle acque terrestri dalle marine, sino dal 1830 ordinò la sommersione di navigli carichi di pietre alla foce dello stagno di Scarlino; fece percorrere alla
    Pecora un nuovo alveo per il tragitto di miglia toscane 2 e 1/2, affinchè dirigesse le sue acque a colmare la parte settentrionale del padule, mentre dal lato di levante un nuovo canale và trascinando in esso le torbe che nei tempi piovosi vi portano i fossi, ed i rivi fluenti dalle pendici dei monti di Gavorrano e di Scarlino.
    Nel lungo periodo in cui i signori di Piombino
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    erano subentrati agli antichi feudatarii con diritti e potere di sovranità assoluta nella parte occidentale del territorio di Gavorrano, che spettava alla comunità di Scarlino, essi tenevano qual demanio dello Stato una buona porzione di quelle foreste, mentre i privati avevano l’onere del legnatico, del pascolo, e in alcuni luoghi della sementa: sicchè ai mali fisici prodotti della malsania dell’aria si aggiunsero quelli derivati da una barbara legislazione.
    Con Motuproprio dei 18 novembre 1833 il Magnanimo LEOPOLDO II convinto, che tali servitù mentre ritardano lo sviluppo e i progressi dell’agricoltura, sono di non lieve ostacolo alla facilità delle contrattazioni fondiarie, volle degnarsi di abolire i diritti di pascolo e di legnatico esercitati dal demanio dello Stato per conto del principe o da altre persone, sia per causa di riservo di dominio, legge, consetudine; o in qualunque altra forma risultante nel territorio del già principato di Piombino; in guisa che da quel giorno in poi autorizzò i possessori a potere affrancare i loto possessi da tali servitù mediante un congruo prezzo, o un equivalente frutto desunto dal prodotto annuo dell’abolito servaggio.
    La troppo scarsa popolazione fu di un terribile obice per rendere più fruttifero quel suolo, comecchè di natura ferace. Ciò non ostante nelle vicinanze di Gavorrano e nel pian d’Alma non mancano coltivazione a viti, a ulivi e a frutte di varia specie. – I boschi di sughere e di cerri, le folte macchie di scope, di marruche, sondri e ginepri, (recondito abituro di cinghiali) ingombrando quasi per cinque sesti il territorio comunitativo di Gavorrano, vale per circa 70 miglia quad. di suolo, sono altrettante prove lagrimevoli di un paese abbandonato per molti secoli al capriccio eventuale della natura e alla insalubrità e desolazione dell’umana specie.
    Le selve cedue e di alto fusto da qualche tempo vanno progressivamente diradando, dopo di esser stata
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    introdotta nelle Maremme la lavorazione della potassa e il commercio della scorza di cerri per le conce; nonostante che, viceversa, siano diminuiti i prodotti delle ghiande, come del sughero, di quella scorza esteriore che si può ottenere ogni tre o quattro anni della grossezza di 5 sino a 7 soldi, staccandola dalla querce della prenominata qualità. (Quercus suber Linn.)
    La scorza per uso delle conce costituisce la seconda veste al tronco dello stesso albero, la quale viene staccata di dosso alla pianta, senza che soffra sensibilmente nella sua vegetazione, quando si abbia l’avvertenza di lasciare verticalmente al tronco una striscia unita della scorza medesima dai Maremmani appellata
    cordoncino.
    Questo prodotto che prima era trascurato perchè non conosciuto, ha portato somme vistose di denaro a molti proprietarii di Maremma. Infatti la scorza estratta negli anni di maggiore lavorazione, come fu quello del 1827, si calcola che possa ascendere a circa 12,000,000 libbre; che a lire 40 il migliajo ammonterebbero a lire 480,000.
    Le cataste e il carbone sono due articoli importantissimi per questa contrada. Una gran parte del carbone si cava dalle macchie riservate alle fucine di Follonica e di Valpiana: il restante si porta lungo la spiaggia di Alma e al Pontone di Scarlino, dove si imbarca per il Genovesato.
    Le dogarelle di cerro e di farnia costituiscono il quarto prodotto delle foreste, e questo in confronto dei precedenti è forse il più scarso del territorio comunitativo di Gavorrano.
    Finalmente le fide per i pascoli in determinati tempi dell’anno, sono anch’esse di non piccola risorsa per i proprietarii dei boschi, e dei terreni lasciati in riposo, o a maggese.
    La messe è forse di tutte il più essenziale prodotto dei possidenti Gavorranesi; siccome lo è degli altri proprietarii terrieri della Maremma.
    Rapporto al bestiame, sia pecorino o caprino, sia bovino o cavallino, appartiene
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    per la massima parte a proprietarii non indigeni, i quali conducono o inviano dall’Appennino toscano a svernare le loro mandre nelle Maremme. Dissi per la maggior parte non indigeni, mentre si trovano costà anche i bestiami stazionarii, fra i quali la numerosa mandria di cavalli dei Lepori di Gavorrano.
    Tre sorgenti d’industria manifatturiera sono poste nei tre angoli estremi della comunità di Gavorrano; cioè, nell’angolo a maestro del capoluogo le cave di
    Allumite per la confezione dell’allume di Montioni; nell’angolo a levante le cave del marmo persichino di Caldana; e a ponente nel littorale di Follonica la grandiosa manifattura Regia dei forni e annesse ferriere per fondere la vena del ferro dell’Isola di Elba, e lavorarne la ghisa. – È altresì vero che il maggior numero dei lavoranti vien costà, e ritorna nell’estate nella sua patria, che è verso Pistoja.
    Con notificazione del 1832, allorchè venne eretta in Capoluogo di una nuova comunità Castiglion della Pescaja, i distretti parrocchiali di
    Colonna e di Tirli furono smembrati dalla comunità di Gavorrano per incorporarli alla nuova preaccennata. Quindi la superficie territoriale e la popolazione della comunità, che si riporta nella tavoletta a tergo, deve contemplarsi anteriore all’effettuato smembramento. – Vedere CASTIGLION DELLA PESCAJA Comunità.
    In Gavorrano risiedono un medico e un maestro di scuola.
    Il potestà di Gavorrano non ha la giurisdizione civile sopra tutta la comunità, giacchè le popolazioni di Colonna e di Giuncarico dipendono dal potestà di quest’ultimo paese; mentre a quella di Tirli, anche innanzi che fosse staccata dalla comunità di Gavorrano, provvedeva il vicario R. di Castiglion della Pescaja anche per il civile, siccome da lui dipendono in quanto al criminale tutti due i potestà preaccennati. – La cancelleria comunitativa, e l’esazione del Registro sono in Massa, la conservazione delle
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    Ipoteche, l’ingegnere di Circondario e la Ruota stanno in Grosseto.

    POPOLAZIONE della Comunità del GAVORRANO a tre epoche diverse, innanzi però che fossero staccati i distretti di Colonna e di Tirli.

    - nome del luogo: Caldana, titolo della chiesa: S. Biagio (Pieve), diocesi cui appartiene: Grosseto, abitanti anno 1640 n° 329, abitanti anno 1745 n° 325, abitanti anno 1833 n° 427
    - nome del luogo: (a) Colonna, titolo della chiesa: SS. Simone e Giuda (Pieve), diocesi cui appartiene: Grosseto,
    abitanti anno 1640 n° 158, abitanti anno 1745 n° 138, abitanti anno 1833 n° 283
    - nome del luogo: GAVORRANO, titolo della chiesa: S. Giuliano (Arcipretura), diocesi cui appartiene: Grosseto,
    abitanti anno 1640 n° 276, abitanti anno 1745 n° 295, abitanti anno 1833 n° 598
    - nome del luogo: Giuncarico, titolo della chiesa: SS. Egidio e Giusto (Pieve), diocesi cui appartiene: Grosseto,
    abitanti anno 1640 n° 204, abitanti anno 1745 n° 170, abitanti anno 1833 n° 552
    - nome del luogo: Ravi, titolo della chiesa: S. Leonardo (Pieve), diocesi cui appartiene: Grosseto,
    abitanti anno 1640 n° 163, abitanti anno 1745 n° 142, abitanti anno 1833 n° 309
    - nome del luogo: *Scarlino, titolo della chiesa: S. Martino in S. Donato (Pieve), diocesi cui appartiene: Grosseto,
    abitanti anno 1640 n° -, abitanti anno 1745 n° 315, abitanti anno 1833 n° 528
    - nome del luogo: (a) Tirli, titolo della chiesa: S. Andrea (Pieve), diocesi cui appartiene: Grosseto,
    abitanti anno 1640 n° -, abitanti anno 1745 n° -, abitanti anno 1833 n° 363
    - nome del luogo: *Valli e Follonica, titolo della chiesa: S. Andrea (Pieve) e SS.
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    Concezione, diocesi cui appartiene: Massa Marittima, abitanti anno 1640 n° -, abitanti anno 1745 n° -, abitanti anno 1833 n° 44
    - Somma totale
    abitanti anno 1640 n° 1130
    - Somma totale
    abitanti anno 1745 n° 1385
    - Somma totale
    abitanti anno 1833 n° 3104

    N. B.
    Dei popoli contrassegnati con l’asterisco * non si conosce la popolazione nelle due epoche più antiche, stantechè essi allora facevano parte del principato di Piombino. Quelli segnati con la lettera (a) furono dati col loro distrettoalla nuova Comunità di Castiglion della Pescaja.

    GAVORRANO nella Maremma fra Massa e Grosseto. – Si aggiunga. – Fu in Gavorrano e non in Giuncarico, dove nel di 9 febbrajo del 1321 Nello d’Inghiramo de’Pannocchieschi della Pietra creduto il marito dell’infelice Pia, dettò nella camera del pievano di Gavorrano uno dei suoi testamenti, mentre egli poi visse molti anni dopo, rogato da Tancredi Turchi da Lucca. – Vedere GIUNCARICO Volume II pagina 456.
    Il potestà di Gavorrano non esiste più; le sue veci sono adempite dal potestà di Giuncarico, essendo anche Gavorrano compreso nella stessa Comunità.
    In Gavorrano risiede peraltro un ingegnere di Circondario; la cancelleria Comunitativa è in Massa Marittima. – Nel 1833 la Comunità di Gavorrano contava 3104 abitanti, per la maggior parte indigeni, dove nel 1845 si trovavano soli 2567 individui, stante l’avere distaccato da questa Comunità tre popoli (
    Colonna, Tirli e Valli di Follonia).
    Attualmente spettano alla Comunità di Gavorrano i cinque popoli seguenti, cioè:

    Caldana,
    Abitanti N.° 450
    GAVORRANO,
    Abitanti N.° 540
    Giuncarico,
    Abitanti N.° 546
    Ravi,
    Abitanti N.° 352
    Scarlino,
    Abitanti N.° 679
    TOTALE
    Abitanti N. °2567
Localizzazione
ID: 2128
N. scheda: 24090
Volume: 2; 6S
Pagina: 415 - 422; 110
Riferimenti:
Toponimo IGM: Gavorrano
Comune: GAVORRANO
Provincia: GR
Quadrante IGM: 127-1
Coordinate (long., lat.)
Gauss Boaga: 1655632, 4754328
WGS 1984: 10.90791, 42.92726
UTM (32N): 655696, 4754503
Denominazione: Gavorrano
Popolo: S. Giuliano a Gavorrano
Piviere: (SS. Giuliano a Gavorrano
Comunità: Gavorrano
Giurisdizione: Gavorrano
Diocesi: Grosseto
Compartimento: Grosseto
Stato: Granducato di Toscana
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